Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 23/05/2017, a pag. 6, con il titolo "Donald accolto dalla Città Vecchia in sciopero", il commento di Federico Rampini.
L'articolo di Federico Rampini è un attacco a Donald Trump costruito sulle parole di un anonimo "informatore" arabo della città vecchia di Gerusalemme. Secondo questa fonte - la cui affidabilità è pari a zero - la città vecchia non sarebbe stata blindata per l'arrivo del Presidente americano, ma per uno "sciopero" in solidarietà dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane (terroristi, ma questo Rampini "dimentica" di scriverlo).
Un pezzo, quindi, che si avvicina a quello di Michele Giorgio sul Manifesto, che non riprendiamo, tutto proteso come sempre nella demonizzazione di Israele.
Ecco l'articolo:
Federico Rampini
Donald Trump con Benjamin Netanyahu
Le “fake news” lo inseguono anche qui. Nella stampa americana accreditata per il viaggio di Donald Trump circola la notizia che la Old City di Gerusalemme è chiusa per via del presidente. Molti colleghi americani ci cascano e si lasciano sfuggire la notizia vera. A me la dà un negoziante seduto davanti alla saracinesca semi-abbassata: «È una serrata, sciopero generale di solidarietà coi prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane. Chiediamo il rispetto di diritti umani fondamentali. Che abbiano più visite dei familiari, telefono e tv». È raro attraversare la città vecchia in queste condizioni: invece del solito brulicare di gente, delle folle che mercanteggiano davanti ai negozietti e alle bancarelle, c’è una quiete surreale. Le pietre antiche si lasciano contemplare nude, senza assembramenti e senza lo struscio abituale.
Qualche comitiva di turisti si aggira perplessa. Le misure di sicurezza ci sono, ma si limitano a chiudere l’accesso dei luoghi che Trump sta visitando: il Muro del Pianto, la chiesa del Santo Sepolcro. Per il resto la città vecchia è apertissima, più visibile che mai. I pochi commercianti- crumiri (noto quelli che vendono articoli religiosi cristiani) sono ancora più solerti nell’invitarmi dentro la bottega. Uno mi mostra orgoglioso i gemelli da polso venduti a Bill Clinton e George Bush, le loro lettere di ringraziamento, e una vecchia patente di guida californiana di quando risiedeva a Los Angeles. È filo-americano e fiducioso su Trump: «Da uomo d’affari potrebbe essere proprio lui il leader giusto per fare il miracolo.
L’accordo di pace qui, renderebbe più pacifico il mondo intero ». Nell’insieme l’adesione allo sciopero è massiccia nella Gerusalemme antica che è a larga maggioranza arabo-palestinese. Senza tensioni e senza scontri, qui. Si segnalano proteste invece nelle altre zone colpite dallo sciopero: 11 feriti negli scontri tra palestinesi e forze israeliane in Cisgiordania. Vasta l’adesione anche a Gaza. È il 36esimo giorno di sciopero della fame per molti prigionieri palestinesi: 1.300 secondo l’agenzia stampa Ma’an. Tra le richieste dei carcerati oltre alle visite dei familiari figura anche la qualità dell’assistenza medica. Il commerciante filo-americano, pur ammirando Trump, mi dice di condividere in pieno le rivendicazioni dei prigionieri. La notizia delle proteste è in bella evidenza su tutti i media del mondo arabo, Al Jazeera in testa. Ma ne danno conto anche diversi media israeliani, per esempio il giornale Haaretz informa che la direzione delle carceri «ha trasferito in ospedali 60 prigionieri in sciopero della fame le cui condizioni di salute si erano deteriorate, mentre altri 592 sono stati ricoverati nelle infermerie dei penitenziari». Tra gli americani invece resiste la leggenda della chiusura della città vecchia di Gerusalemme per ragioni di sicurezza legate a Trump.
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