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Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


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La Stampa Rassegna Stampa
21.05.2017 Iran: vince Rohani ma il regime non cambia
Rassegna di titoli che applaudono il 'moderato', editoriale di Maurizio Molinari, cronaca di Claudio Gallo

Testata: La Stampa
Data: 21 maggio 2017
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari - Claudio Gallo
Titolo: «Svolta strategica nel Golfo - L’Iran rinnova la fiducia a Rohani: 'Estremismo battuto, aperti al mondo'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 21/05/2017, a pag. 1, con il titolo "Svolta strategica nel Golfo", l'editoriale di Maurizio Molinari; a pag. 2, con il titolo "L’Iran rinnova la fiducia a Rohani: 'Estremismo battuto, aperti al mondo' ", il commento di Claudio Gallo.

I quotidiani italiani oggi festeggiano l'elezione di Rohani, che in Iran ha sconfitto il fanatico reazionario Raisi. Quello che nessuno scrive è che Hitler è stato probabilmente peggio di Goebbels, ma il problema vero è il regime di cui entrambi erano leader. Similmente, Raisi è peggio di Rohani, senza dimenticare però che il problema in Iran è la dittatura clericale sciita.

I titoli dei quotidiani sono indicatori del sostegno a Rohani, che viene fatto passare per "moderato".
La Stampa titola "Svolta strategica nel Golfo", "L’Iran rinnova la fiducia a Rohani: 'Estremismo battuto, aperti al mondo' ".
Il Corriere della Sera sceglie "Vince Rouhani, il moderato: 'Una nuova era per l'Iran' ".
Il Giornale scrive invece "In Iran trionfa l'apertura di Rohani".
La Nazione/Resto del Carlino/Giorno titola "Iran, spira ancora il vento riformista".

Un consenso unanime che chiude gli occhi di fronte alla corsa al nucleare dell'Iran e alle quotidiane violazioni dei diritti umani da parte del regime.

In Italia, nel frattempo, c'è chi invece di denunciare questi crimini preferisce marciare "contro i muri", ma quando un musulmano ferisce un agente e un soldato a Milano, come è accaduto giovedì, i media sono pronti ad affermare immediatamente che non si tratta di terrorismo. Poi hanno rettificato, ma la prima reazione è quella che più conta. Proprio come a Colonia durante la notte di Capodanno 2016, cercano di nascondere il terrorismo e le violenze islamiche fino a quando è possibile.

L'analisi che invece consente di capire la realtà dell'Iran e del Medio Oriente è quella di Maurizio Molinari.

Ecco gli articoli:

Maurizio Molinari: "Svolta strategica nel Golfo"

Risultati immagini per molinari il ritorno delle  tribù
Maurizio Molinari
con la copertina del suo nuovo libro (Rizzoli ed.)

 


Crimini contro l'umanità in Iran


La rielezione di Hassan Rohani in Iran e l’arrivo di Donald Trump in Arabia Saudita segnano l’inizio di una nuova fase del duello Teheran-Riad per l’egemonia in Medio Oriente con un brusco rovesciamento dell’equilibrio di forze fra sciiti e sunniti.

Sbaragliando lo sfidante conservatore Ebrahim Raisi, Rohani ha ottenuto nelle urne un successo che conferma la scommessa degli iraniani sulle sue aperture all’Occidente al fine di risollevare una nazione antica ed orgogliosa ma indebolita da povertà e corruzione. La credibilità di Rohani davanti agli elettori sta nell’aver siglato nel 2015 l’accordo di Vienna sul programma nucleare con la comunità internazionale che ha fatto venir meno gran parte delle sanzioni, ma la sua debolezza nasce dal fatto che le imprese occidentali esitano a tornare a Teheran. Nonostante vistosi accordi firmati, commesse miliardarie e una pioggia di visite ufficiali l’entità degli investimenti stranieri in Iran resta minima, ben sotto le previsioni. Se un gigante energetico come Total esita a trasferire fondi nelle banche iraniane è perché chi, da Berlino a Hong Kong, è giunto a Teheran per investire si è trovato davanti ad un sistema economico opaco, dove gran parte delle aziende di valore sono gestite da entità riconducibili ai Guardiani della Rivoluzione che a loro volta risponde solo alla Guida Suprema, Ali Khamenei.

Se la «scommessa dell’accordo nucleare era anche rivitalizzare l’economia iraniana» - come spiega Sanm Vakjl, analista di Chatam House - questo non sta avvenendo a causa della struttura interna di una regime che assegna le redini della produttività ad una struttura militare sulla quale il presidente non ha controllo. Il fatto che i Guardiani della Rivoluzione abbiano sostenuto Raisi nella campagna presidenziale conferma la sfiducia nei confronti di Rohani, indebolendo ulteriormente la sua leadership economica già fiaccata da un prezzo del greggio sceso alla metà del valore del 2014 con conseguenti difficoltà di bilancio. Se la ricchezza dell’Iran si basa su greggio e bazaar entrambi al momento sono assai deboli. A ciò bisogna aggiungere il cambiamento di strategia degli Stati Uniti: il presidente Obama aveva scelto di individuare in Teheran il partner per la stabilizzazione del Medio Oriente, a scapito dei legami con Riad e Gerusalemme, ma l’incendio di crisi in atto dimostra che l’esito è stato negativo ed ora il successore Trump procede in direzione opposta. Contenuti e simboli del primo viaggio all’estero del nuovo presidente Usa descrivono la svolta. Trump ha scelto Riad come tappa iniziale - e più lunga - facendola coincidere con la partecipazione a due summit con i Paesi sunniti: con la coalizione militare anti-terrorista sulla guerra ai jihadisti del Califfato e di Al Qaeda, con il Consiglio di cooperazione del Golfo sulla risposta alle «aggressioni iraniane». I sunniti, guidati da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, si sentono stretti nella morsa di due nemici diversi - i jihadisti e l’Iran - il cui scopo comune è la demolizione degli Stati nazionali arabi. Sarà questa la tesi che esporranno a Trump, consapevoli che la Casa Bianca l’ha già fatta propria con le dichiarazioni del capo del Pentagono James Mattis secondo il quale «ovunque c’è un problema in Medio Oriente spunta l’Iran» e «i jihadisti vanno non solo accerchiati e sconfitti ma del tutto eliminati». Se a ciò si aggiunge che Mohammed Bin Salman, vice principe ereditario e uomo forte del regno saudita, sta negoziando con il Segretario di Stato Rex Tillerson una partnership energetica che punta, entro il 2030, a andare oltre il greggio diversificando le risorse, non è difficile dedurre il riassetto in corso nel Golfo. Il gesto simbolico che racchiude quanto sta avvenendo è stato compiuto dal re saudita Salman, allungando la mano per stringere quella di una donna a capo scoperto: Melania Trump. Il regno wahabita guarda a Occidente per frenare l’espansione sciita lungo i suoi confini: dagli hezbollah in Siria e Iraq agli houti in Yemen.

Se durante gli anni di Obama, l’Iran è riuscito a rafforzare la propria penetrazione in Iraq, Siria, Yemen e Bahrein ottenendo al contempo di conservare il nucleare e la fine delle sanzioni, ora il pendolo torna in direzione di Riad, offrendo al fronte sunnita l’opportunità di costruire una nuova alleanza militare ed economica con gli Stati Uniti e i suoi alleati. Basta mettere piede alla Casa Bianca per sentir spiegare dal consigliere per la sicurezza McMaster che «il problema è l’Iran» a causa di sostegno al terrorismo e sviluppo di armi di distruzione di massa. Il rovesciamento di equilibrio nel Golfo a favore dei sunniti è destinato ad avere conseguenze a pioggia in più angoli del Medio Oriente, dalla Siria all’Iraq fino al conflitto israelo-palestinese grazie all’intensificazione dei rapporti - sempre meno segreti - di sauditi ed emiratini con lo Stato ebraico. Poiché Iran e jihadisti sono anche i più pericolosi nemici di Israele, i leader sunniti considerano Benjamin Netanyahu un alleato de facto. Nulla da sorprendersi se a Teheran il nervosismo sia palpabile, testimoniato dalle parole di fuoco rivolte dal ministro della Difesa, Hossein Dehqan, ai sauditi: «Se faranno qualcosa di stupido, dell’Arabia non resterà altro che Mecca e Medina».

 

Claudio Gallo: "L’Iran rinnova la fiducia a Rohani: 'Estremismo battuto, aperti al mondo' "


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Claudio Gallo

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Ebrahim Raisi - Hassan Rouhani

In televisione, sorridente per la vittoria, il presidente iraniano Hassan Rohani, 68 anni, ha detto che il risultato delle presidenziali dimostra la volontà della Repubblica islamica di interagire con il mondo. «Siamo pronti - ha spiegato -, ma non accetteremo nessuna umiliazione». Gli elettori, ha aggiunto: «Hanno respinto l’estremismo». Ha vinto con il 57 per cento (quasi 23 milioni di voti) contro il 38,5 (15,7 milioni) del rivale Ebrahim Raisi, candidato dei conservatori. Anche questa volta si è confermata la regola che il presidente uscente viene rieletto (la seconda volta di Ahmadinejad nel 2009 rimane sospetta). Il presidente ha citato in diretta l’ex collega riformista Mohammad Khatami, nonostante il divieto di nominarlo e pubblicare sue fotografie. La sfida in cima all’agenda del nuovo governo è l’economia, l’argomento che ha monopolizzato la campagna elettorale.

L’affermazione di Rohani, per quanto netta, non è tuttavia un trionfo, finora i presidenti rieletti hanno sempre superato il 60 per cento. Lui stesso negli ultimi comizi aveva chiesto un voto consistente per poter «realizzare certi progetti che ho in mente». È la conferma che le idee conservatrici rappresentano una parte considerevole del Paese. Il vero vincitore è, come al solito, Ali Khamenei che ha ottenuto la grande partecipazione che aveva chiesto, più di 40 milioni di voti, e si pone come Guida indiscutibile, talvolta come mediatore tra le due parti del Paese. Verso la fine della campagna, Rohani si è spinto oltre le sue tradizionali posizioni prudenti e moderate, verso il campo riformista, specialmente criticando l’intromissione degli apparati di sicurezza (Pasdaran e Basiji) nella politica nazionale. È probabile che questo secondo mandato sarà più coraggioso del primo e dunque più conflittuale.

«La gente - dice Seyyed Mohammed Marandi, professore dell’università di Teheran, spesso commentatore dall’Iran sulle tv americane - ha voluto dare a Rohani una seconda possibilità per realizzare le sue promesse. La storia raccontata da alcuni media occidentali che Raisi fosse il candidato della Guida suprema è completamente insensata. Rohani e Khamenei sono molti vicini».
Hassan Robati, leader dei riformisti a Teheran, sta festeggiando: «La gente ha voluto chiedere migliori rapporti internazionali anche per le ripercussioni interne. Adesso uno dei primi compiti del governo sarà quello di attirare nuovi investimenti e di portare i benefici della crescita in tutti gli strati della società».
Ieri sera, la parte settentrionale di viale Vali Asr era bloccata dalla folla festante, tra slogan e caroselli di motociclette con due o tre persone in sella. Questa notte si può sperare qualsiasi cosa, domani mattina si ricomincia.

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