Riprendiamo dal BOLLETTINO della Comunità ebraica di Milano, maggio 2017, a pag. 10, con il titolo "Il candelabro sepolto: se la luce della Menorà torna a brillare", la cronaca di Ester Moscati
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"Non è possibile andare sempre così fra le tenebre eterne, senza conoscere la via. Nessun popolo può vivere senza dimora, errabondo e cinto da pericoli. Bisogna accendere loro una luce, insegnare loro la strada. Qualcuno dovrebbe guidarli e ricondurli in patria». È alla luce della Menorà che anela Beniamino, il protagonista de Il candelabro sepolto di Stefan Zweig. Si dice infatti che solo quando il candelabro millenario tornerà nella sua casa, il popolo ebraico potrà riposare. Un candelabro che la Torà descrive minuziosamente: D’oro puro, lavorato a martello, il suo fusto e i suoi bracci; i suoi calici, i suoi bulbi e le sue corolle saranno tutti di un pezzo... (Esodo 25:31-37). Così il Signore disse a Mosè, dandogli le istruzioni per la costruzione della Menorà per il Tabernacolo, il Beth Hamikdash. Quello che da millenni fino a oggi è il simbolo principe dell’identità ebraica, e dal 1948 anche di Medinat Israel, lo Stato di Israele, è dunque un oggetto di ispirazione divina, rappresentazione della Voce, dal roveto ardente all’albero della vita, alla luce primordiale, di incomparabile potenza evocativa. Alla “Menorà. Culto, storia e mito”, è dedicata oggi una mostra che ha richiesto tre anni di preparazione e che sarà allestita contemporaneamente, dal 15 maggio al 23 luglio, nella sede del Braccio di Carlo Magno dei Musei Vaticani e al Museo Ebraico di Roma presso il Tempio Maggiore, primo caso di cooperazione tra Vaticano e Comunità ebraica per un evento di questa portata storica, artistica e culturale.
Culto, storia e mito
La Menorà è ammantata da un’aura di fascino e mistero. Il candelabro originario, forgiato nel deserto, è scomparso con la caduta del Primo Tempio, depredato e distrutto dai Babilonesi nel 586 aev; il secondo, portato a Roma con gli ebrei schiavi, come attesta il bassorilievo sull’Arco di Tito, nel 70 ev, era stato collocato nel Templum Pacis ai Fori Imperiali, come testimonianza della Judea Capta e della fine delle Guerre Giudaiche. Ma anche questa Menorà era destinata a sparire con il Sacco di Roma del 455, a opera dei Vandali di Genserico. Fu portata a Cartagine? A Costantinopoli? È persa per sempre? O si è salvata, nascosta nelle segrete del Vaticano? Da allora la storia si perde nella leggenda, e di questo percorso la mostra dà conto, attraverso oltre 130 opere figurative, capolavori e oggetti d’arte, dipinti, sculture e tessuti, manoscritti e miniature, dall’antichità al XXI secolo. Fu nell’età imperiale, a Roma, che la Menorà diventò un forte simbolo identitario, rappresentato nelle catacombe, iscrizioni tombali, monete, vetri decorati, gioielli e tessuti sinagogali. Ma, a partire dall’età carolingia, la Menorà iniziò ad essere ripresa anche nell’iconografia cristiana, aprendo un percorso parallelo, che puntualmente la Mostra riprende e racconta. Tre sono i grandi nuclei attorno ai quali ruota l’esposizione romana: il primo, articolato in tre sezioni (Visualizzare la Menorà; La Menorà nel tempio e nell’arte ebraica: iconografia e simbologia; La Menorà nell’arte antica da Gerusalemme a Roma), ricostruisce la Storia della Menorà dalla sua antichissima presenza nel Tempio di Gerusalemme fino alla sua dispersione a Roma, e cioè dall’antichità ai primi secoli dell’era moderna.
Il secondo nucleo, strutturato in quattro sezioni (Dalla tarda antichità al Trecento; Il Rinascimento; La fortuna pittorica dal Seicento all’Ottocento; La Menorà nelle arti applicate ebraiche dal tardo medioevo agli albori del XX secolo), con un percorso ricco di opere d’arte presenta il Mito della Menorà, dalla tarda antichità alle soglie del XX secolo. C’è l’appropriazione delle sue forme da parte del cristianesimo e il suo consolidarsi come elemento dell’identità ebraica. Il terzo nucleo (un’unica sezione: Dal primo dopoguerra al XXI secolo), offre un’ampia panoramica sul XX e XXI secolo con la raffigurazione della Menorà in forme espressive inedite. Per questo progetto sono stati concessi prestiti eccezionali da musei e fondazioni di prestigio internazionale. La mostra è curata, coordinata e diretta da Arnold Nesselrath, dei dipartimenti scientifici e i laboratori di restauro dei Musei Vaticani; Alessandra Di Castro, direttrice del Museo Ebraico di Roma, e da Francesco Leone, docente Storia dell’Arte Contemporanea all’università di Chieti-Pescara.
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