Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 19/05/2017, a pag. 5, con il titolo "Non annuncerà lo spostamento dell'ambasciata", il commento di Paolo Mastrolilli; con il titolo "Quel sogno di fermare la marcia sciita", il commento di Giordano Stabile.
Ecco gli articoli:
Paolo Mastrolilli: "Non annuncerà lo spostamento dell'ambasciata"
Può darsi che la previsione di Mastrolilli sia esatta, ma non l'avremmo messa nel titolo, in politica il nero o il bianco contengono sempre delle sfumature. Poichè non siamo fra quelli che sparano addosso a Trump - come sta avvenendo sui nostri giornali, da destra e da sinistra- preferiamo aspettare per capire quale sarà la sua politica. Dato che finora ci ha trovati consenzienti, manteniamo la fiducia iniziale. Ciò che conta è il risultato, le strategie per realizzarlo non è detto che debbano passare attraverso dei proclami. Ieri un quotidiano ha titolato in prima pagina che Trump andava " preso a pedate nel sedere", testuale. Un pezzo indecente, degno del peggior 'tabloid' alla Daily Mirror.
Paolo Mastrolilli
Donald Trump
«Gli Usa non hanno abbandonato l’idea dei due Stati, ma non sono neppure sposati con questa soluzione. Non intendiamo essere gli arbitri del negoziato di pace, ma i facilitatori, affinché siano le parti a trovare l’intesa su come convivere». Così la fonte della Casa Bianca spiega la linea che Trump prenderà durante la visita in Israele e nei territori dell’Autorità palestinese: «Per abbassare le aspettative, è importante chiarire che non porta con sé un piano di pace, e non ci sarà un incontro trilaterale perché sarebbe prematuro». Rinviato anche l’annuncio di un eventuale spostamento dell’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme. Il presidente visiterà il Muro del Pianto, ma lo farà accompagnato solo da un rabbino, per non politicizzare la visita che invece punta a rendere omaggio ad un simbolo spirituale. Quanto agli insediamenti, «non riteniamo che siamo la causa dei problemi, ma pensiamo anche che in questo momento sarebbe meglio evitare iniziative che possano ostacolare il dialogo». Al leader palestinese Abbas, Trump confermerà la determinazione a garantire la dignità del suo popolo, sulla base però di un’intesa da raggiungere con Israele.
Giordano Stabile: "Quel sogno di fermare la marcia sciita"
Giordano Stabile
Donald Trump con Mohammed bin Salman, principe dell'Arabia Saudita
Il presidente americano arriva oggi a Riad con il biglietto da visita del primo raid americano diretto contro una milizia sciita, probabilmente irachena, in Siria. Musica per le orecchie dei Paesi del Golfo, e dei loro alleati. La stabilità, vista dal fronte sunnita, significa soprattutto fermare la costruzione della Mezzaluna sciita, sognata da Teheran, che marcia a passo spedito in Siria e in Iraq.
L’Amministrazione Trump ha reagito, su suggerimento del principe Mohammed Bin Salman, ministro della Difesa saudita e secondo nella linea di successione al trono, con il rafforzamento dei ribelli al confine con la Giordania, per cercare di tagliare la strada agli sciiti. Ieri milizie e ribelli, e forze speciali americane, si sono trovati quasi a contatto vicino al posto di frontiera di Al-Tanf e sono dovuti intervenire i jet. Al di là degli accordi commerciali, e contratti fino a 300 miliardi per la vendita di armi, al di là della retorica sulla convivenza fra culture e religioni diverse, sarà questo il vero tema del vertice. I sunniti, a volte esagerando, vedono in corso la costruzione di un’egemonia iraniana in Medio Oriente. E vogliono fermarla a tutti i costi.
Nonostante i problemi di Trump, Arabia e alleati vedono nella nuova Amministrazione la fine dell’incubo Obama, troppo sbilanciato verso Teheran ai loro occhi. Sono disposti a mettere sul piatto molti soldi. Per acquistare armi americane e formare una «Nato araba» in grado di alleviare in parte gli americani dal peso dell’impegno militare. Ma esigono un’applicazione rigidissima dell’accordo sul nucleare con l’Iran, sanzioni contro i test missilistici. E soprattutto impedire che Siria e Iraq a trazione sciita si saldino. A costo di sacrificare i curdi nel Nord della Siria, ora in buoni rapporti con Assad. È la richiesta anche dell’altra grande potenza sunnita, la Turchia. E l’unico punto su cui per ora Trump non sembra disposto a cedere.
Per inviare alla Stampa la propria opinione, telefonare: 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante