Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 19/05/2017, a pag. IV, con il titolo "Il nuovo Iran", l'analisi di Gianni Castellaneta, con il titolo ", il commento di Farian Sabahi.
Sul Manifesto Michele Giorgio sostiene che il candidato "conservatore" alle elezioni iraniane sia attento al disagio giovanile. In questo modo Giorgio sostiene un programma liberticida e reazionario che non è "conservatore", bensì fanatico integralista. Complimenti al quotidiano marxista!
Sull' Osservatore Romano il sociologo franco-iraniano Farhad Khosrokhavar sostiene che "soltanto" il 10% degli iraniani scelga il fondamentalismo religioso. Quello che dimentica di scrivere è che si tratterebbe di circa 8 milioni di persone, un numero enorme di fanatici che - per stessa ammissione dello studioso - fanno di tutto per influenzare la vita politica del proprio Paese.
Come Giorgio, anche Alberto Negri sul Sole 24 Ore definisce semplicemente "conservatore" il fanatico Raisi, e "riformista" Rohani. Negri si schiera con Rohani all'insegna del "successo" degli accordi stipulati da Obama, che consentiranno all'Iran di proseguire la propria opera di destabilizzazione del Medio Oriente e sostegno al terrorismo, oltre che la corsa al nucleare. L'unico interesse di Negri è il business tra Italia e Iran, non c'è posto per considerazioni - come sarebbe doveroso - sulla natura criminale del regime degli ayatollah.
Ecco gli articoli:
IL FOGLIO - Gianni Castellaneta: "Il nuovo Iran"
Gianni Castellaneta
Ali Khamenei
Nonostante l’attenzione mediatica sia stata monopolizzata dalle presidenziali francesi e dalla vittoria di Emmanuel Macron, l’appuntamento elettorale che si terrà oggi non è da meno per la rilevanza e l’impatto che potrà avere sulle relazioni internazionali. L’Iran sta per andare alle urne per eleggere il suo nuovo presidente, in una competizione oramai riservata a due soli concorrenti: l’incumbent Hassan Rohani – esponente della fazione riformista del paese – che sarà sfidato da Ebrahim Raisi, candidato dell’ala più conservatrice proveniente da Mashad seconda città del paese e sede di uno dei più venerati santuari sciiti. Il dilemma tra riformismo (che si accompagna a una maggiore apertura e moderazione in campo internazionale) e conservatorismo si conferma dunque essere la principale linea discriminante lungo la quale verrà giocato lo scontro elettorale. Per rafforzare il campo opposto al presidente uscente Rohani, è notizia di pochi giorni fa il ritiro dalla competizione di Mohamad-Baqer Ghalibaf, sindaco della capitale Teheran che ha annunciato il suo sostegno a Raisi. Il passo indietro di Ghalibaf, che aveva già partecipato in passato alle elezioni presidenziali senza successo, dovrebbe dunque rafforzare il campo conservatore complicando le cose per Rohani.
Il presidente è ancora in testa nei sondaggi, appoggiato anche in forma discreta da ex presidente Khatami ma una vittoria al primo turno appare ora meno scontata (in Iran è previsto il ballottaggio se nessuno dei candidati supera subito il 50 per cento delle preferenze). Sarebbe però semplicistico ridurre lo scontro interno in Iran solo a una battaglia tra conservatori e progressisti, anche in ragione della complessa società persiana. La performance dell’economia sarà infatti un altro fattore molto importante da tenere in considerazione: sotto il governo di Rohani l’Iran ha ripreso a crescere con decisione (toccando anche livelli di crescita del 6 per cento annuo), a differenza del cammino traballante registrato durante gli otto anni di Ahmadinejad. Tuttavia l’elevata disoccupazione, e in particolare quella giovanile, continua a rappresentare un problema di difficile soluzione: sempre più giovani iraniani ottengono una laurea, ma l’economia interna non è in grado di creare sufficienti posti di lavoro così qualificati. Servirebbe dunque un leader in grado di proseguire su questa rotta, promuovendo l’afflusso di investimenti esteri che possono contribuire a creare opportunità professionali.
Per fare ciò, la diplomazia è ovviamente fondamentale. In questo senso, possiamo dire che l’Iran deve ancora raccogliere i frutti del più grande successo ottenuto da Hassan Rohani nel suo mandato: l’accordo per lo smantellamento del programma nucleare nazionale che ha permesso di riaprire il paese al mondo, ponendo fine a un isolamento economico e politico che era durato per 35 anni. Sarebbe un vero peccato se una vittoria di Raisi portasse a un nuovo irrigidimento delle posizioni di Teheran verso l’occidente e i propri vicini mediorientali (in particolar modo le potenze sunnite), giacché i grandi passi avanti compiuti negli ultimi anni sarebbero vanificati. Ultima parola spetterà comunque come sempre alla guida spirituale ayatollah Kamenei, che saprà mediare tra un indebolito Rouhani e un rafforzato Raizi. E tuttavia la responsabilità non è solo dell’Iran, ma anche della buona volontà delle potenze straniere, soprattutto gli Stati Uniti. La linea di Donald Trump non è ancora chiara, ma dopo alcuni “strali” lanciati dall’inquilino della Casa Bianca nei confronti di Teheran che avevano paventato il rischio di mandare all’aria l’accordo di Ginevra del 2015, la vittoria dei conservatori non sarebbe certamente di buon auspicio per il rafforzamento delle relazioni con il mondo esterno.
E’ singolare poi la contemporanea presenza nell’area del presidente degli Stati Uniti in visita in Arabia saudita, tradizionale antagonista dell’Iran. Ecco dunque che entra in gioco il ruolo dell’Italia come possibile mediatore con un partner che è fondamentale per l’Europa e l’occidente. L’Iran è determinante per gli equilibri e la stabilità nella regione mediorientale, e un maggiore impegno di Teheran nella lotta contro l’Isis potrebbe favorire l’inizio di una nuova fase nell’area compresa tra la Siria e l’Iraq. Inoltre, l’Iran è un importante partner economico con cui l’Italia ha notevolmente incrementato gli scambi negli ultimi anni, sia in termini di commerci sia di investimenti, e non solo in ambito energetico, visto che siamo il secondo partner economico tra i Paesi Ue dopo la Germania. Il G7 di Taormina capita al momento più opportuno per focalizzare l’attenzione dei sette “grandi” sul dossier iraniano, impostato su binari positivi da Rohani e da Obama. Il primo potrebbe rimanere al suo posto, mentre il secondo è stato rimpiazzato da un presidente ancora molto incerto sul da farsi. Sarà compito dei leader a Taormina far capire a Trump che un Iran isolato e antagonista non migliora lo stato delle relazioni internazionali, che non sono mai state cosi complicate come in questa fase storica.
IL MANIFESTO - Farian Sabahi: "Voto in bilico, nulla è scontato"
La tecnica di Farian Sabahi è ben nota a chi si occupa di informazione sul Medio Oriente e ai dissidenti persiani: presentare una parte della dissidenza accettata dal regime degli ayatollah in modo da far apparire l'Iran teocratico come non troppo liberticida. La realtà, però, è differente. Farian Sabahi quando collaborava con La Stampa manipolò un'intervista a Abraham B. Yehoshua, il quale smentì con una lettera pubblicata sul quotidiano torinese. In quella circostanza Sabahi fu allontanata dalla Stampa.
Poi ha cominciato a collaborare al Corriere della Sera e al Sole 24 Ore - evidentemente gode di buone entrature - propagandando l'immagine di un Iran moderato che è lontanissima dalla realtà: un "Iran-washing" con cui cerca di ripulire il regime degli ayatollah dai crimini che quotidianamente compie. Oggi la vediamo scrivere sul Manifesto: il posto più indicato per le sue idee. Informazione Corretta ha già denunciato più volte l'attività di Sabahi.
Per avere maggiori informazioni sul lavoro da lei svolto in Italia, è utile sentire l'opinione dell'opposizione iraniana in esilio nel nostro Paese.
Ecco il pezzo:
Farian Sabahi
Le elezioni iraniane riservano spesso sorprese. Nel 2005 davamo per scontata la vittoria di Rafsanjani e invece ad accaparrarsi la poltrona di presidente della repubblica islamica era stato Ahmadinejad. Era stato eletto e, quattro anni dopo, riconfermato. Complici i brogli che avevamo messo fuori gioco i leader del movimento verde d'opposizione che restano agli arresti domiciliari. Ora, a fronteggiarsi sono il moderato Hassan Rohani e il conservatore Ebrahim Raisi, un membro del clero con il turbante nero dei Seyed, i discendenti del profeta Maometto.
Raisi è vicino al leader supremo che a marzo dello scorso anno lo aveva nominato custode del mausoleo dell'Imam Reza a Mashhad, nell'Iran nord-orientale, la cui fondazione ha un budget superiore al governo. Una nomina vista come la designazione dell'erede da parte di Khamenei che ha 77 anni e la cui salute è precaria. Che la vittoria di Rohani non sia scontata è ovvio: gli effetti dell'accordo nucleare tardano a farsi sentire perché restano in vigore le sanzioni finanziare degli Stati Uniti (e le banche europee sono riluttanti a farsi coinvolgere nel business con l'Iran), il presidente americano Donald Trump ne ha dette di tutti i colori contro Teheran, ha inserito i cittadini della Repubblica islamica nel decreto contro i musulmani e — mentre gli iraniani vanno alle urne — si reca in Arabia Saudita e in Israele, che dell'Iran sono i peggiori nemici. Se il voto non fosse in bilico non ci sarebbe stato bisogno che a sostenere Rohani fossero l'ex presidente riformatore Mohammad Khatami, il leader del movimento verde Mehdi Karrubi (seppur agli arresti domiciliari), il nipote dell'Ayatollah Khomeini e il primo vice-presidente Jahangir che ha ritirato la propria candidatura. A sostenere Rohani è anche Molana Abdolhamid, esponente del clero sunnita, perché il presidente in carica corteggia il voto delle minoranze come pure quello delle donne.
Anche se queste ultime non possono dirsi soddisfatte del suo operato perché molte organizzazioni femminili hanno subito una battuta di arresto per i controlli del governo e la fuga all'estero delle principali protagoniste, tant'è che le poche associazioni allo scoperto sono quelle del riformismo religioso, vicine a Rohani», osserva la studiosa Leila Karami, curatrice della raccolta di racconti Anche questa è Teheran, credetemi! (Schena editore).
Sul fronte conservatore, il sindaco di Teheran Ghalibaf ha fatto un passo indietro per non frammentare il voto della destra e favorire Raisi. Ma non è detto che coloro che avrebbero votato per lui — già capo della polizia, con un passato nei pasdaran - sosterranno Raisi che è un membro del clero con un torbido passato in magistratura. Rohani e Raisi sono uomini di regime, a decidere le questioni importanti (politica estera e nucleare) è il leader supremo Khamenei. Che vinca l'uno o l'altra cambia poco, dicono in molti. Certo, cambia poco, ma se Rohani vince al primo colpo senza andare al ballottaggio i falchi gliela faranno pagare. E poiché le libertà personali sono uno dei suoi slogan, daranno avvio al solito giro di vite, anche nei confronti della stampa liberale. Se fosse Raisi a ottenere la maggioranza, nel breve periodo aumenterebbero i sussidi ai ceti più bassi. Una politica economica di questo tenore avrebbe però serie ripercussioni nel medio e lungo periodo, perché salirebbero l'inflazione e il debito delle banche. Il nuovo governo cercherebbe di mettere in atto una maggiore segregazione dei sessi (già in atto nei comizi di Raisi a Teheran), limiterebbe le libertà per le donne e sul web. In politica estera, è prevedibile un confronto con gli Stati Uniti, Israele, l'Arabia Saudita e le altre monarchie sunnite del Golfo. Per esempio con una escalation del programma missilistico. Di conseguenza, l'Iran tornerebbe a essere isolato.
Certo è che l'affluenza alle urne sarà alta, così come i dibattiti elettorali sono stati accesi. Ad infiammare gli animi sono state le questioni economiche, con Rohani che ha attaccato il suo avversario per una gestione non del tutto etica del mausoleo di Mashhad e gli ha chiesto dove pensa di trovare i soldi per elargire sussidi, osservando che prelevarli dalla Banca centrale equivale a prendere i soldi da una tasca e a spostarli nell'altra. Nemmeno a Rohani sono state risparmiate le critiche e, per esempio, in occasione del secondo dibattito televisivo il candidato conservatore Mostafa Mirsalim, già ministro alla Cultura, lo ha accusato di essersi dimostrato debole nel negoziare con l'Afghanistan l'accesso alle acque del fiume Helmand, oggetto di discussioni fin dal 1870. E non sono mancate le critiche dei moderati all'interventismo in Siria, su cui si è soffermato l'ex sindaco di Teheran Karbaschi in occasione di un comizio nella provincia di Isfahan. Comunque vada, queste elezioni saranno servite a mettere sul tavolo tutta una serie di questioni su cui gli iraniani si dimostrano attenti.
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