Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 17/05/2017, a pag. 17, con il titolo "Finto moderato contro vero duro: povero Iran", l'analisi di Fiamma Nirenstein; dalla STAMPA, a pag. 1-4, con il titolo "Tra il popolo del religioso Raisi: 'Basta umiliazioni, via Rohani' ", l'analisi di Claudio Gallo.
Ecco gli articoli:
Ebrahim Raisi - Hassan Rouhani
IL GIORNALE - Fiamma Nirenstein: "Finto moderato contro vero duro: povero Iran"
Fiamma Nirenstein
Le elezioni in Iran, che si terranno venerdì 19, sono uno spettacolo per il pubblico internazionale, un dibattito sui candidati che a Firenze si risolverebbe con la poco aristocratica formula «accidenti al meglio». Sono, insomma, uno di quei fraintendimenti per cui il mondo intero, invece di starsi a chiedere chi è il più «moderato» dei candidati è autorizzato a dubitare della democrazia nella sua massima espressione, «una testa, un voto». In ogni caso chi vincerà non dovrà contentarsi del potere legato al suo ruolo, ma sarà anche decisivo circa l'identità (e forse lui stesso il successore) del prossimo supremo leader, Ali Khamenei, che ha 77 anni. Stavolta dopo una selezione preventiva che ha eliminato la clownesca ipotesi di rivedere al potere Ahmadinejad, due candidati occupano la scena sotto il manto nero di Khamenei.
Lui, un maestro della politica dello Stato Islamico, capace di mandare avanti l'accordo con gli Usa e il resto del mondo mentre incita le folle in piazza a mantenere vivo lo slogan «morte all'America e a Israele» in vista di sfilate di missili balistici, sembra alla fine tenere per un candidato che la stampa internazionale individua come il peggiore: il durissimo ayatollah Ebrahim Raisi. Tenendosi sul vago, Khamenei ha anche detto che non gli piace chi lascia entrare la cultura occidentale in casa sciita, ovvero, così si è letto, Rouhani. Che in realtà usa con noi le buone maniere giocando come il gatto col topo. Una zampatina morbida e poi l'unghiata.
Raisi probabilmente non è più integralista dell'attuale presidente, ma almeno lui dichiara chiaramente le sue credenziali di duro e ne viene premiato. Fu membro del comitato che sorveglio l'esecuzione di migliaia di dissidenti nel 1988. È stato pupillo alla scuola teologica del supremo leader per 14 anni sin dall'inizio degli anni Novanta, l'indubbia fedeltà a Khamenei intanto gli ha fruttato la presidenza di una fondazione religiosa multimiliardaria, la Astan Qods Razavi. Ma la sua caratteristica fondamentale e politicamente, per lui, promettente è quella di essere il candidato preferito delle Guardie Rivoluzionarie e dei Basiji, la milizia che tiene l'Iran sotto il suo tallone, che ne controlla i cittadini uno a uno cosicché non deviino dalla santità loro richiesta, che schiaccia la piazza fino a uccidere (come fece con il famoso assassinio pubblico di Neda durante la rivolta contro Ahmadinejad), che organizza i migliori soldati per le campagne imperialiste di cui ormai l'Iran, a partire dalla Siria, è campione. L'Irgc è interessata alla presidenza, al suo potere, ai suoi interessi economici. Ma ancora di più secondo gli esperti al controllo del prossimo Supremo Leader eliminando tutti i personaggi, definiti «tecnocrati», che ne ostacolano il potere assoluto.
Hassan Rouhani, presidente da 4 anni, è l'altro grande polo del dibattito. I commentatori scrivono che con la Guardie Rivoluzionarie ha frequenti scontri a causa di interessi economici divergenti: e si tratta, per l'Irgc, di questioni miliardarie. Rouhani agli occhi dell'Occidente è un'icona moderata, proprio come lo fu Khatami che è stato presidente battendo il record dell'eliminazione fisica degli intellettuali, arresti di massa, supporto del terrorismo internazionale, espansione del progetto nucleare. Rouhani, con quel sorriso da volpe innamorata, andò al potere avendo sulla testa la mano di Obama: ma ha avuto, come scrive l'intellettuale dissidente Amir Taheri, il primato assoluto in esecuzioni e reclusioni, in sostegno del terrorismo internazionale, esportazione di uomini armati e armi per disegni imperialisti in Medio Oriente. Non serve fantasticare sulla «moderazione» del prossimo presidente iraniano: l'unica speranza è che l'affluenza sia così bassa (e lo fu alle ultime elezioni) da certificare davanti al mondo il desiderio del popolo di voltar pagina, e indurre un cambiamento. Ma le Guardie Rivoluzionarie sono là per questo.
LA STAMPA - Claudio Gallo: "Tra il popolo del religioso Raisi: 'Basta umiliazioni, via Rohani' "
Claudio Gallo
Ali Khamenei
«Ora che i conservatori sono uniti, abbiamo soltanto due giorni per vincere», dice uno speaker sul palco del salone della Mosalla, la nuova ciclopica moschea di Teheran che ambisce (quando sarà terminata) a essere la più grande del mondo. Ecco l’altra metà del Paese. L’area per la preghiera straborda di uomini scalzi accovacciati e in piedi.
Una fiumana di chador si accumula nel gineceo di sopra, uomini e donne rigidamente separati. Nel caldo irrespirabile, giovani barbuti distribuiscono bottigliette di acqua minerale. Slogan si accendono e si spengono, il più urlato fa: «Dopo venerdì, Rohani non sei più qui».
L’agenzia conservatrice «Tasnim» dirà in serata che c’erano 300 mila persone. Tutti ad aspettare il candidato conservatore Ebraim Raisi accompagnato dal sindaco di Teheran Ghalibaf che ha rinunciato alla corsa spianandogli la strada verso la candidatura unica del fronte tradizionalista.
Raisi, 56 anni, un passato nelle alte cariche della magistratura, è presidente di una delle più ricche fondazioni religiose, presso il santuario dell’Imam Reza a Mashhad, una nomina fatta direttamente dalla Guida suprema. Il suo messaggio mescola conservatorismo religioso e retorica rivoluzionaria. Governo del clero per difendere i «mostazafin» dai «mostakberin», gli oppressi dagli oppressori, come si diceva ai tempi di Khomeini.
Esmail, 22 anni, studia giurisprudenza, regge una rosa rossa che si sta afflosciando. Capelli corti, niente barba. «Raisi vincerà – grida nel frastuono – con Rohani è aumentata la disoccupazione, la gente è sempre più povera per colpa sua. Ha sbagliato a fidarsi degli americani». Nei quattro anni dell’attuale presidenza la disoccupazione è passata dal 10,5 a oltre il 12 per cento, alcune fabbriche hanno chiuso, altre hanno smesso di pagare i dipendenti. Tuttavia, l’inflazione che ai tempi d’oro di Ahmadinejad era al 40 per cento è scesa al 9 mentre il Fondo monetario (Fmi) prevede per quest’anno una crescita del Pil del 3,3 per cento. La psiche altamente infiammabile degli iraniani avrebbe forse preferito un uovo oggi a una ipotetica gallina domani, anche perché l’accordo nucleare ha prodotto attese irrealistiche, visto le molte sanzioni ancora in vigore. Paradossalmente, l’uovo oggi era proprio la filosofia di Ahmadinejad a cui Rohani ha cercato di porre rimedio anche se i risultati non hanno ancora raggiunto le fasce più sofferenti.
Per parlare con una donna bisogna nuotare come un salmone contro la corrente della folla e raggiungere l’ingresso dove i percorsi dei sessi si dividono. Leila, 39 anni, di Teheran, lavora in una casa editrice. «L’emergenza è l’economia – dice anche lei – i giovani sono senza lavoro. Rohani non ha fatto niente». In un sondaggio del mese scorso il 42 per cento degli intervistati pensava come lei che l’occupazione fosse il problema cruciale. «E poi la giustizia», aggiunge così, perdendosi nella corrente dei mantelli neri su per le scale.
Reza sta entrando, è giovanissimo. «Ho 18 anni», sbotta. Jeans e maglietta nera, studente. Vota per la prima volta. «Bisogna raddrizzare l’economia, solo Raisi può farlo», declama con le parole di qualcun altro. Poi, un affondo: «La società deve tornare alla moralità, le ragazze farebbero meglio a coprirsi di più». Soddisfatto del suo rigorismo, sparisce nella calca.
L’urlo della folla annuncia l’arrivo di Raisi e Ghalibaf. Il candidato con il turbante nero solleva il braccio del sindaco che gli ha ceduto il passo nella corsa elettorale e l’altro, vestito di bianco, gli cinge al collo una sciarpa verde. Un boato fa quasi venir giù il soffitto. «Dicono – arringa dal palco Raisi – che se vinciamo noi non sapremo confrontarci con il mondo. È una bugia, lo faremo ma con onore e rispetto». Non è un grande oratore ma ora gioca in casa.
L’onore è un altro nervo scoperto del popolo conservatore. Per molti l’accordo nucleare ha umiliato l’orgoglio nazionale, perché non c’è stata parità tra le parti. Ruhollah, 55 anni, muratore del Sud di Teheran è più radicale del suo leader: «Se vinciamo noi cancelliamo l’intesa con l’America», dice asciugandosi il sudore dalla fronte con il fazzoletto. Ieri a Masalla, erano tutti convinti di potercela fare.
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