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Il silenzio in certi casi è meglio a destra: Cari amici, è strano, non ce l’ha raccontato nessuno, ma nel virtuoso (o piuttosto virtuale) stato di “Palestina” l’altro ieri si sono svolte le elezioni. Elezioni comunali, niente di speciale, direte voi, se siete informati. Dunque è normale che i giornali non ne parlino. Eh già, normale, se siete in democrazia. Ma non in quello stano mostro politico che pretende di essere “la Palestina”: uno “stato” proclamato già due o tre volte, ma che minaccia continuamente di costituirsi, senza moneta, senza un parlamento attivo, diviso in due sottostati che si odiano, cioè la provincia di Ramallah e quella di Gaza, e soprattutto senza elezioni dal 2006, con un presidente scaduto da dieci anni. Be’, dopo molti rinvii delle elezioni – solo comunali, beninteso, non parlamentari o presidenziali – si sono tenute. Ragione per festeggiare, non solo per “gli amici della Palestina”, ma anche per quelli che vogliono la pace, perché di solito democrazia e guerra non stanno proprio bene assieme. celta necessaria, per il movimento di Abbas, che sta cercando di affamare Hamas, avendo tolto nelle ultime settimane a Gaza il pagamento dell’energia elettrica, dimezzato gli stipendi dei dipendenti pubblici e da ultimo rifiutato il pagamento delle spese mediche – cosa che pacifisti, preti e media antisraeliani non hanno naturalmente raccontato al pubblico, restando attaccati all’idea che Israele sia il gestore del “campo di concentramento” che loro vedono a Gaza. Ma scelta non tanto pubblicizzabile. Il “Post”, l’unico medium italiano che ho trovato parlare di queste elezioni, scrive nell’articolo molto simpatetico coi palestinesi che vi ho citato poche righe più sopra che “ci si aspetta che votino più o meno 800mila palestinesi sui circa 3 milioni che secondo le stime ufficiali abitano in Cisgiordania”. Se tanto mi dà tanto, anche il numero di “circa 3 milioni” andrebbe severamente ridimensionato. E’ probabilmente gonfiato per ottenere finanziamenti, ricattare Israele con la “bomba demografica”, per fare dei “palestinesi” un popolo vero e proprio, per ignorare che i “profughi e rifugiati del ‘48 e del ‘67” sono spesso emigrati volontari anche recenti in cerca di fortuna economica. Ma quando si tratta di contarsi per davvero, chi si presenta è molto meno. Meglio per i palestinisti non parlarne troppo.
E infine c’è un altro motivo. I risultati non sono per lo più ancora noti, lo saranno (forse) lunedì sera. Ma qualcosa si sa già, e non è certo consolante. Per esempio si conosce il nome del nuovo sindaco di Hebron, che probabilmente è il posto dove è più violento il microterrorismo palestinista dei coltelli, dopo la città vecchia di Gerusalemme. Questo è un risultato delle elezioni volute dal “dittatore del libero stato di Ramallah”, per citare Woody Allen. Come se a sindaco di Francoforte eleggessero un ex SS. Non è un bel segnale, nemmeno per dei filopalestinisti. Anche su questo, un bel silenzio è meglio.
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