Le prossime elezioni del 19 maggio in Iran, nei due servizi usciti oggi, 15/05/2017 sulla STAMPA a pag.13 di Virginia Pietromarchi e su REPUBBLICA a pag.27 di Marco Belpoliti. Preceduti da un nostro commento.
Le guardie della rivoluzione islamica
La Stampa-Virginia Pietromarchi: " Nella Teheran dei giovani fra musica e profumi proibiti "
Virginia Pietromarchi
Il titolo color rosa dà la linea al contenuto. A parte un breve accenno alle rivolte dei giovani stroncate nel sangue, il ritratto che Virginia Pietromarchi dà della capitale è del tutto superficiale. In una dittatura spietata ci si dovrebbe piuttosto chiedere quali siano gli strumenti concessi dal regime per capire come la pensano i cittadini, giovani e non. Dare un'occhiata ai bar, non serve per capire. L'accenno all'accordo sul nucleare viene ricordato come un evento positivo, ma è sicura la cronista che gli iraniani vogliano la bomba atomica? Sul 'miracolo economico' che non arriva Pietromarchi lascia capire che la colpa è di Trump. Ma lo dicono i mullah, non l'opinione pubblica.
Un brutto articolo, con troppe omissioni.
Nel sotterraneo di un edificio di piazza Felestin nel cuore di Teheran si svolge un concerto di musica elettronica. La protagonista è una ragazza che «smanetta» su un computer producendo un suono irrequieto e violento. Un pubblico di giovani ascolta seduto e immobile. Il fatto straordinario è che il concerto è stato autorizzato dalle autorità iraniane. Risalendo alla superficie per arrivare ai piani alti di un’altra palazzina, i ragazzi commentano il successo dell’evento. Tra un bicchiere e l’altro di araq – una grappa all’iraniana che solo gli armeni sanno, e possono, produrre – i ragazzi finiscono a discutere delle presidenziali di venerdì 19 maggio. E il dilemma che li attanaglia è in fondo assai semplice: votare o no? Il fronte del sì ha più adepti, ma senza entusiamo. La sensazione è che prevalga il senso di responsabilità, in fondo - dicono – se Ahmadinejad nelle elezioni del 2005 ha vinto è stato anche a causa della bassa partecipazioni dei giovani. Al passaggio di pizze farcite peperone e pollo condite con ketchup affiora il vero fronte pessimista. Nonostante l’amministrazione di Hassan Rohani – attuale presidente e favorito nei sondaggi con il 42% – abbia mostrato maggiore flessibilità nel concedere permessi a varie manifestazioni culturali, gli organizzatori dell’evento si schierano compatti per il non voto. «Ci concedono degli spazi e noi ce li prendiamo. Il resto è già stato deciso, votare è superfluo». Cala nella stanza un silenzio di piombo nutrito dall’idea che non sono loro ad aver guadagnato terreno, ma che è il sistema ad aver concesso qualcosa in più, come a voler lasciare uno spazio di sfogo. Chi parla fa parte di quella generazione che a quindici anni – sotto il governo ultraconservatore di Ahmadinejad – comprava le cassette dei Led Zepellin che i contrabbandieri su viale Vali Asr tenevano sotto i cappotti. È la stessa che, appena raggiunta la maggiore età, è scesa in piazza diventando «Onda verde» a protestare contro i brogli elettorali del 2009, dando vita alla più grande forma di opposizione civile dai tempi della rivoluzione. Sono coloro che nel 2015 sono di nuovo nelle strade a festeggiare ciò che pensavano fosse l’unica vera svolta: l’accordo nucleare con gli Stati Uniti. Qualcosa però poi non ha funzionato. Il miracolo economico che Rohani aveva promesso non è ancora arrivato. La retorica di Trump intimidisce gli investitori stranieri. L’inflazione è scesa, ma il tasso di disoccupazione è ancora al 30% e i ragazzi per raggranellare qualche soldo fanno nel tempo libero i tassisti per Snap, la versione iraniana di Uber. Il mancato entusiasmo dei ragazzi per le prossime elezioni è il prezzo che Rohani sta pagando per l’eccessiva speranza che gli era stata accordata durante le elezioni del 2013. Molti giovani hanno rinunciato al coinvolgimento politico come conseguenza della brutale repressione dell’Onda Verde nel 2009, trauma che torna puntuale nei loro racconti ogni volta che si parla di partecipazione alla sfera pubblica. I più giovani ancora – che delle proteste non hanno alcun ricordo – vivono inoltre con meno pressione il confronto con le restrizioni islamiche dettate dal regime. Il governo ha infatti aumentato il suo grado di tolleranza nei confronti di diversi aspetti formalmente considerati illegali, ma che seppur non ufficialmente fanno parte della vita di ogni iraniano. L’apertura di innumerevoli gallerie, la popolarità dei caffè hipster e la vendita di acqua di colonia di marche di lusso nei centri commerciali hanno addolcito ulteriormente la vita quotidiana della classe media della capitale. Come risultato i giovani godono - almeno in apparenza - di una dimensione meno politicizzata del loro quotidiano, che distoglie l’attenzione dalla politica. Lo stato concede spazio in più sapendo che la popolazione giovanile è più «armata» di smartphone che di ideali. Il confine tra ciò che è stato conquistato e ciò viene concesso risulta sempre più confuso. Intanto si va alle serate di musica elettronica. Seduti e in silenzio.
La Repubblica-Marco Belpoliti: " Leggere Calvino a Teheran con i libri italiani ospiti d'onore "
Marco Belpoliti il mausoleo dorato di Khomeini
C'è da provare un profondo senso di vergogna a leggere la cronaca di Marco Belpoliti, che ci ricorda molto il grande ammiratore della dittatura iraniana Gianni Vattimo. L'Italia era l'ospite d'onore alla Fiera del Libro di Teheran, un paese dove scrittori e registi appena possono lasciano il paese. Per Belpoliti invece tutto luccica, come il 'mausoleo dorato dove riposa la salma di Khomeini', un sanguinario dittatore.Teheran è una città dove la cultura gli appare libera, mentre la realtà è un'altra. Andare a Teheran sotto la dittatura teocratica è come essere andati a Berlino nella Germania nazista, un sostegno al regime.
TEHERAN- Il luogo più visitato della capitale iraniana è un ponte pedonale che collega due zone verdi: Parco Abo Atash e Parco Taleghani. Ricorda il Beaubourg per le travature metalliche, ma anche la High Line di New York per la funzione che ha assunto. Ci passeggiano famiglie, coppie, gruppi di giovani, donne velate, ragazzi: migliaia di persone ogni giorno. Sotto scorre il traffico intensissimo di questa città che conta 14 milioni di abitanti. Il ponte, simbolo di una società in grande movimento e trasformazione, l’ha disegnato Leila Araghian, una giovane architetta, nata nel 1983. Ed è lei che ha realizzato con lo studio Diba Group il Padiglione Italia nella Fiera Internazionale del Libro di Teheran: una struttura in legno di forma quadrata sulla cui diagonale sono esposti i libri degli scrittori italiani invitati, contornata da due sale e dalle riproduzioni di Raffaello e di Leonardo. L’Italia fino a sabato è stata l’ospite d’onore, il primo Paese occidentale invitato dopo la sospensione delle sanzioni imposte all’Iran. La Fiera si trova sulla strada per l’aeroporto internazionale, poco dopo il mausoleo dorato in cui è sepolto Khomeini. Comprende una serie di grandi ed eleganti padiglioni stracolmi di espositori, dove lo scorso anno si sono contati nei dieci giorni di apertura tre milioni di persone. Quest’anno (3-13 maggio) sono stati il 10 per cento in più, in gran parte giovani, gli stessi che compulsavano i libri italiani esposti e invitavano gli scrittori del Bel Paese presenti nello stand a scattarsi un selfie con loro davanti ai ritratti impressi sulle pareti del padiglione. Nella sala degli incontri potevi trovare Alessandro Barbero con le sue storie di un altro Medioevo, Valerio Magrelli, lettore di poesia del Duecento e Trecento, o Melania Mazzucco, che svelava i capolavori della pittura. Michele Serra ha parlato di giovani; Michela Murgia ha affrontato il tema dell’innovazione culturale e Gianni Biondillo quello dell’urbanistica di Milano e Teheran; Beatrice Masini ha descritto il nodo tra letteratura e società e Valerio Massimo Manfredi ha raccontato il bilico tra storia e leggenda; Guido Scarabottolo ha descritto per figure il mito di Pinocchio, Marcello Nardis la musica italiana e Marco Pastonesi l’epica dello sport (moltissimi iraniani apprezzano le nostre squadre di calcio). Ciascuno di loro si è confrontato con un autore iraniano da cui era accompagnato. La letteratura italiana è conosciuta in Iran. Qui sono stati tradotti quasi tutti i libri di Natalia Ginzburg, che ha avuto grande influenza sulle scrittrici iraniane dell’ultima generazione, ricorda Giacomo Longhi, giovane traduttore e scout che vive parte dell’anno a Teheran e lavora con parecchi autori di lingua farsi. Anche Dino Buzzati è noto con il suo Deserto dei tartari. Italo Calvino, poi, ha avuto una notevole fortuna a partire dagli anni Ottanta; quest’anno cade il cinquantenario della traduzione del Visconte dimezzato. Nell’incontro dedicato a lui e al viaggio intrapreso nel 1975 in Iran, di cui resta testimonianza in tre capitoli di Collezione di sabbia e in un racconto di Palomar, io stesso ho raccontato cosa avesse visto lo scrittore nella Moschea del Venerdì a Isfahan, nel tempio zoroastriano di Yazd e nelle rovine di Persepoli, quale morale traesse dall’incontro con le civiltà di questo antichissimo Paese. Antonia Sharaka, italianista, docente universitaria, racconta la storia delle traduzioni dello scrittore ligure. Alla fine del suo intervento, legge un brano dalla traduzione in farsi della Giornata di uno scrutatore dedicato alle elezioni del 1953 in Italia. Venerdì prossimo, infatti, in Iran si andrà alle urne per una decisiva elezione presidenziale. Nel 1953 in Italia fu bocciata la “Legge truffa” voluta dal partito al governo, la Dc. Cosa succederà ora in Iran? Tutti qui se lo chiedono, e anche con qualche ansia. Intanto i libri italiani offerti in Fiera vanno a ruba.
Per inviare la propria opinione, telefonare:
La Stampa: 011/65681
La Repubblica: 06/ 49821
oppure cliccare sulle e-mail sottostanti