Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 04/05/2017, a pag. 29, con il titolo "Quando Hitler s'innamorò delle leggi americane", la recensione di Siegmund Ginzberg.
Siegmund Ginzberg
La copertina
C'era un tempo in cui i nazisti guardavano all'America per ispirazione. Hitler era cancelliere da neanche un anno e mezzo quando, nel giugno 1934, i più eminenti giuristi del Reich si riunirono per progettare le famigerate Leggi di Norimberga per la purezza della razza. La burocrazia del regime ce ne ha conservato una trascrizione integrale. Sorprende l'attenzione con cui discussero e recepirono le leggi anti immigrazione e le leggi razziali Usa, e in particolare quelle che criminalizzavano i matrimoni "misti". Le leggi "Sulla protezione del sangue e dell'onore tedeschi", che negavano agli ebrei i diritti di normale "cittadinanza" e punivano severamente i matrimoni e i rapporti sessuali tra ebrei e cittadini "di sangue tedesco" furono emanate nel settembre 1935. Seguivano alla lettera le indicazioni del Mein Kampf.
L'idea veniva da Hitler in persona. Un libro di James Whitman, professore di diritto comparato a Yale, ne rintraccia per filo e per segno la genesi e l'attuazione. Si intitola Hitler's American Model: The United States and the Making of the Nazi Race Law (Princeton University Press). Il New York Times diede notizia delle Leggi razziali di Norimberga dedicando il titolo principale non alla sostanza antisemita dei provvedimenti, bensì a un aspetto appariscente ma secondario: l'adozione della svastica nella bandiera tedesca. Succede ai migliori giornali, anche ai nostri giorni. «Così Hitler risponde all'insulto», suonava la seconda riga. L' "insulto" si riferisce a un episodio di cronaca di qualche settimana prima. Per le strade di New York si confrontavano manifestazioni pro e anti-naziste. Quando attraccò il piroscafo Bremen, fu accolto da alcune migliaia di dimostranti anti-nazisti. Alcuni riuscirono ad arrampicarsi sulla nave e a strappare la bandiera con la svastica. Furono arrestati, e le autorità Usa chiesero scusa a Berlino. Ma intervenne un giudice a rimettere le cose a posto. Li fece scarcerare, sentenziando che avevano ammainato una «bandiera nera della pirateria», che rappresentava valori "barbarici", l'esatto opposto di quelli della democrazia americana.
Il giudice si chiamava Louis Brodsky. Era di nomina politica ed ebreo. Aveva ragione. Di fatto però finì col fare un regalo alla propaganda nazista. Proprio mentre in Germania era in corso il grande show di Norimberga. Poche settimane dopo attraccò a New York un altro bastimento tedesco, gemello del Bremen, l'Europa. Sbarcò 45 eminenti giuristi nazisti in "viaggio di studio". Tra loro il dottor Ludwig Fischer, che nel '39 sarebbe stato nominato governatore di Varsavia occupata, avrebbe creato il Ghetto dove — parole sue, una promessa mantenuta — «gli ebrei sarebbero crepati di fame e miseria», ne avrebbe spietatamente soppresso l'insurrezione, ne avrebbe mandati centinaia di migliaia nei campi di sterminio, e infine nel 1947 sarebbe stato impiccato come criminale di guerra.
I giuristi nazisti furono entusiasti per l'accoglienza da parte dei colleghi americani, malgrado qualche protesta da parte dei "soliti ebrei". In quegli anni '30 i nazisti non erano i soli ad interessarsi all'America, al modo in cui Henry Ford — uno che, per inciso, era più violentemente antisemita di Hitler — aveva inventato la catena di montaggio, al modo in cui avevano creato una formidabile base industriale, al modo in cui Hollywood faceva cultura di massa, e anche allo "stile di governo" di Roosevelt e al suo New Deal. Se ne interessava anche Stalin, e persino Gramsci nei suoi Quaderni dal carcere. Ma l'aspetto che aveva più positivamente impressionato i nazisti erano le leggi contro la mescolanza razziale e quelle per il controllo dell'immigrazione.
Già Hitler nel Mein Kampf aveva espresso ammirazione per il pragmatismo con cui gli Stati uniti, accortisi che il melting pot non funzionava, si erano decisi ad accogliere i "nordici", limitare l'afflusso di latini e slavi e sbarrare l'immigrazione a cinesi, filippini e giapponesi. «Se solo avessero esteso il trattamento dei non bianchi e meticci anche agli ebrei, la loro legislazione si attaglierebbe alla perfezione a noi», avrebbe osservato l'infame futuro presidente del tribunale supremo del Reich per i delitti politici, Roland Freisler. In effetti gli Stati uniti erano stati i primi al mondo a rinnegare l'impegno ad ergersi a rifugio di tutti gli oppressi del mondo, sancito sulla Statua della Libertà, per introdurre leggi contro l'invasione migratoria di indesiderabili: asiatici, malati, omosessuali, idioti, delinquenti, anarchici, e poi comunisti. Ben prima del bando di Trump a musulmani e messicani. E il peggio è che queste politiche avevano un consenso di massa, come la promessa di ordine e piena occupazione, di eliminazione del vagabondaggio, della criminalità e della corruzione politica.
Un paradosso è che poi il Reich avrebbe importato a forza, durante la guerra, milioni di immigrati a lavorare come schiavi. Sia pure in regime di stretta segregazione, specialmente sessuale. Erano ossessionati dalla "mescolanza di sangue". Rapporti interrazziali venivano puniti con il lager e la morte. C'erano certamente cose che Hitler e i nazisti odiavano dell'America: l'idea che gli uomini siano stati creati eguali, la democrazia rappresentativa e i principi liberali, l'idea wilsoniana dell'uguaglianza delle nazioni, accompagnata alla punizione della Germania imposta a Versailles. Altre ne ammiravano e avrebbero messo in pratica portandole alle estreme conseguenze: l'eugenetica, la capacità, pari a quella inglese, di imporre un impero. Hitler era entusiasta al modo in cui, espandendosi verso il West avevano sterminato «milioni di pellerossa», e vi si riferiva spesso a giustificazione della sua politica di espansione in cerca di "spazio vitale" a Est.
Sarebbe stupido concluderne che i nazisti abbiano imitato l'America, o che siano stati gli americani a inventare il razzismo. Così come non ha molto senso dare dell'Hitler o del fascista a ogni leader i cui sistemi di gestione ci evochino metodi di conquista e gestione del potere, banalità ideologiche, orrori e magari anche il consenso convinto, fanatico, maggioritario di cui godettero ad un certo punto quei mostri. Ma non cessa di meravigliare come l'America abbia potuto rappresentare, anche nel secolo scorso, tutto il meglio e, nello stesso momento, tutto il peggio che si potesse immaginare.
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