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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
04.05.2017 Storia dello zaatar, la maggiorana della Galilea
Commento di Davide Frattini

Testata: Corriere della Sera
Data: 04 maggio 2017
Pagina: 19
Autore: Davide Frattini
Titolo: «Israele, la disfida dello 'zaatar' l’erba dell’anima palestinese»

Riprendiamo dal CORRIERE DELLA SERA di oggi, 04/05/2017, a pag. 19, con il titolo "Israele, la disfida dello 'zaatar' l’erba dell’anima palestinese", il commento di Davide Frattini.

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Davide Frattini

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Lo zaatar (eizov in ebraico)

 

Bellicoso: «Non ci piegherete mai, resisteremo a sale e zaatar» (Ismail Haniyeh, capo di Hamas). Poetico: «Per due pugni di pietre e zaatar / io dedico questa canzone. Ad Ahmad, dimenticato fra due farfalle» (Mahmoud Darwish). Biblico: «Poi prenderete un mazzetto d’issopo, lo intingerete nel sangue che è nel catino e con il sangue che è nel catino spruzzerete l’architrave e i due stipiti delle porte; e nessuno di voi uscirà dalla porta di casa sua fino al mattino» (Esodo, 12:22). Evangelico: «I soldati dunque, posta in cima a un ramo d’issopo una spugna piena d’aceto, gliela accostarono alla bocca» (Giovanni, 19:29).

Nell’insalata di controversie, contese e nostalgie territoriali che è il Medio Oriente, lo zaatar (in arabo) o eizov (in ebraico, tradotto issopo) è la pianta simbolo delle pretese politiche e delle dispute in cucina. In questi mesi i prati della Cisgiordania e della Galilea si coprono delle foglioline grigioverdi di quello che corrisponde all’ Origanum Syriacum , una varietà di maggiorana. Per i palestinesi il suo profumo diffonde la causa nazionalista, per gli ebrei esalta la liberazione dalla schiavitù in Egitto. E per uno chef israeliano come Maoz Alonim rappresenta la possibilità di ricreare sapori che uniscano invece di dividere: «Da Tel Aviv vado a far la spesa a Nazareth — spiega il proprietario di HaBasta — perché provo a proporre i piatti della cucina palestinese ai miei clienti che da anni non mettono piede in un villaggio arabo».

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Tra marzo e maggio lo zaatar diventa un’altra radice del conflitto che non finisce: i palestinesi vogliono ripetere i gesti vecchi di secoli (piegarsi, strappare, chiacchierare con i compagni di raccolta), le autorità israeliane cercano di proteggere un vegetale a rischio di estinzione con multe fino a 1.200 euro e confische ai posti di blocco militari. «La sfida va avanti dal 1977 — scrive il quotidiano israeliano Haaretz — da quando le associazioni ambientaliste riuscirono a trasformare in legge la lista di 257 piante da tutelare. I palestinesi preferiscono non coltivare lo zaatar, replicano che il sapore di quello selvatico è molto diverso. Continuare a raccoglierlo è una protesta contro una norma emanata dagli “occupanti”». La diatriba — racconta il giornale — è stata affrontata da un saggio che sarà pubblicato dall’università di Tel Aviv.

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«È impossibile comprendere l’ingiustizia — argomenta Rabea Agbaria, l’autore arabo-israeliano — senza tenere in considerazione il contesto culturale: il significato che hanno lo zaatar e l’andare a prenderlo tutti insieme nel formare l’identità palestinese». Sono le ragioni che hanno spinto Vivien Sansour a tornare dall’estero sulle colline vicino a Betlemme e fondare la Palestinian Heirloom Society: preserva i semi e le tecniche agricole tradizionali da cui — dice — «fioriscono i canti delle donne, i nostri modi di dire, chi siamo come popolo». La battaglia attorno allo zaatar è anche commerciale, la coltivazione nelle serre e regolamentata permette di aumentare la produzione. La richiesta è cresciuta come la notorietà degli chef che hanno esportato la cucina israeliana nel mondo. A Londra Yotam Ottolenghi lo propone fresco o essiccato — con spezie, sale, semi di sesamo, sommacco siciliano — da spargere sulla focaccia (il manaqish, come da ricetta del Levante). Ika Cohen, pasticciera a Tel Aviv, ha vinto due anni fa il primo premio del concorso internazionale che sceglie le migliori creazioni al cioccolato: ha usato la piantina del Levante per insaporire i suoi tartufi.

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