Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Hapoel Beersheva, miracolo calcistico del Negev Commento di Davide Frattini
Testata: Corriere della Sera Data: 01 maggio 2017 Pagina: 15 Autore: Davide Frattini Titolo: «La favola di Alona, la 'regina del Negev' che ha trionfato con la squadra degli ultimi»
Riprendiamo dal CORRIERE DELLA SERA di oggi, 01/05/2017, a pag. 15, con il titolo "La favola di Alona, la 'regina del Negev' che ha trionfato con la squadra degli ultimi", il commento di Davide Frattini.
Davide Frattini
Alona Barkat
Beersheva sta a un centinaio di chilometri da Tel Aviv, ma è come se la sabbia ricoprisse un altro pianeta. Sonnacchiosa, polverosa, periferica, dimenticata, isolata. Neppure gli investimenti per sostenere l’università Ben Gurion erano riusciti a rilanciare la città in mezzo al Negev, troppo vicina alla Striscia di Gaza e troppo lontana dal resto Paese. Il nuovo stadio Turner, 16 mila posti, è una vera «cattedrale nel deserto», visto che si affaccia sulle valli pietrose e qui le famiglie vengono a pregare: per la squadra locale che sabato sera ha vinto il campionato con tre partite di anticipo. È la seconda volta di fila, quando è successo nel 2016 dall’ultimo titolo erano passati quarant’anni e molte retrocessioni. Che sugli spalti a incitare l’Hapoel non vadano solo agguerriti tifosi maschi è l’orgoglio di Alona Barkat, la presidentessa — o regina del Negev come la chiamano i sostenitori. Ha acquistato la squadra nel 2007 in saldo (per 1,7 milioni di euro) perché voleva investire in attività sociali e di volontariato, un’amica le aveva detto che attorno al calcio poteva costruire progetti per i ragazzi di famiglie difficili.
Beersheva sta a un centinaio di chilometri da Tel Aviv, ma è come se la sabbia ricoprisse un altro pianeta. Sonnacchiosa, polverosa, periferica, dimenticata, isolata. Neppure gli investimenti per sostenere l’università Ben Gurion erano riusciti a rilanciare la città in mezzo al Negev, troppo vicina alla Striscia di Gaza e troppo lontana dal resto Paese. Il nuovo stadio Turner, 16 mila posti, è una vera «cattedrale nel deserto», visto che si affaccia sulle valli pietrose e qui le famiglie vengono a pregare: per la squadra locale che sabato sera ha vinto il campionato con tre partite di anticipo. È la seconda volta di fila, quando è successo nel 2016 dall’ultimo titolo erano passati quarant’anni e molte retrocessioni. Che sugli spalti a incitare l’Hapoel non vadano solo agguerriti tifosi maschi è l’orgoglio di Alona Barkat, la presidentessa — o regina del Negev come la chiamano i sostenitori. Ha acquistato la squadra nel 2007 in saldo (per 1,7 milioni di euro) perché voleva investire in attività sociali e di volontariato, un’amica le aveva detto che attorno al calcio poteva costruire progetti per i ragazzi di famiglie difficili.
L'Hapoel Beersheva, vincente pochi mesi fa nel doppio confronto con l'Inter
Come sono tante a Beersheva, dove la popolazione è composta da immigrati ebrei dai Paesi nordafricani e alla periferia della sua periferia si accampano i beduini. Unica donna a possedere una società di calcio in Israele, è diversa dagli altri proprietari anche per le regole che ha imposto ai suoi tecnici: «Ho stabilito che il razzismo e il sessismo non possono entrare al nostro stadio — ha spiegato al giornale online Times of Israel —. Abbiamo giocatori ebrei, musulmani, cristiani. Tutti vengono giudicati in base ai meriti». A differenza di club come il Beitar di Gerusalemme, la cui dirigenza continua a cedere alle pressioni degli ultra razzisti e ormai evita di scritturare giocatori musulmani. Le vittorie non sono arrivate subito e Alona è stata guardata con superiorità dall’alto della curva, i tifosi non erano pronti a lasciarsi condurre da una donna. «Prima di comprare la squadra — ha raccontato in un’intervista al New York Times , il quotidiano americano — sono stata solo una volta a Beersheva, anche se sono cresciuta nel sud di Israele».
Continua a vivere a Tel Aviv con il marito Eli, fratello del sindaco di Gerusalemme: insieme i Barkat hanno staccato il biglietto milionario degli investimenti nelle start-up tecnologiche. L’Hapoel Beersheva ha un budget che è un terzo di quello del Maccabi Tel Aviv — i più titolati, sconfitti sabato e ormai a 11 punti di distanza — e ha battuto anche l’Inter l’autunno scorso in Europa League. Gli ingredienti per la rivoluzione sono stati elencati da Haaretz , il giornale della sinistra israeliana: «Determinazione d’acciaio, una genialità tranquilla per il comando e un’enorme riserva di amore. Condensati in una donna».
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