Turchia, è dittatura: il regime di Erdogan blocca anche Wikipedia Cronaca di Marta Ottaviani
Testata: La Stampa Data: 30 aprile 2017 Pagina: 11 Autore: Marta Ottaviani Titolo: «Erdogan blocca anche Wikipedia: 'Fa campagna contro la Turchia'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 30/04/2017, a pag. 11, con il titolo "Erdogan blocca anche Wikipedia: 'Fa campagna contro la Turchia'", la cronaca di Marta Ottaviani.
Marta Ottaviani
Recep Tayyip Erdogan
Non si ferma la deriva autoritaria dopo il referendum costituzionale dello scorso 16 aprile, che ha investito il presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdogan di super poteri. Ieri mattina, alle sette turche, le sei in Italia, il sito dell’enciclopedia online Wikipedia è stato bloccato in Turchia in tutte le sue edizioni. Inizialmente si è parlato di «precauzioni amministrative», citando la legge 5651, approvata quando Erdogan era premier e che dà alla Btk, l’Authority per le comunicazioni, il potere di bloccare i siti internet senza l’intervento della magistratura nel caso questi «contengano oscenità o rappresentino una minaccia alla sicurezza nazionale».
Ma con il passare delle ore, è venuto fuori il vero motivo. Stando al quotidiano Milliyet, che cita fonti ufficiali, Wikipedia, o Vikipedi, come la chiamano nella Mezzaluna, è stato bloccato per alcuni passaggi poco graditi alle autorità di Ankara e che parlavano di collaborazione della Turchia con alcune organizzazioni terroristiche. Stando a Milliyet, il Ministero dei Trasporti e delle Comunicazioni, ha chiesto più volte la rimozione del contenuto. Davanti al rifiuto dell’enciclopedia online, si è deciso di bloccare l’accesso al sito. Dal ministero hanno spiegato che «Wikipedia ha iniziato a fare parte di quei circoli che stanno conducendo una campagna di calunnia contro la Turchia nell’arena internazionale, invece che cooperare nella lotta contro il terrore». La risposta non si è fatta attendere. Jimmy Wales, il fondatore dell’enciclopedia online, ha scritto sul suo account Twitter ufficiale: «L’accesso all’informazione è un diritto fondamentale. Popolo turco, io sarò sempre al tuo fianco per lottare per questo diritto».
Proprio su Twitter si è diffusa la rabbia, ma anche l’ironia contro quello che viene considerato l’ennesimo atto per limitare il diritto all’informazione. Alcuni hanno postato il logo di Wikipedia con all’interno il simbolo dell’Akp, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo del Presidente Erdogan, parlando di AKPedia, l’enciclopedia halal (ossia rispettosa dell’Islam) della nazione. Al momento nel Paese ci sono circa 60mila siti bloccati, aumentati esponenzialmente dopo il fallito golpe del 15 luglio 2015. Fra questi, ci sono anche diversi diti di informazione. Twitter è stato bloccato più volte fra il 2014 e il 2016, soprattutto per evitare la diffusione di notizie che mettevano in imbarazzo il partito di maggioranza. Nel 2014, il sito di condivisione audio e video Youtube è rimasto inaccessibile per due mesi.
Non si fermano nemmeno le purghe di Erdogan, che continuano dall’anno scorso. Dal 16 aprile, quando il presidente ha vinto il referendum con un vantaggio risicato e fra accuse di brogli, sono finite in manette 1009 accusate di fare della rete di Fethullah Gulen, l’ex imam in autoesilio negli Usa, ex alleato di Erdogan e ora suo grande nemico. Ordini di arresto sono stati spiccati per altre 2000. Tre giorni fa sono stati sospesi 9000 poliziotti, sempre per presunti legami con Gulen. Il governo ha inoltre emanato due nuovi decreti, che sospendono quasi 4000 dipendenti pubblici e bloccano anche programmi tv dedicati agli incontri per trovare l’anima gemella, come riferisce il Turkish Minute.
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