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La Stampa Rassegna Stampa
28.04.2017 'Io, prigioniero cinque mesi in Siria'
Anticipazione del libro di Domenico Quirico 'Ombre dal fondo'

Testata: La Stampa
Data: 28 aprile 2017
Pagina: 29
Autore: Domenico Quirico
Titolo: «Il fardello maledetto di testimone del Male»

Riprendiamo dalla Stampa di oggi, 28/04/2017, a pag. 29, con il titolo "Il fardello maledetto di testimone del Male", l'anticipazione del libro di Domenico Quirico 'Ombre dal fondo'.

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Domenico Quirico

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La copertina (Neri Pozza ed.)

Quante volte mi hanno detto: basta pensare alla morte e alla strage, volta la testa dall’altra parte, rinuncia... scrivi di cose belle! Già, un buon consiglio. Ma se quello ti scorre dentro con tutto il mercurio e lo zolfo che ormai ti ha iniettato nelle vene? Io mi trovo sempre nel Male. È terribile dirlo ma è così. È naturale. Non posso farci niente, lui è in me, in noi. Non mi lascerà mai, non ci lascerà mai. Solo che voi non ve ne accorgete, non sentite le voci che salgono dal Fondo perché semplicemente siete un poco più lontani, non avete superato certe frontiere, non vi siete messi in cammino in certi luoghi.
Guardo il mondo attraverso una fessura delle sue mura, le mura del Male. Mi accorgo con il passare del tempo che quella fessura, quello squarcio si allarga impercettibilmente. Il paesaggio, tremendo, si fa via via più largo, arrivo a vedere particolari sullo sfondo lontano che prima mi apparivano velati e come inconsistenti. Eppure non è che questo dilatarsi significhi la possibilità di liberarsi. No. Al contrario la prigione del Male si fa, illogicamente, più stretta. Non la posso lasciare, non potrò lasciarla mai. Piena com’è sempre più soltanto di carcerieri, padroni, macellai.

Una confessione. Subito. È una cosa che al tempo del sequestro non ho detto. Ci sono cose per cui la sincerità non è immediata, ha bisogno di tempo per consolidarsi, si ha bisogno di tempo per meditare su di sé, per convincersi che parlarne, rivelarla è un dovere. I miei sequestratori non hanno agito per denaro. I primi sì, quelli a cui fu commissionato il rapimento o ne ebbero l’idea. Volevano far soldi con l’occidentale perché pensavano che avrebbero guadagnato assai più che con i poveri ricchi siriani con cui si riempivano normalmente le tasche. Ma il loro scopo era vendermi agli altri, ai purificatori. E lo scopo di questi ultimi era di mostrarmi, tra i primi, direttamente, che cosa era il loro Male stavano preparando: un cimitero maledetto per una umanità che doveva essere inghiottita.

Era il 2013. L’alambicco era quasi pronto, si preparavano a farlo arrivare all’ebollizione. Cercavano un testimone – sono stato forse l’ultimo a dover rivestire questo ruolo per loro, dopo sono venute le vittime sacrificali per riti sanguinosamente comunicativi. Sapevano che se non fosse accaduto nulla di imprevisto alla fine mi avrebbero liberato, forse anche se nessuno avesse pagato.

Togliete questo elemento e il mio sequestro si riempie di misteri. Volevano che un occidentale, un testimone di mestiere, guardasse in faccia il Male, vi si immergesse fino in fondo, lo respirasse. E poi tornasse ad annunciare, a raccontare: laggiù voi parlate di al Qaeda, di vecchio terrorismo. Questo è un’altra cosa, un progetto più grande e terribile... È il rovesciamento dei ruoli: non nascondersi come gli antichi settari islamici dediti all’autobomba, bensì svelarsi annunciare gridare ai quattro venti il proprio progetto di palingenesi. È per questa impossibilità di fuggire diventata più salda di un reticolato, di un muro, che io ritorno ogni volta laggiù, nel Fondo. Come per un richiamo che funziona in modi arcani, come la sirena di una nave e la voce delle sirene.

Non possiamo farci niente, quello che abbiamo vissuto, voi non lo vivrete per fortuna mai... almeno per ora. Come esploratori del Male, siamo diventati nostro malgrado degli esseri a parte, non peggiori o migliori: solo diversi. Come coloro che lavorano in miniera o in posti tossici e pericolosi: il tempo, la permanenza li ha deformati. Non c’è nulla di eroico in tutto questo. Niente. Solo una constatazione. Siamo più duri per certe cose. Guardare la morte la tortura il macello. Ma quando cerchiamo di amare, di spiegarci, di vivere in mezzo a voi, di entrare dentro di voi, siamo infinitamente più fragili. Non sappiamo più amare. In fondo è così anche con Dio... Ma di questo non ora, per pietà, di questo dovremo parlare ancora prima della fine...

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