Una festa che non ci lasceremo rubare dagli eredi dei nazisti
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
A destra: la Brigata ebraica sfila a Milano
Cari amici,
oggi cade il settantaduesimo anniversario della liberazione dell’Italia dal nazifascismo (una data convenzionale, come quella di tutte le ricorrenze storiche: si tratta in realtà della liberazione di Milano; gran parte d’Italia era già stata liberata, ma parti del Nord rimasero in mano ai tedeschi per qualche giorno ancora). Il caso vuole che, come tutti gli anni questo anniversario segua di un giorno la data che ricorda l’inizio del genocidio armeno, il 24 aprile del 2015. Ma che quest’anno il 24 aprile è anche la data stabilita dallo Stato di Israele per il ricordo del genocidio, che cade secondo il calendario ebraico il 27 del mese di Nissan e dunque ha corrispondenze variabili nel calendario civile occidentale. La data è tratta da quella dell’insurrezione del ghetto di Varsavia e infatti il nome completo della giornata è “Yom Hazikaron laShoah ve-laG'vurah”, giorno della memoria della distruzione e dell’eroismo.
Si tratta di coincidenze, l’ho detto: nel nostro calendario la rivolta del Ghetto di Varsavia iniziò il 19 aprile del 1943. Ma vale la pena di prenderne in considerazione il senso. Il 25 aprile non ricorda solo la fine di una guerra lunga e dolorosa, come il 4 novembre, proclamata giornata dell’unità nazionale perché si concluse vittoriosamente in questa data la partecipazione italiana alla prima guerra mondiale. E non festeggia neppure la semplice caduta della dittatura fascista, che in fondo avvenne il 25 luglio 1943, dato che la repubblica di Salò fu un semplice stato fantoccio dei nazisti. L’importanza del 25 aprile è data soprattutto dal fatto di ricordare la rivolta (di cui la lunga lotta indomita del ghetto di Varsavia è stato uno degli episodi più eroici) fine (in Italia) di un regime genocida e criminale più di ogni altro. Il 25 aprile ha un senso più forte di tutte le altre ricorrenze storiche recenti, proprio perché segna la vittoria della civiltà occidentale sul genocidio. Bisogna dire che questa vittoria fu dovuta innanzitutto agli eserciti alleati. Senza la decisione di Churchill di non piegarsi, senza la rivolta di De Gaulle, senza la sanguinosa autodifesa russa, senza soprattutto il generoso intervento degli Stati Uniti nella guerra contro il nazifascismo, non ci sarebbe stata nessuna vittoria.
Certamente in Italia, come in Francia, in Polonia, in Yugoslavia e altrove ci fu una resistenza popolare che in Italia si espresse dopo l’8 settembre del ‘43. E però dappertutto, salvo in Yugoslavia, i partigiani non furono determinanti nella liberazione, per una ovvia questione di numeri (secondo la “Storia dell’Italia partigiana” di Giorgio Bocca, furono circa 3.800 a battersi nell’inverno 1943-1944, 12.600 nella primavera 1944; circa 70.000 in estate; poi nell’inverno ‘44-’45 il numero crollò e al 25 aprile 1945 crebbe fino a 80.000) e di armamenti (i partigiani non ebbero mai mezzi corazzati, aviazione, artiglieria). Ma certamente la Resistenza ebbe un valore importante sul piano morale e politico, mostrando che era nata un’altra Italia, oltre a quella di Mussolini, che per molti anni era stata assolutamente dominante: la stessa Italia che aveva in larga parte non solo accettato senza proteste le leggi razziste del fascismo, ma collaborato attivamente con esse.
Si capisce allora che, dal punto di vista ebraico, la Resistenza fu un momento di riscatto per la nazione cui appartenevano ed appartengono, per la cui Unità si erano battuti, e che li aveva traditi non solo nelle sue manifestazioni ufficiali (il fascismo, il re, la magistratura, la burocrazia che avevano applicato le leggi inique), ma anche nella dimensione della vita quotidiana (la scuola, il lavoro, le associazioni) dove erano stati colpiti e umiliati. Gli ebrei peraltro parteciparono alla Resistenza in misura ben maggiore al loro peso demografico. Di conseguenza hanno sempre considerato il 25 aprile come una loro liberazione, una festa che li riguardava personalmente, che era una loro festa. La prova di questa partecipazione sta anche nella storia della Brigata Ebraica: i movimenti sionisti, pur essendo in forte conflitto con il Mandato Britannico che aveva bloccato le immigrazioni lasciando in mano ai nazisti e dunque condannando a morte milioni di ebrei, allo scoppio della guerra decise di sospendere lo scontro, chiese ai suoi militanti di arruolarsi volontari nell’esercito inglese, aiutò con loro a formare un “Reggimento di Palestina” (in grandissima maggioranza composto da ebrei) e chiese insistentemente al governo britannico di poter costituire un proprio reparto caratterizzato come ebraico: che gli ebrei coi loro simboli lottassero contro Hitler era un segno importantissimo. La formazione del reparto ebraico fu concessa solo nel ‘43, dopo forti resistenze politiche. La brigata così costituita fu spedita sul fronte italiano nel ‘44 e combatté nel ‘45 con onore sul fronte adriatico e soprattutto in Emilia. (per una ricostruzione della genesi della Brigata, rimando a questo libro: https://www.google.it/search?q=Aracne+editrice+Brigata+ebraica&oq=Aracne+editrice+Brigata+ebraica&aqs=chrome
..69i57.13234j0j7&sourceid=chrome&ie=UTF-8)
La memoria della Resistenza sarebbe stata però monopolizzata fin da subito dai comunisti, che cercarono in tutti i modi di presentarla come una iniziativa di partito – con lo stesso spirito con cui cercarono per anni di negare che ad Auschwitz fossero morti degli ebrei e non semplicemente dei polacchi, ungheresi, olandesi, italiani ecc. Le bandiere delle forze che avevano davvero liberato l’Italia (gli Usa, innanzitutto, la Gran Bretagna, la Francia) e anche quella della Brigata ebraica non furono mai ammesse ai cortei. Quando gli ebrei incominciarono a rivendicare la loro presenza, sotto il vessillo della Brigata ebraica, le reazioni della sinistra furono sempre negative e questo atteggiamento peggiorò col tempo. A testimonianza di questo atteggiamento vi invito solo a leggere l’incredibile articoletto di otto anni fa firmato da Gad Lerner sul suo blog (http://www.gadlerner.it/2009/04/25/gli-abusatori-della-brigata-ebraica/), un attacco alla partecipazione ebraica doppiata da un intervista radiofonica dei giorni scorsi, che io, come molti altri, giudico oltraggiosa, oltre che piena di errori fattuali: https://www.radioradicale.it/scheda/506660/celebrazione-del-25-aprile-a-roma-intervista-a-gad-lerner.
Il problema dell’insofferenza, che è tipicamente comunista, degli ebrei come soggetto politico è stato aggravato dal fatto che dagli anni ‘50 il movimento comunista (imitato poi dai suoi eredi) si schierò contro Israele, che ha il torto di essere democratico e si sono alleati con le dittature locali (oggi difendono la Siria di Assad...). In particolare ai comunisti vecchi e nuovi piace il terrorismo palestinese, forse per nostalgia della violenza rivoluzionaria. E dunque hanno ospitato sempre nelle loro manifestazioni, anche il 25 aprile, i palestinisti, incuranti delle loro posizioni razziste, antisemite, genocidarie e della diretta genealogia che lega la loro direzione attuale ad attivi collaboratori e alleati del nazifascismo (non solo il Muftì di Gerusalemme, ma tutto il movimento panarabista lo era). Queste posizioni hanno trovato una base in buona parte nell’ANPI, che dopo la fine del PCI di cui era un organismo collaterale e la morte di molti partigiani, è diventato progressivamente un gruppuscolo dell’ultrasinistra. Questo spiega la rottura che è avvenuta negli anni scorsi a Roma, dove ha sede la comunità ebraica più forte d’Italia, che si è ribellata al tradimento palestinista del 25 aprile. Per questa ragione oggi a Roma ci saranno due manifestazioni, una promossa dall’ANPI che ha rifiutato di tenere a bada gli estremisti di sinistra e i palestinisti e uno organizzato dalla comunità ebraica cui aderisce anche il PD.
A Milano, come in una serie di altri luoghi, questa rottura non è avvenuta. In particolare nella città lombarda che è stata capitale della Resistenza, c’è un gruppo dirigente dell’ANPI che non ha subito la degenerazione politica di quelli nazionale e romano e si è impegnato a difendere non solo il diritto degli ebrei di sfilare, ma anche l’onore della Brigata ebraica. Allo stesso modo si è espresso il PD e il sindaco, che ha promesso di unirsi ai molti politici di vari schieramenti (per esempio Parisi e Podestà), che già da diverse occasioni analoghe hanno espresso solidarietà alla Brigata. Le due scelte, di sfilare a Milano e di separarsi a Roma, non sono in contraddizione: quel che cambia è l’atteggiamento dell’Anpi nelle due città. Io sarò nel corteo di Milano a testimoniare, come tanti altri, che il 25 aprile oltre a una festa nazionale è specialmente una festa ebraica. Esserci significa prolungare il gesto di ricordo del Yom haShoà celebrato ieri in Israele e nelle sinagoghe di tutto il mondo.
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