Riprendiamo da LIBERO di oggi, 18/04/2017, a pag. 11, con il titolo "Spuntano brogli, gente in piazza", l'analisi di Carlo Panella; dalla STAMPA, a pag. 3, con il titolo "Il blocco sunnita compatto dietro il leader più forte", l'analisi di Giordano Stabile.
Ecco gli articoli:
Il sultano Erdogan: "Atatürk sarà presto un lontano ricordo"
LIBERO - Carlo Panella: "Spuntano brogli, gente in piazza"
Carlo Panella
Recep Tayyip Erdogan ha vinto il suo referendum ed è stato incoronato Sultano della Turchia, sia pure col misero - ed equivoco - 51,4 %. Non poteva essere altrimenti, perché ha barato. Durante la campagna elettorale ha conculcato ai fautori del no il diritto a parlare, ha concesso loro solo il 10% degli spazi televisivi, ha impedito comizi e arrestato oppositori. Ma soprattutto ha palesemente falsificato le schede, sino a imporre come valide schede elettorali non timbrate, fogli dicarta pre compilati. Elezioni truccate dunque e non solo per l’opposizione laica del Chp, che chiede l’annullamento del voto, ma anche per gli osservatori dell’Osce chehanno denunciato «violazioni che contravvengono agli standard Osce, a quelli europei e agli obblighi internazionali sulla libertà e l’equità delvoto». La capo delegazione dell’Osce Tana De Zulueta è stata chiarissima: «È mancata imparzialità, il campo di gioco non è stato allo stesso livello per tutti».
DITTATURA Ma, nonostante l’autorevolezza della denuncia dei brogli, Erdogan ha vinto: grazie al controllo ferreo della commissione elettorale e della magistratura, il voto verrà dichiarato valido e sino al 2029, e oltre, potrà di fatto essere il dittatore, il Sultano di una Turchia che ieri è uscita formalmente dal novero delle nazioni democratiche. Problema enorme per l’Europa, per la Nato, della quale la Turchia fa parte. L’aspirazione a ripristinare il sultanato, d’altronde, è stata chiaramente espressa dallo stesso Erdogan che pochi giorni fa ha annunciato roboante: «il periodo iniziato col 1923 è finito!». E il 1923 è appunto l’anno in cui Kemal Atatürk ha abolito il Sultanato e fondato le istituzioni di quella Turchia laica che ieri ha cessato di essere tale. Da oggi in poi infatti il presidente-Sultano Erdogan potrà imporre qualsiasi legge e qualsiasi provvedimento a un Parlamento depotenziato di ogni potere, che non potrà votare neanche la fiducia ai ministri e che potrà sciogliere a suo piacimento. Non solo, potrà nominare a piacere i magistrati e liberarsi di quelli scomodi, grazie al controllo diretto sulle procedure di nomina. Ancora, avrà il controllo sui Servizi Segreti, così come, naturalmente, sulle Forze Armate. Insomma, fine della distinzione tra esecutivo, legislativo e potere giudiziario: una vera e propria dittatura elettiva, con elezioni truccate per di più . Il tutto, all’insegna - questo è l’elemento più grave per l’Europa - della «guerra ai crociati», cioè alla cristianità, all’Occidente. Ha dell’agghiacciante infatti il suo primo commento: «Abbiamo sconfitto le nazioni crociate!». Chiaro, pericoloso, richiamo alla «guerra di religione» e alle sue polemiche roventi delle settimane scorse contro la Germania e l’Olanda, da lui definite «naziste», perché avevano impedito ai suoi ministri di tenere comizi tra gli immigrati turchi residenti sulloro territorio. Emigrati che hanno votato in netta maggioranza per il Si, facendo emergere un dato ancora più allarmante per l’Europa. Pur avendo in massa la doppia nazionalità, gli emigrati turchi, votando a favore del Sultanato, hanno dimostrato infattinon solo di rifiutare la democrazia nel loro Paese, ma anche e soprattutto di non avere alcuna intenzione di integrarsi nelle democrazie europee. Con questo voto hanno dichiarato forte e chiaro che - pur anche cittadini tedeschi, francesi e olandesi - rifiutano le regole della democrazia e preferiscono quelle della sharia e del sultanato.
POCHE SPERANZE Infine, ma non per ultimo, una valutazione sulla ennesima prova della debolezza elettorale delle forze politiche turche che si oppongono ad Erdogan. È evidente infatti che i brogli e le manipolazioni del voto sono stati possibili perché i No, pur al 48,4% nonostante i brogli, non sono stati massicci, plebiscitari. Pure, non solo il laico Chp eil curdo Hdp (i cui leader sono in galera con false accuse) si sono espressi per il No, ma anche la Akp, il partito di Erdogan, si è spaccata con la sotterranea campagna per il No addirittura da parte dell’ex presidente della Repubblica Abdullah Gül e di molti suoi seguaci, così come si è spaccato in due anche il nazionalista Mhp. Ciononostante, come già nelle elezioni politiche, gli oppositori del Sultano non sono riusciti a mobilitare una marea di voti. La ragione diquesta debolezza è semplice: forti nelle città (Istanbul, Smirne e Ankara hanno votato No) questi oppositori - dal programma vecchio e stantio e soprattutto appesantiti dalla corruzione - non contano nulla nell’immensa provincia e in Anatolia, anche tra i cosiddetti «ceti produttivi». E il Sultano trionfa.
LA STAMPA - Giordano Stabile: "Il blocco sunnita compatto dietro il leader più forte"
Giordano Stabile
Una vittoria anche contro «i crociati». Lo ha detto Erdogan nel primo discorso dopo il sì al referendum, lo pensano in molti nel mondo arabo. Se si allarga il fossato fra la Turchia e l’Europa, quello con il Medio Oriente si restringe come mai dal 1923, quando è nata la moderna repubblica di Atatürk. È soprattutto il fronte conservatore a festeggiare la vittoria del leader turco, capace di modellare la più importante potenza sunnita in senso islamico.
L’Akp, il partito di Erdogan, ha avuto fra le principali fonti di ispirazione i Fratelli musulmani. Un islam «politico» da conciliare, finché possibile, con la democrazia. I disastri della Primavera araba hanno ridimensionato questo modello ma ora la Turchia presidenziale potrebbe rilanciarlo. I primi a felicitarsi con il presidente turco dopo la vittoria sono stati il Qatar, maggior sponsor dei Fratelli musulmani, il leader tunisino del partito islamico Ennhadha, Rached Ghannouchi, che già domenica sera ha chiamato al telefono Erdogan, come pure il presidente e il premier pachistani Mamnoon Hussain e Nawaz Sharif.
Anche l’Arabia Saudita, pure su posizioni un po’ diverse rispetto al Qatar, ha espresso la sua soddisfazione. La vittoria di Erdogan rafforza anche le milizie di Misurata, da sempre sostenute da Ankara. La città commerciale ha secolari rapporti privilegiati con la Turchia e diventa ancora di più strategica per il futuro della Libia. Chi non festeggia è invece il presidente egiziano Abdel Fatah Al-Sisi, principale avversario dei Fratelli Musulmani, e sostenitore del generale libico Khalifa Haftar, in guerra con Misurata per il controllo dei porti petroliferi e degli oleodotti nel deserto libico.
La partita in Siria
Il linguaggio usato per annunciare la vittoria, «abbiamo combattuto e vinto contro tutte le difficoltà, siamo stati attaccati da nazioni animate da uno spirito da crociati, ma non ci siamo fatti intimorire», è piaciuto molto anche ai gruppi più oltranzisti fra i ribelli siriani. Erdogan ha poi ribadito il suo interesse nella partita siriana e detto che l’operazione Scudo dell’Eufrate, nel Nord del Paese «non è l’ultima, ma la prima», segno che la zona di influenza turca potrebbe allargarsi ancora. La vittoria di Erdogan è invece una brutta notizia per il raiss siriano Bashar al-Assad, che sperava in un suo indebolimento.
Tutti i gruppi ribelli appoggiati dalla Turchia, a partire da Ahrar al-Sham, hanno festeggiato. Più imbarazzante il sostegno di Hayat al-Tahrir al-Sham, emanazione di Al-Qaeda. Un comunicato saluta la vittoria di Erdogan che porta la Turchia «più vicina al mondo islamico sunnita». E il grande rivale sciita, nonché maggiore sostenitore di Assad, l’Iran? Per ora mantiene una posizione ambigua: da una parte vede con preoccupazione il rafforzarsi del fronte oltranzista sunnita, dall’altra la possibile nascita di una «Repubblica islamica turca» va nella direzione degli ayatollah, che vedono nella religione l’unico fondamento sicuro anche per gli Stati moderni. Il sunnismo della Turchia, molto influenzato dai pensatori sufi, non è quello dell’Arabia Saudita. A parte la Siria, c’è spazio per andare d’accordo.
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