IC7 - il commento di David M. Weinberg
Dal 9 al 15 aprile 2017
La favola della deriva autoritaria
Traduzione di Andrea Zanardo, il Contadino della Galilea
La mappa di Giudea e Samaria (West Bank)
Mancano ancora sei settimane a Yom Jerushalaim, ma i soliti noti hanno già lanciato l'attacco. A loro avviso, non c'è stata alcuna miracolosa vittoria nella Guerra dei Sei giorni; non bisogna festeggiare la possibilità per gli ebrei di tornare a vivere in Giudea e Samaria; non va celebrata la storica riunificazione di Gerusalemme; non è avvenuta nessuna liberazione dei luoghi sacri all'ebraismo; non c'è alcun riscatto nazionale, alcuna di cultura ebraica e di creatività popolare; proprio niente da festeggiare! C'è solo da lamentarsi per l' "occupazione" radicata della Cisgiordania. L'autodeterminazione palestinese sarebbe stata soffocata da Israele e questo getta su tutto un luttuoso velo di tristezza. Peggio ancora, a loro avviso, "l'anima di Israele è stata sporcata", a quanto pare, da questa "occupazione". Il quotidiano britannico Guardian ha aperto le danze settimana scorsa, dando spazio (senza nessuna voce contraria) alle acide recriminazioni di due dirigenti in pensione dello Shin Bet, Amy Ayalon e Carmi Gillon, ospiti d'onore ad un evento gerosolimitano a sostegno della discussa organizzazione "Breaking the Silence ".
Gillon ha dipinto un quadro desolante sulla traiettoria politica di Israele. Ha detto che "l'occupazione porta Israele verso il disastro". Ha poi aggiunto: "Questo paese si è fondato sui valori della democrazia liberale; valori che sono stati traditi. Se analizziamo gli eventi degli ultimi 50 anni, vediamo ovunque il macabro effetto dell'occupazione. Israele è cambiata in profondità. Siamo diventati una società disgustosa." Ed Ayalon ha aggiunto altre calunnie. Secondo lui Israele sarebbe sopraffatta da un processo che lui chiama "deriva autoritaria". Ha citato le recenti iniziative di legge di ministri del governo Netanyahu per limitare l'influenza nelle scuole di gruppi come Breaking the Silence e per renderne più trasparenti i bilanci, e ci ha aggiunto quelli che lui chiama gli "attacchi" alla Corte Suprema e all'indipendenza dei media. In breve, tutti i valori liberali, progressisti, democratici, buoni e santi verrebbero schiacciati da questa oscura e terribile occupazione. Bla, bla, bla. Si tratta di una favola che toglie ad Israele legittimità e rispetto.
Ed il Guardian, ovviamente, se la è bevuta. Questa propaganda, che puzza di cadavere della Guerra Fredda, è una frottola pericolosa. Mantiene in vita il mito della presenza israeliana in Giudea e Samaria che sarebbe "immorale ed illegale"; esagera l'impatto del governo militare di Israele nei Territori; passa sotto silenzio la piaga della corruzione e della cleptocrazia dell'ANP; evita di menzionare l'intransigenza dei palestinesi; e insinua che nella società israeliana esisterebbe questa inesistente voglia di dittatura, assecondata nientemeno che da tutti i partiti politici. Diciamo pure che è intollerabile. Bisogna respingere in ogni modo questa diffamazione. E' ora di affermare con chiarezza che il ritorno di Israele in Giudea e Samaria è legittimo e non è immorale. Il controllo militare sulla "Grande Israele" è una fonte di stabilità per la regione regionale, non di conflitti. L'assenza di pace e di riconoscimento reciproco derivano dagli ostinati e continui rifiuti dei palestinesi, non da una inesistente inflessibilità israeliana. Se la "corruzione" vi preoccupa così tanto, fatevi qualche domanda: cosa corrompe di più? L'"occupazione" della Cisgiordania o il ritiro israeliano da Gaza? Che cosa ha portato più morte e più sofferenza, per palestinesi e israeliani? Il controllo israeliano di Giudea e Samaria? Oppure il ritiro israeliano da parti della Cisgiordania e da tutta Gaza, che porta alla nascita di enclave terroristiche palestinesi e alla creazione di un'Autorità palestinese corrotta e ha consegnato Gaza alla dittatura di Hamas?
Terroristi palestinesi
E cosa dovrebbe fare Israele? Rafforzare i confini, costruire più recinzioni, in modo che altri terroristi palestinesi possono scavarci sotto, per poi continuare ad opprimere il proprio popolo dalla loro parte del confine? O forse Israele deve sperimentare nuovi modelli di convivenza per un futuro migliore? E come può farlo se la comunità internazionale continuerà a sperperare decine di miliardi di dollari che finiscono nelle tasche di autocrati e terroristi? Per quanto riguarda questa fantomatica strisciante tirannia di cui Israele sarebbe vittima. Questi sono solo le lamentele trite e ritrite di una vecchia classe politica, messa alla porta democraticamente dagli elettori israeliani or sono trent'anni. Nessuno dovrebbe perdere tempo con questa gente, sconfitti in patria e screditati sul fronte diplomatico. Dopo tutto, sono loro che hanno venduto all'opinione pubblica israeliana la storia secondo cui Yasser Arafat sarebbe stato un partner di pace; che incautamente hanno sostenuto la teoria secondo cui il ritiro da Gaza avrebbe portato la pace; e ora, con incredibile faccia tosta, vogliono farci credere che nientemeno che "l'anima" di Israele e la "fibra morale" sarebbero a rischio e l'unico modo per salvarli sarebbe un ritiro unilaterale! Sbagliavano ieri, e sbagliano oggi. Sarebbe interessante approfondire come mai si presti loro ancora così tanto ascolto. Ma in ogni caso, non sono credibili. E' vero che al momento nella vita politica israeliana i partiti conservatori e tradizionalisti sono maggioranza. Ma una maggioranza democraticamente eletta non è una tirannia.
Questo è il mio messaggio per tutti i corrispondenti esteri che si preparano a scrivere i loro report sul cinquantesimo anniversario della guerra dei Sei Giorni.
Primo. Si prega di notare che l'anima di Israele sta benissimo. I valori liberali sono tenuti in alta considerazione. I diritti umani sono difesi in maniera viscerale dall'opinione pubblica. Le nostre istituzioni democratiche sono sane e robuste.
Secondo. L'"occupazione" non sta avvelenando il futuro di Israele. Il continuo conflitto con i palestinesi non piace a nessuno e comporta dei costi, ma in gran parte non è colpa di Israele e nemmeno rappresenta un peso che starebbe schiacciando il Paese. Israele è molto di più del conflitto con i palestinesi. Il conflitto non dovrebbe essere la lente deformante attraverso cui guardare o giudicare tutta la società israeliana.
Terzo. L'intera regione è un posto molto complicato, di cui i palestinesi e le loro lamentele sono parte. Ma una parte soltanto. C'è molto di più, oltre a questo melodramma sui "50 anni di occupazione". A proposito del quale, se avete intenzione di scriverci sopra, provate a commentare i 50 anni di errori gravi palestinesi, i loro fallimenti nel costruire una democrazia e le numerose opportunità per la pace sprecate dalla leadership palestinese.
Quarto. Abbiate per favore rispetto per i successi di Israele, la sua perseveranza, e per il nostro punto di vista sulla situazione geopolitica. Con po' di pazienza - forse per altri 50 anni - le cose si metteranno per il meglio. Israele continuerà a rafforzarsi, le élite arabe matureranno ed emergeranno nuove possibilità di risolvere il conflitto.
David M. Weinberg (www.davidmweinberg.com) è direttore degli affari pubblici presso il Begin-Sadat Center for Strategic Studies. Questo articolo è comparso sul Jerusalem Post e su Israel Hayom il 14 aprile 2017.