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La Stampa Rassegna Stampa
14.04.2017 'Bambini in fuga': la storia dei giovani ebrei braccati da nazisti e islamisti
Marcello Sorgi recensisce il libro di Mirella Serri

Testata: La Stampa
Data: 14 aprile 2017
Pagina: 27
Autore: Marcello Sorgi
Titolo: «Il rifugio italiano dei giovani ebrei braccati da nazisti e ultrà islamici»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 14/04/2017, a pag. 27, con il titolo "Il rifugio italiano dei giovani ebrei braccati da nazisti e ultrà islamici", la recensione di Marcello Sorgi a "Bambini in fuga", di Mirella Serri.

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Marcello Sorgi, Mirella Serri

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La copertina (Longanesi ed.)

C’è qualcosa dell’orrore dei nostri tempi, che spinge a leggere tutto d’un fiato il nuovo libro di Mirella Serri (Bambini in fuga, Longanesi, pp. 256. €17,60). Anche se la storia è ambientata tra gli Anni Trenta e i Quaranta, lo sfondo sono il nazismo tedesco e l’antisemitismo islamico, e i protagonisti, vittime designate di una sentenza di sterminio già scritta, sono un gruppo di adolescenti ebrei, guidati verso la salvezza dal loro coraggioso «madrich», maestro, Josef Indig, e da un’indomita poetessa, Recha Schweitzer, che convincerà i genitori a separarsi dai loro figli, pur di salvarli.

Eichmann
E quel qualcosa è la descrizione dell’odio razziale, culturale, religioso, e forse soltanto psichiatrico, che può spingere a pensare, e a organizzare minuziosamente, una strage di giovanissimi. Bambini da abbattere, «primi a dover essere eliminati», perché non crescano e non diventino «schifosi ebrei» e perché toglierli di mezzo significa «uccidere il futuro». Chi si interroga e cerca di capire da dove nasce la furia del terrorismo contemporaneo troverà nella follia così freddamente descritta da Mirella Serri in queste pagine molte ragioni per riflettere.

Il delirante disegno dell’eliminazione dei giovanissimi ebrei prende corpo nella Germania nazista e si sviluppa nei primi Anni Quaranta, complice il collaboratore di Hitler tra i più feroci, Adolf Eichmann, coordinatore della macchina della deportazione di massa nei campi di concentramento, il vero autore della tela di ragno che prevede la cattura dei piccoli, nascosti per tempo nel castello sloveno di Lesni Brdo, e poi a Nonantola, vicino Modena, grazie al preveggente e razionale allarme della Schweitzer e al generoso impegno del «madrich» Indig.

Il maestro riuscirà a farli rifugiare a Villa Emma, un’imponente residenza di campagna con 46 stanze, abbandonata da tempo dal suo proprietario, il costruttore ebreo Carlo Sacerdoti, dove la comitiva dei ragazzi arriva nel luglio 1942. Senza quest’alternativa, purtroppo, sarebbe stato realizzato il piano di un altro ordinario esempio di crimine verso l’umanità, di cui il nazismo diede varie prove e lasciò tracce storiche.

Amin al Husayni
Ma non solo di questo si tratta: infatti, a complicare la vicenda, entra in scena un altro personaggio imprevedibile, il Gran Muftì di Gerusalemme Amin al Husayni, esponente dell’islamismo radicale e impegnato a collaborare con la Shoah, legato da una relazione poco chiara, anche sentimentale, con l’Alto commissario inglese per la Palestina Ernest Richmond. Husayni, in collaborazione con i nazisti, ha un ruolo più coperto, ma non meno centrale, nel tentativo di limitare o bloccare, l’espatrio degli ebrei verso la Palestina, per loro luogo di salvezza. Va tenuto presente che l’immigrazione ebraica, in fuga dalla Germania verso il Medio Oriente, dal 1922 al 1931 era passata da 84 mila a 175 mila unità, raddoppiandosi e allarmando con questa escalation la popolazione stanziale araba. Agli occhi allucinati del Muftì, l’unica soluzione era l’eliminazione fisica degli ebrei. Da Berlino, dove si era acquartierato per lavorare a fianco di Hitler e Eichmann, Husayni cercava con ogni mezzo di fermarne l’esodo, compreso quello dei bambini e ragazzi rifugiati a Nonantola, giungendo perfino a arruolare una divisione autonoma di SS musulmane, di stanza nei Balcani, per precludere loro l’ultima via di speranza.

Nonantola
Sarà a dispetto del fascismo, del nazismo e delle campagne razziali, che l’intera popolazione di Nonantola si organizzerà in una silenziosa resistenza per salvare i ragazzi del «madrich» Josef, aiutandoli e proteggendoli per un anno intero. Ma dopo l’armistizio dell’ 8 settembre 1943, tutto si complica, Nonantola viene occupata dai nazisti e i giovanissimi profughi devono essere messi in salvo, nascosti in attesa di cercare di espatriare in Svizzera.

E qui la storia di Villa Emma - quasi dimenticata, come molti altri episodi dei tragici giorni finali della Seconda guerra mondiale, della sanguinosa caduta di fascismo e nazismo e di tante prove di eroismo fornite da connazionali semi-sconosciuti - diventa esempio, italiano ma non solo, di rivolta contro le dittature, di solidarietà, di umanità. In questo senso la vicenda riscoperta da Mirella Serri motiva anche qualche eco più recente e più attuale: in fondo, il conflitto a cui Nonantola fa da teatro, la ferocia della violenza, mista all’odore acre della polvere da sparo, il dolore degli innocenti, sono gli stessi, o quasi gli stessi, che sotto altra veste, ma con parecchie assonanze, ci passano sotto gli occhi in questi giorni.

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