Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 14/04/2017, a pag. 17, con il titolo "Fra i giovani dell'Università di Istanbul dove cresce la ribellione a Erdogan", l'analisi di Marta Ottaviani.
Domenica il referendum in Turchia deciderà se il Paese scivolerà definitivamente in una dittatura islamista capeggiata da Erdogan. Seguiremo con attenzione gli sviluppi della situazione.
Ecco l'articolo:
Marta Ottaviani
Recep Tayyip Erdogan
È dall’università più antica della Turchia che parte la lotta dei giovani contro la riforma costituzionale di Recep Tayyip Erdogan. L’arco di ingresso del suo rettorato, di fianco alla Moschea di Beyazit e al mercato dei libri vicino al Gran Bazar, lo conosce chiunque sia stato a Istanbul e abbia camminato lungo l’Ordu Caddesi, il Mese dell’antica Bisanzio, la via monumentale prima dell’Impero romano d’Oriente e poi di quello ottomano. Fondata nel 1453, lo stesso anno della caduta di Costantinopoli, da Maometto II il Conquistatore, con le sue 23 facoltà e i suoi due premi Nobel (lo scrittore Orhan Pamuk e il chimico Aziz Sancar), la Istanbul Universitesi è il primo e il più importante fra gli atenei pubblici turchi. Costeggiando i giardini del rettorato, ci si perde in una miriade di stradine che sbucano all’acquedotto di Valente e sulle quali affacciano cimiteri ottomani, antichi squarci bizantini ormai inghiottiti da una stratificazione artistica e culturale durata secoli, casette in legno che stanno in piedi per miracolo ed edifici stile socialismo reale, che nonostante la loro mancanza di grazia, non tolgono nulla alla magia del luogo. Qui, fra cortili appartati, bar e internet point è possibile incontrare i Gençlik Hayir, la «Gioventù del no». Centinaia di studenti universitari provenienti dalle diverse università del Paese che, indipendentemente dal loro credo politico e dalla loro provenienza etnica e religiosa, sono contro questa riforma.
«Crediamo che il futuro della Turchia dipenda da noi, racconta Murat Yilmaz, studente della facoltà di Scienze Naturali. Siamo in contatto tramite la rete e siamo sparsi su tutto il territorio nazionale, sappiamo che questo referendum è sbagliato e che se passa per il nostro Paese sarà anche peggio di adesso». La loro attività è iniziata a febbraio, quando è stata resa nota la data della consultazione, ma la loro avversione alle politiche di Erdogan parte ben da prima. «Sono quattro anni - continua Murat - che la situazione continua a peggiorare. Si parla molto della repressione della libertà di stampa, ma anche i margini dell’azione politica si sono ristretti. Noi ci muoviamo con grande discrezione, anche per i limiti imposti dallo stato di emergenza. Parliamo ai giovani come noi nelle strade, nei caffè. Abbiamo tappezzato le facoltà di adesivi». Dentro ai Gençlik Hayir c’è un po’ di tutto: laici, kemalisti, ma anche quella componente fortemente nazionalista di cui una parte adesso appoggia Erdogan. La Istanbul Universitesi è tradizionalmente un ateneo molto legato ai valori laici, il problema è che in Turchia ognuno li ha sempre interpretati a modo suo. Per questo, prima del golpe del 1971, le strade intorno ai dipartimenti erano teatro di scontri sanguinosi fra esponenti della destra nazionalista e dei movimenti comunisti e socialisti filo curdi. Un passato di contrapposizione e dolore, che non sembra riguardare i Gençlik Hayir. E a chi li accusa, di contro, di non avere unità interna, replicano di non essere un partito. «Siamo aperti a tutti - spiega Ayse Bulut -. Molti di noi non hanno ambizioni politiche, vogliono semplicemente che questo referendum non passi. Siamo il futuro della Turchia, la decisione riguarda soprattutto noi».
No a Erdogan
Anche sull’esito finale, la gioventù turca rischia di incidere e non poco. Secondo i sondaggisti più autorevoli del Paese il sì sarebbe in vantaggio, ma di poco, e se la partecipazione al voto dovesse superare l’85%, allora il risultato sarebbe ribaltato. Secondo gli ultimi dati, nella fascia di età fra i 18 e i 37 anni il 51,5% è a favore del sì, contro il 39,6% e un 8,9% di indecisi.
Alla campagna hanno aderito molti atenei del Paese. Fra questi c’è anche la Marmara Universitesi, nella parte asiatica di Istanbul che, per un’ironia della sorte che rischia di giungere poco gradita, è proprio dove ha studiato il presidente Erdogan. Ma la protesta è presente nella maggior parte delle città della Mezzaluna, dalla laica Smirne, alla capitale Ankara per finire nella zona egea, dove i laici sono più forti, ma anche in zone a maggioranza conservatrice come il Mar Nero e l’Anatolia.
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