'Paura': l'Europa magica e spaventosa di Stefan Zweig
Recensione di Giorgia Greco
La copertina (Adelphi ed.)
”Ci sono momenti in cui si sente il bisogno d’una lettura che dia suggestioni ma non soggezione, che crei uno spazio per la riflessione, che metta in moto un nuovo meccanismo per l’immaginazione” (I. Cavino).
Queste qualità, assai preziose in un’opera letteraria, le ho incontrate nell’intenso racconto intitolato “Paura” di un autore classico della letteratura ebraica, Stefan Zweig, edito in Italia da Adelphi che la pregevole iniziativa delle Librerie Coop di offrirlo in dono a tutte le lettrici in occasione della festa della donna, mi ha dato l’opportunità di rileggere e apprezzare con rinnovato entusiasmo. Ebreo austriaco cosmopolita, uno fra i più grandi intellettuali del Novecento, autore fra gli altri di un’affascinante autobiografia “Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo” Stefan Zweig si rifugiò in Brasile per sfuggire alle persecuzioni naziste e morì suicida insieme alla seconda moglie, Lotte Altmann, nel 1942.
Capace come pochi di scandagliare l’animo umano portando alla luce i turbamenti che si celano nel cuore degli uomini, di Zweig ci rimangono novelle di assoluto valore come “Mendel dei libri”, “Amok”, “Lettera di una sconosciuta” ecc., alcune delle quali portate sullo schermo. Anche “Paura”, pubblicato per la prima volta a Berlino nel 1920 con il titolo Angst, è stato diretto da Rossellini nel 1954 con Ingrid Bergman, Mathias Wieman e Klaus Kinski come protagonisti. Sin dalle prime pagine si rimane colpiti dalla capacità introspettiva con cui l’autore delinea la figura di Irene Wagner, il personaggio principale del racconto, una signora della buona borghesia viennese fin de siècle, sposata da otto anni con un affermato avvocato e madre di due bambini. Nonostante conduca una vita agiata e confortevole a fianco di un marito facoltoso, Irene intraprende una relazione con un giovane pianista “…senza volerlo davvero e quasi senza rendersene conto, era divenuta la sua amante. …Si era data a lui senza sentirne il bisogno e senza provare un vero desiderio – per una certa qual indolenza nel resistere alle sue avance e per una sorta di curiosità inquieta”. Un pomeriggio, mentre sta scendendo le scale dell'abitazione del pianista, Irene viene affrontata da una donna volgare che ad alta voce la accusa di averle rubato l'amante e le estorce del denaro, approfittando della sua confusione e del suo disagio.
Da quel momento iniziano i ricatti che si faranno sempre più insistenti generando nella bella Irene una vera psicosi fatta di angosce notturne, paura paralizzante di uscire da sola per timore di incontrare la ricattatrice e nel contempo incapacità di adempiere a incombenze familiari a lei del tutto estranee. Con un crescendo di pathos che avvolge il lettore pagina dopo pagina l’autore sembra condurci, come in un thriller psicologico, ad una tragica conclusione. In una mescolanza continua di stati d’animo, paura, vergogna, senso di colpa, rimpianto, spicca la presa di coscienza che si insinua in Irene (“…Era come se fino a quel momento lei avesse proceduto nella vita solo a tentoni, in uno stato d’animo crepuscolare, con gli occhi semichiusi, mentre ora, all’improvviso, ogni cosa brillava dall’interno, terribilmente bella in tanta chiarezza”) e la consapevolezza che da una vita vuota e priva di significato, come quella sinora condotta, si può approdare ad una esistenza autentica in cui trovino albergo sentimenti d’amore per il marito e per i figli.
La ricattatrice però continua a braccarla arrivando persino a casa di Irene e costringendola a consegnarle l’anello di fidanzamento, l’oggetto più prezioso che possiede. Consapevole ogni giorno di più che il marito ha sospetti sulla sua infedeltà – a seguito di un diverbio fra bambini il marito le spiega che dopo una colpa, ciò che conta non è la punizione che cancellerà, essendo sempre incline a perdonare le mancanze delle persone amate, quanto la confessione, che ha valore catartico – Irene inizia a vagare per le strade della città alla ricerca della donna con l’intento di farsi restituire l’anello e nel crescendo di incubi e angosce che la scuotono come un fuscello al vento si appresta a compiere un gesto irreparabile.
Non è consentito rivelare al lettore la magistrale svolta che l’autore imprime alla narrazione con un epilogo finale che lascia senza fiato, portando ad una conclusione catartica del dramma. Orchestrando un racconto che cresce d’intensità pagina dopo pagina Stefan Zweig ci regala un’opera di autentica letteratura, con la qualità di un diamante: duro, tagliente, bellissimo.
Giorgia Greco