mercoledi` 25 dicembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Corriere della Sera - La Repubblica Rassegna Stampa
12.04.2017 Cecenia, il paese prediletto da Putin: omosessuali torturati e uccisi, intervengano gli Usa
Cronache di Elena Tebano, Rosalba Castelletti, intervista a Igor Kocetkov

Testata:Corriere della Sera - La Repubblica
Autore: Elena Tebano - Rosalba Castelletti
Titolo: «Cecenia, l'inferno dei gay: 'Noi torturati a morte nel campo del non ritorno' - Lager e prigioni segrete contro i gay in Cecenia: 'Intervenga l'Europa' - 'Così lo Stato stermina gli omosessuali'»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 12/04/2017, a pag. 14, con il titolo "Cecenia, l'inferno dei gay: 'Noi torturati a morte nel campo del non ritorno' ", la cronaca di Elena Tebano; dalla REPUBBLICA, a pag. 13, con i titoli "Lager e prigioni segrete contro i gay in Cecenia: 'Intervenga l'Europa' ", "Così lo Stato stermina gli omosessuali", di Rosalba Castelletti, cronaca e intervista a Igor Kocetkov, leader del Russian LGBT Network.

Ecco gli articoli:

Immagine correlata
Il leader ceceno Ramzan Kadyrov (al centro)

CORRIERE della SERA - Elena Tebano: "Cecenia, l'inferno dei gay: 'Noi torturati a morte nel campo del non ritorno' "

Immagine correlata
Elena Tebano

«Forze di sicurezza e militanti» filogovernativi ceceni hanno iniziato a internare i gay del Paese in un campo di concentramento ad Argun, a circa 15 chilometri dalla capitale Grozny, dove vengono sottoposti a torture sistematiche e, in alcuni casi, picchiati fino alla morte. «Abbiamo notizia di oltre cento persone detenute illegalmente senza contatti con l’esterno. Quelle rilasciate hanno dovuto pagare un riscatto oppure sono state consegnate ai familiari che si sono assunti il compito di ucciderli per «ristabilire» l’onore della famiglia, un pratica ancora diffusa in Cecenia — spiega al telefono da San Pietroburgo Natalya Poplevskaya di Russian Lgbt Network, la Rete Lgbt Russa —. Il numero degli aggressori coinvolti aumenta costantemente». Sono almeno 30 le testimonianze raccolte dall’associazione.

«Mi hanno portato in un posto che sembra abbandonato ma invece è una prigione segreta su cui non ci sono informazioni ufficiali», ha riferito al quotidiano russo indipendente Novaya Gazeta un ex internato che è riuscito a mettersi in salvo. «Più volte al giorno ci portavano fuori per picchiarci. Lo chiamavano “interrogatorio” — ha aggiunto —. L’obiettivo era raccogliere altri contatti di uomini gay. Per questo non ci hanno spento i cellulari durante la prigionia: aspettavano che qualcuno ci chiamasse o ci scrivesse così da attirarlo e prendere anche lui».

Il governo ha smentito gli arresti in termini che — denuncia Ilga, principale associazione gay europea — «sono un incitamento all’odio»: «Non si possono detenere e perseguire persone che non esistono nella Repubblica Cecena» ha dichiarato infatti il capo della repubblica Ramzan Kadyrov, 40 anni. «Se ci fosse gente simile in Cecenia — ha aggiunto — le forze dell’ordine non avrebbero bisogno di avere a che fare con loro, perché i loro parenti li manderebbero in un luogo da cui non c’è più ritorno». In Cecenia, piccola Repubblica popolata quanto Milano, l’omofobia è molto forte e diffusa, e gay e lesbiche sono da sempre costretti a nascondersi. «Ora però la persecuzione è diventata sistematica» dice Björn van Roozendaal di Ilga. «Ci hanno fatto l’elettroshock. Era molto doloroso. Ho resistito finché non ho perso i sensi e sono caduto a terra. Ci picchiavano con dei tubi. Sempre sotto la vita. Ci chiamavano “cani che non meritano di vivere”» ha detto ancora il testimone a Novaya Gazeta.

«C’era un ragazzo che veniva torturato in modo più intenso. Era lì da più tempo di noi ed era a pezzi. Aveva ferite aperte sul corpo. Lo hanno consegnato ai suoi parenti e in seguito abbiamo scoperto che è morto». «I detenuti venivano interrogati, costretti a sedersi su delle bottiglie, picchiati. Alcuni venivano percossi fino a un attimo prima che morissero e poi riconsegnati ai familiari. Personalmente — ha riferito un altro uomo — sono venuto a conoscenza di due morti». La purga è iniziata a fine febbraio, dopo che un uomo sotto effetto di droga è stato arrestato e nel suo cellulare sono stati trovate immagini «a contenuto omosessuale» e i contatti di decine di altri gay. Da qui la prima ondata di arresti. «Da metà marzo riceviamo segnalazioni sui rastrellamenti di uomini sospettati di omosessualità da parte di forze dell’ordine e agenti di sicurezza agli ordini del capo della Repubblica Cecena Ramzan Kadyrov, — conferma da Mosca Tanya Lokshina di Human Rights Watch Russia —. Molti arrestati sono poi scomparsi. Almeno tre sono morti. Al clima di impunità per chi perseguita le persone lgbt contribuisce la legge federale russa che proibisce la “propaganda gay”, ma quella promossa dalle autorità cecene è una vera e propria campagna di persecuzione». La Rete Lgbt Russa ha denunciato più volte quanto sta avvenendo alle autorità federali: «Non hanno neppure aperto un’inchiesta — dice Poplevskaya —. L’alto commissario per i diritti umani della Russia, Tatiana Moskalkova, ha dichiarato che sarebbe intervenuta. Ma non ha fatto niente».

LA REPUBBLICA - Rosalba Castelletti: "Lager e prigioni segrete contro i gay in Cecenia: 'Intervenga l'Europa' "

Immagine correlata
Rosalba Castelletti

Rastrellati, detenuti e torturati in speciali prigioni-lager o uccisi dai loro stessi familiari: in Cecenia basta il sospetto dell’omosessualità per essere trattati come “cani, che non hanno il diritto di vivere”. Il giornale indipendente Novaja Gazeta copre la piccola regione caucasica da oltre 25 anni e ha numerose fonti. Anna Politkovskaja e molti altri suoi giornalisti sono stati uccisi per i loro reportage. Perciò, quando lo scorso primo aprile, Elena Milashina ha pubblicato l’inchiesta “Delitto d’onore” sulle detenzioni di centinaia di uomini gay e, in almeno tre casi, uccisioni come parte di una strategia di “pulizia preventiva”, nessuno ha messo in dubbio l’autenticità delle testimonianze raccolte. Anzi, la comunità internazionale, a partire dall’Italia, è insorta e si è mobilitata. «I pestaggi iniziano non appena ti portano dentro. Gli elettroshock, le percosse con i tubi di plastica. Ti colpiscono sempre sotto alla vita: sulle gambe, sui fianchi, sul sedere. Ti dicono che sei un cane senza il diritto di vivere», ha raccontato un sopravvissuto alle torture. Un altro: «Mi portavano in carcere regolarmente, mi picchiavano, deridevano e umiliavano. Volevano che denunciassi altri gay. Dopo stavo dagli amici un paio di giorni finché le ferite non scomparivano un po’. Solo allora tornavo a casa. Dicevo che ero stato coinvolto in una rissa. L’ho fatto per due anni».

A parlare alla Novaja Gazeta sono stati cittadini comuni, leader religiosi vicini al governo, personalità televisive. Tutti sotto rigoroso anonimato. Nel Caucaso rivelare la propria omosessualità, scrive il giornale, equivarrebbe a una sentenza di morte. Tuttavia, in una comunità così piccola come quella cecena, i pettegolezzi corrono veloci e c’è poca possibilità di scampo. Si finisce in carcere e talvolta si muore. Nel silenzio persino dei familiari. Per Alvi Karimov, portavoce del leader ceceno Ramzan Kadyrov, «è impossibile opprimere chi semplicemente non esiste nella nostra Repubblica». «Se ci fossero persone così in Cecenia, i loro stessi familiari li manderebbero in posti da cui non c’è ritorno », è stata la scioccante reazione ufficiale. Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha replicato che indagare su queste accuse è «materia delle forze dell’ordine », mentre il capo del Consiglio russo per i diritti umani Mikhail Fedotov le ha definite «mostruose » e necessarie di «una verifica approfondita».

La protesta si è allargata oltre i confini della Russia con in prima linea organizzazioni come Amnesty Internazional e Human Rights Watch. In Italia a lanciare un appello per un’inchiesta è stata l’Arcigay. Immediati le condanne da parte dei politici italiani. Dai senatori Pd Sergio Lo Giudice, Monica Cirinnà e Luigi Manconi che hanno predisposto un’interrogazione al ministero degli Esteri sollecitando «l’invio di osservatori internazionali» allo stesso sottosegretario alla Farnesina Benedetto Della Vedova che ha parlato di «inaccettabile violazione dei diritti umani». È intervenuto anche l’ex premier Matteo Renzi con un post su Facebook: «Le notizie che arrivano dalla Cecenia lasciano senza parole. Pensare che nel 2017 esistano dei campi di concentramento per uomini dall’orientamento sessuale non tradizionale o sospetto fa davvero rabbrividire. Ci riportano al nazismo: tutti dobbiamo far sentire la nostra protesta, il nostro sdegno».

LA REPUBBLICA - Rosalba Castelletti: 'Così lo Stato stermina gli omosessuali'

Immagine correlata
Igor Kocetkov, leader del Russian LGBT Network

«In Cecenia si stanno perpetrando crimini contro l’umanità », così Igor Kocetkov, leader del Russian Lgbt Network, l’unica rete di attivisti in tutta la Federazione, definisce i soprusi subiti dagli omosessuali nella regione caucasica. Se il giornale Novaja Gazeta è riuscito a denunciarli in un’inchiesta che sta mobilitando l’attenzione internazionale è anche per la sua organizzazione semiclandestina che ha aperto una linea verde telefonica e una casella di posta dove continuano ad arrivare testimonianze.

Che cosa avete scoperto? «In Cecenia esiste un sistema di torture guidato e amministrato dagli organismi statali: polizia, procura, forze dell’ordine. Uno dei massimi dirigenti di questo sistema di sterminio ha il soprannome “Lord”, “Signore”: è il deputato ceceno Adam Delimkhanov. Lo Stato va a caccia di gay. Li arresta e chiede loro di denunciare gli amici. Di solito li rinchiude in celle con altri detenuti che vengono obbligati a picchiarli e maltrattarli. Si tratta di crimini contro l’umanità su cui dovrebbe indagare la Corte internazionale dell’Aja».

Secondo l’inchiesta spesso i familiari sono complici delle uccisioni. Com’è possibile? «Il Caucaso settentrionale ha costumi secolari, i cosiddetti “ajaty”, che negano che una persona possa avere un orientamento sessuale non tradizionale. Secondo le autorità i gay non devono esistere. E per tradizione, i familiari di un omosessuale devono ucciderlo con le loro stesse mani. Si salva solo chi si dà alla fuga».

Da quanto tempo avvengono questi abusi? Perché non se ne è mai parlato prima? «Noi ne siamo venuti a conoscenza solo alla fine dello scorso febbraio. Quello che succede in Cecenia spesso viene insabbiato. Agli inizi di marzo abbiamo iniziato a raccogliere le prime “voci” di sequestri e scomparse di gay. Ci siamo rivolti alla procura cecena, ma le nostre denunce sono state respinte come infondate. Allora ci siamo messi in contatto con i difensori dei diritti umani nel Caucaso Settentrionale».

Cosa chiedete alle autorità cecene? «Non ha senso rivolgersi alle autorità cecene. Sono loro stessi i criminali. Abbiamo presentato ricorso alla procura generale russa, all’ombudsman per i diritti umani, al ministero degli Interni e allo stesso portavoce del Cremlino... Ma al momento le loro risposte alle nostre richieste d’indagine ci sono apparse poco serie».

Che risposta vi aspettate invece dalla comunità internazionale? «Tutti i governi dovrebbero chiedere ufficialmente alla Russia di avviare inchieste per far luce su i crimini contro l’umanità da tempo perpetrati in Cecenia. I leader e gli esponenti politici dovrebbero sollevare la questione durante i vertici e gli incontri faccia a faccia».

Crede che l’inchiesta di Novaja Gazeta sia servita? «È stata importantissima. La gente nel Caucaso e in Cecenia ha paura di raccontare. Cercavamo di raccogliere testimonianze, ma facevamo fatica. Con la pubblicazione della seconda puntata dell’inchiesta, sono invece arrivati messaggi di gay torturati o fuggiaschi».

Per inviare la propria opinione ai quotidiani, telefonare:
Corriere della Sera 02/62821
La Repubblica 06/49821
Oppure cliccare sulle e-mail sottostanti


lettere@corriere.it
rubrica.lettere@repubblica.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT