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La Stampa Rassegna Stampa
11.04.2017 I beduini del Sinai contro Egitto e Israele
Cronaca di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 11 aprile 2017
Pagina: 16
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «Egitto in stato d'emergenza. Israele chiude le frontiere»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 11/04/2017, a pag.16, con il titolo "Egitto in stato d'emergenza. Israele chiude le frontiere" la cronaca di Giordano Stabile.

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Giordano Stabile

Erano foreign fighters di ritorno i due egiziani che hanno fatto strage nelle chiese copte nella domenica delle Palme. Tutte e due hanno combattuto con l'Isis in Siria prima di far ritorno in Egitto, arruolarsi nella Provincia del Sinai dello Stato islamico e portare morte e distruzione in patria. Mentre ad Alessandria e Tanta si svolgono i funerali delle 45 vittime innocenti, e Papa Francesco conferma la sua visita il 28 e 29 aprile, nuovi dettagli gettano luce sulla strategia islamista che punta a fare del Sinai una piattaforma del terrore per colpire in tutto il Medio Oriente.
Ieri, con un nuovo lancio di razzi verso il Sud di Israele, si è avuto un primo assaggio. Cambio di strategia. Assediato a Raqqa e Mosul il Califfo Abu Bakr al-Baghdadi sta pianificando il dopo. Un Califfato a «macchia di leopardo» che non controlla più interi Stati e città, ma si rifugia nei deserti e nelle montagne e di li continua a destabilizzare i regimi arabi con attacchi contro i civili e azioni militari di più ampio respiro.
È così nel deserto libico a Sud di Sirte, in quello fra Siria e Giordania, nelle province rurali dell'Iraq a maggioranza sunnita. Attacchi a catena contro luoghi di culto «miscredenti» e checkpoint di polizia ed esercito, persino campi per rifugiati.
Il Sinai, fra tutte le aree prese di mira, è il più promettente. Confina con Israele, è a un passo dalla Giordania e dall'Arabia Saudita. Alcuni elementi delle tribù Tarabin e Sawarka, che controllano il Nord della Penisola, in rotta con il governo del Cairo, hanno accettato di allearsi con i gruppi jihadisti. In particolare i Tarabin controllano le montagne verso la frontiera con Israele, mentre i Sawarka la zona della città di Al-Arish.
Qui le cellule dell'Isis hanno condotto una «pulizia etnica» nei confronti delle centinaia di famiglie copte, con sette esecuzioni, compreso un uomo bruciato vivo, nel giro di tre mesi.
Nelle valli dei monti Hashem El-Tarif, controllate dai beduini Tarabin, si nascondono invece le postazioni di lancio di razzi katyusha usati per colpire Eilat e la punta meridionale di Israele. Ieri un ordigno ha colpito una serra nella località di Eshkol, senza fare vittime, anche se una donna è rimasta sotto choc per l'esplosione. Sono i giorni della Pasqua ebraica e il messaggio, come per la domenica delle Palme, assume anche una risonanza simbolica. Per ora l'Isis egiziano non ha i mezzi per compiere azioni in grande stile, e anche i tentativi di penetrazioni dell'interno, attraverso palestinesi radicalizzati, hanno dato scarsi risultati. Ma per la propaganda islamista è importante dimostrare di poter colpire lo Stato ebraico.
La vicinanza con Israele impedisce poi all'Egitto di dispiegare tutta la sua potenza di fuoco, anche se il governo Netanyahu, in deroga agli accordi di pace del 1979, ha concesso ad Al-Sisi di spostare mezzi corazzati nelle Penisola. Le forze della Provincia del Sinai dell'Isis sono valutate in 3-4 mila uomini, la copertura beduina, l'afflusso di combattenti di ritorno dalla Siria e anche dalla Libia, ne fanno una formazione temibile. I due kamikaze di domenica erano ben addestrati. Il primo, quello che ha colpito a Tanta, era andato in Siria, via Turchia, nel 2013, si era unito all'Isis ed era tornato in patria un anno dopo. Ventisette anni, nome di battaglia Abu Ishaq Al-Masri, era nato nel Delta del Nilo, si era laureato in Economia e aveva lavorato in Kuwait.
Il secondo, quello della cattedrale di San Marco ad Alessandria, aveva 43 anni, nato anche lui nel Nord dell'Egitto, un diploma tecnico, una moglie e tre figli. Anche lui aveva raggiunto la Siria nel 2013, via Libano. Due figli della piccola borghesia rurale, con studi medio-alti ma senza sbocchi lavorativi, il bacino di reclute e simpatizzanti per i gruppi islamisti, in un Egitto che non vede la fine della crisi, con una popolazione che cresce al ritmo del 2 per cento all'anno, oltre metà del cibo da importare, a prezzi sempre più cari per la svalutazione della lira egiziana, l'inflazione ormai al 30 per cento.
E' in questo clima che i jihadisti vogliono scatenare l'odio e la guerra religiosa contro i cristiani. Per questo Papa Francesco, nonostante le strage e i rischi accresciuti, arriverà in Egitto il 28 aprile «per confermare e aiutare il dialogo», come ha riferito Marco Tasca, ministro generale dei Frati minori conventuali, dopo la visita di ieri del Pontefice. Una sfida all'Isis e alla sua ideologia di «amore per la morte».

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direttore@lastampa.it

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