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La Stampa-La Repubblica Rassegna Stampa
09.04.2017 Ecco due campioni 'esperti del giorno dopo'
Uno svedese, tuttora cieco, l'altro italiano,che incomincia aa aprire gli occhi

Testata:La Stampa-La Repubblica
Autore: Redazione La Stampa-Renzo Guolo
Titolo: «Ma il nostro modello non è in crisi-Se i modelli di integrazione non ci difendono dal terrorismo»

Per capire come la minaccia dell'invasione islamica delle democrazie occidentali e il terrorismo che ne è parte non siano ancora stati affronatati seriamente, basta leggere l'intervista a Robert Orell sulla STAMPA del 08/04/2017.
Sulla REPUBBLICA di oggi, 09/04/2017, interessante il commento di Renzo Guolo, che fino a poco tempo fa ragionava esattamente come lo svedese. Adesso sembra aver capito, meglio tardi che mai. Purtroppo di "esperti del giorno dopo" sono pieni i nostri giornaloni, la colpa della "mancata integrazione" è unicamente europea, continuano a sostenere. Poi si accorgono di aver scritto solo castronerie. E dire che per accorgersi della invasione silenziosa musulmana non occorre essere dei geni.

La Stampa-" Ma il nostro modello non è in crisi" Tre domande a Roberto Orell

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Robert Örell è un esperto di deradicalizzazione. Presidente dell’associazione «Exit», di Stoccolma, si occupa di prevenzione e integrazione dei soggetti a rischio estremismo. Negli ultimi anni i giovani affascinati dalla Jihad (e dai movimenti neonazisti) e «salvati» dalla rete di «Exit» sono oltre 300.
Örell, dopo quanto successo sono molte le critiche e le accuse al modello svedese di integrazione. Cosa ne pensa?
«Che il modello svedese è l’unico che funzioni davvero. Sappiamo ancora pochissimi dettagli su quanti successo a Drottninggatan, ma una cosa è certa: contro l’auto-radicalizzazione l’unica arma a nostra disposizione è la prevenzione. Più lasciamo che soggetti a rischio si isolino, maggiore sarà la probabilità che scelgano la violenza e che si facciano influenzare indirettamente da “ideologie forti”».
Cosa ne pensa di chi associa la politica dell’accoglienza svedese alla minaccia terroristica?
«Il problema dei rifugiati riguarda tutta l’Europa, Svezia inclusa. Associare i migranti ai terroristi è una visione miope».
Ma è quello che stanno facendo in queste ore tutti i movimenti della destra populista, svedesi democratici in testa.
«Appunto. Il modello svedese, che poi non è altro che una serie di politiche coordinate dal governo centrale, mira a tutt’altro, ed è per questo che la Svezia - con la Danimarca - è stato tra i primi Paesi a costituire un coordinamento nazionale di associazioni, forze dell’ordine e rappresentanti delle amministrazioni locali focalizzate tutte su un unico obbiettivo: prevenire, per quanto possibile, che l’insoddifazione e l’isolamento di singoli individui si trasformi in estremismo violento. Intercettare queste persone prima che si radicalizzino è la vera sfida e l’unica arma che abbiamo a disposizione».

La Repubblica-Renzo Guolo:" Se i modelli di integrazione non ci difendono dal terrorismo"

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Renzo Guolo

Spagna, Gran Bretagna, Francia, Germania, Belgio, lo jihadismo colpisce la Svezia. Una geografia del terrore che rivela come militanti e simpatizzanti radicali siano del tutto indifferenti al modello di integrazione culturale adottato nei diversi contesti nazionali. A essere colpiti sono Paesi assimilazionisti e multiculturalisti, caratterizzati da una laicità inclusiva o esclusiva, abitati da breve o lungo tempo da consistenti quote di popolazione di religione islamica. E non può essere che così, dal momento che gli islamisti radicali sono portatori di un'ideologia totalizzante, caratterizzata da una precisa concezione del Nemico, che non distingue certo tra modelli e concezioni della libertà. Tale distinzione può interessare individui e comunità motivati a agire nella sfera pubblica, non certo chi considera l'Occidente un sistema da abbattere con qualsiasi mezzo. Un' attenzione, quella ai diversi modelli, tipica di quelli che si vogliono integrare, non certo di quelli che vogliono disintegrare in tutti i sensi. Ma quali sono le caratteristiche del modello scandinavo? Si fonda su tre pilastri: i generosi servizi del welfare estesi anche agli immigrati; la partecipazione civica; la libertà di conservare o meno la propria cultura. Un modello, quello del civismo sociale pluralista, che ha storicamente caratterizzato le politiche delle socialdemocrazie nordiche ma che ha cominciato a dare segni di crisi quando i flussi migratori sono divenuti massicci: la Svezia ha oggi circa il 15 per cento di stranieri. Per la sua generosa politica d'asilo - centosessantamila domande accolte nel su una popolazione di circe dieci milioni di abitanti - il Paese è stato investito dai flussi provenienti da teatri di guerra come Bosnia, Kosovo, Somalia, Siria, Iraq, oltre che dai migranti per motivi economici. I costi dello stato sociale, che eroga davvero servizi degni di tal nome, sono lievitati, creando tensioni politiche interne molto forti. Aumento dei costi e comunitarismo etnico o religioso di alcune fette di popolazione immigrata, si sono tradotti sia in un deficit di politiche pubbliche mirate all'integrazione, sia in meccanismi di chiusura culturale. Fattori che, sia pure in maniera diversa, hanno alimentato la crisi della partecipazione civica, uno degli elementi fondativi del modello scandinavo. Da qui la crescente accusa di opportunismo sociale rivolta agli immigrati da parte di molti cittadini, anche di orientamento progressista. Il consistente numero di arrivi si è riverberato anche sulle politiche urbane e di sicurezza. Tanto che oggi, realtà impensabile in un Paese scandinavo solo qualche anno fa, oltre cinquanta zone periferiche sono classificate come "aree a rischio". Sono aree nelle quali a controllare il territorio sono organizzazioni criminali o caratterizzate da alti tassi di devianza e povertà. Rinkeby o Husby a Stoccolma, Rosengàrd a Malmö, dove prosperano le gang etniche, Hammarkullen e Angered a Goteborg, sono solo tra le più note. Periferie, o meglio ghetti suburbani, come Rinkeby , nate negli anni Sessanta per dare alloggio agli operai svedesi, poi popolate quasi esclusivamente da immigrati. Un quartiere, Rinkeby, abitato da sessanta etnie diverse, Vi sono molti somali iracheni, siriani, etiopi, turchi, bosniaci, bengalesi, turchi, afghani. Solo un abitante su venti è autoctono. Per la consistente presenza somala il sobborgo è noto anche come "Piccola Mogadiscio". Qui sono stati reclutati miliziani per gli Al Shabaab e anche alcuni dei trecento foreign fighters svedesi, numero assai elevato in proporzione al totale della popolazione, partiti per la Siria. Aree fuori controllo che, oltre a produrre per rigetto la crescita di formazioni xenofobe, consentono il proliferare di gruppi islamisti che hanno abbracciato l'ideologia *** radicale. Non le politiche d'integrazione, dunque, ma il loro abbandono, insieme alle deficitarie politiche di controllo del territorio e allo scontento dei perdenti della globalizzazione, hanno messo in crisi l'ex-Felix Scandinavia.

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