Riprendiamo da SETTE di oggi, 07/04/2017, a pag. 44, con il titolo "Il nobile segreto di Aznavour", il commento di Antonio Ferrari.
Antonio Ferrari
Charles Aznavour
Un artista è sempre un artista. Che sia di destra, di sinistra, di centro, oppure semplicemente percepito come affiliato a un rampo politico. Sul grande cantante Charles Aznavour, poi, non si accettano discussioni. I suoi dischi di vinile e la sua voce magnetica hanno sempre accompagnato le festicciole domenicali di noi sedicenni squattrinati, quando era possibile un furtivo bacio alla ragazza del cuore soltanto se il più impunito spegneva la luce per qualche attimo, aggirando i divieti famigliari.
Com'è triste Venezia ci ha spronato verso la prima gita sentimentale fuori porta, appunto sulla Laguna, con il biglietto ferroviario di terza classe (esisteva ancora) e il pranzo al sacco. Io tra di voi ci ha fatto soffrire. La mamma ci ha commosso. Di quell'apolide mezzo francese, non particolarmente fascinoso (pareri femminili), conoscevamo le canzoni e la voce ma non la storia. La storia di un mito armeno che adesso, a oltre 90 anni, è diventato il testimonial di una battaglia per il riconoscimento del genocidio del suo popolo, soprattutto in Israele, dove quel vocabolo mostruoso significa soltanto Shoah, di sicuro il più gigantesco sterminio di massa della storia. Ho trovato recenti e preziose tracce di Aznavour durante una visita, organizzata da Gariwo (La foresta dei giusti) nel kibbutz di Neve Shalom, dove vivono insieme ebrei e arabi. Nel villaggio-simbolo della pace e dell'amicizia, guidato da un ebreo e da una palestinese, c'è un giardino, dove un albero è stato dedicato ai genitori del cantante (Mischa e Knar Aznavourian), che a Parigi, durante l'occupazione nazista, nascosero e salvarono decine di ebrei.
II professore israeliano Yaïr Auron, uno dei due capi della comunità di Neve Shalom, è un combattente nato e non si piega alle imposizioni del potere. Colmo di straordinario talento: ricercatore, docente, specialista negli studi sui genocidi, sul giudaismo e sulle relazioni israelo-palestinesi. Auron mi ha regalato un suo libro, Sauveurs et Combattants, scritto in ebraico e tradotto in armeno e francese (Ed Sigest, 148 pag., euro 17), dove appunto si racconta quanto gli armeni, e in particolare la famiglia Aznavourian, fecero per salvare gli ebrei di Parigi. Sono decenni che il professore studia le relazioni tra ebrei e armeni, battendosi perché Israele riconosca il genocidio subito da questi ultimi. La prefazione del libro è dello stesso Charles Aznavour, che racconta i suoi ricordi di ragazzo, assieme alla sorella Aida, quando i genitori avevano la loro bancarella al Marais di Parigi, accanto a quelle del loro amici ebrei. Proteggendo e nascondendo quegli amici, «papà e mamma», scrive il cantante, «hanno fatto quello che ritenevano un dovere, senza pensare per un solo istante che mettevano in pericolo la vita dei loro figli, ma anche la loro». II fatto che Israele non abbia ancora riconosciuto il genocidio armeno amareggia Aznavour. Che ricorda quel che disse Adolf Hitler quando cominciò lo sterminio degli ebrei: «In fondo, di quanto accadde agli armeni poco tempo fa, non parla più nessuno».
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