Riprendiamo dalla REPUBBLICA - TORINO di oggi, 07/04/2017, a pag. XI, con il titolo "Al campo profughi settant'anni dopo: così quattro ebrei ritrovano l'infanzia", la cronaca di Federica Cravero.
Un momento della cerimonia a Grugliasco (Torino)
SI GUARDANO attorno e si sforzano di riconoscere pezzi di prato o edifici che facevano da sfondo alle immagini dell'album di famiglia, mentre dispensano sorrisi. Peter Tannenbaum, Felicia Wax, Haim Frenkel e Sara Guttman sono i «children of Grugliasco» che ieri hanno partecipato alla cerimonia - a cui hanno partecipato autorità, studenti, e rappresentanti della comunità ebraica di Torino - in cui è stata scoperta una targa commemorativa che l'amministrazione comunale ha dedicato al Campo 17 che hanno accolto duemila ebrei, tra cui qualche centinaio di bambini, tra il 1945 e il 1949.
«Essere qui è una bellissima emozione, mia madre parlava sempre bene del periodo passato qui e d' altra parte nelle foto che ho sempre visto fin da bambino tutti coloro che erano qui sorridevano», dice Peter, matematico trapiantato negli Stati Uniti da famiglia ungherese, che proprio in questi giorni ha festeggiato il compleanno. Peter era nato sei mesi dopo l'arrivo dei suoi genitori ed stato uno dei primi bambini del Campo: «Mia madre raccontava che lei non conosceva l'yiddish, ma aveva imparato a dire "lasciate stare il bambino" perché tutti mi assediavano per coccolarmi». In realtà per lui ieri è stata la seconda volta a Grugliasco. «Quasi ogni anno vengo in Italia perché anche se sono casualmente nato qua sento un feeling con il vostro Paese - dice - e nel 2000 sono stato a Torino. Così sono venuto a Grugliasco e qui è avvenuta una cosa buffa: ho chiesto a un giovane carabiniere se sapeva indicarmi dov'erano le palazzine in cui ero nato, lui non ne aveva mai sentito parlare ma ha chiamato in caserma un collega più anziano, che è subito venuto e mi ha accompagnato con la motocicletta di servizio e il lampeggiante acceso».
Il ricordo di Sara Guttman è invece legato all'assenza dei fratelli, che erano stati accolti in un campo ad Avigliana e non si erano più ritrovati. «Ma accadde un giorno, quando io e mia madre eravamo arrivate ad Haifa, che lei vide avvicinarsi un ragazzo di 18 anni, che faceva il soldato. Lui la guardò in un punto del collo e le disse "tu sei mia madre" perché riconobbe una piccola escrescenza della pelle con cui lui giocava da piccolo».
La copertina (Zamorani ed.)
La vicenda dei «bambini di Grugliasco» è una di quelle di cui la storiografia si è occupata poco. Ed è stato il libro «Vite in transito», scritto da una ricercatrice convertita all'ebraismo, Sara Vinçon, a ripercorrere le storie dei protagonisti, che arrivarono al campo di Grugliasco dopo la tragedia della Shoah e da qui partirono per ricostruirsi una vita nuova in altri Paesi, soprattutto Stati Uniti e Israele. «Da qui sono partite persone più forti della follia», ha detto il sindaco Roberto Monta.
Dario Disegni, presidente della comunità ebraica di Torino, ha sottolineato che «quella dei profughi è una vicenda non solo consegnata al passato ma che ci interpella anche oggi». «È una pagina di storia che lascia indietro il dolore per guardare alla speranza, ma che fa riflettere sul fatto che, nonostante tutto, il mondo non era pronto ad accogliere a braccia aperte questi profughi», spiega Vinçon. «Molti ebrei - è il racconto di Elena Loewenthal, addetta culturale dell' ambasciata italiana in Israele - in quegli anni attraversarono il Mediterraneo per arrivare sulle spiagge di Tel Aviv e lo fecero di nascosto in un periodo in cui era ancora illegale raggiungere Israele, grazie all' aiuto degli italiani che li caricavano sulle loro navi».
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