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La Stampa - Il Foglio - Il Manifesto Rassegna Stampa
07.04.2017 Russia: apertura per 'Gerusalemme capitale'. Ma Putin difende Assad e Iran
Commenti di Giordano Stabile, Daniele Raineri, il doppio standard di Michele Giorgio

Testata:La Stampa - Il Foglio - Il Manifesto
Autore: Giordano Stabile - Daniele Raineri - Michele Giorgio
Titolo: «La sponda di Putin con Netanyahu: 'Gerusalemme Ovest capitale' - Trump vs Assad - Putin arriva primo: capitale di Israele è Gerusalemme»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 07/04/2017, a pag. 2, con il titolo "La sponda di Putin con Netanyahu: 'Gerusalemme Ovest capitale' ", il commento di Giordano Stabile; dal FOGLIO, a pag. 1, con il titolo "Trump vs Assad", il commento di Daniele Raineri; dal MANIFESTO, a pag. 9, con il titolo "Putin arriva primo: capitale di Israele è Gerusalemme", il commento di Michele Giorgio.

A destra: Benjamin Netanyahu con Vladimir Putin

Nel caos mediorientale, qualche segnale positivo: Trump, contro le previsioni dei catastrofisti, si sta dimostrando di parola, mentre Obama, che aveva garantito l'eliminazione dei gas grazie alla sua politica pacifista, quanto è successo in Siria lo squalifica agli occhi della Storia. Anche Putin si barcamena, grazie alla diplomazia di Netanyahu. Ne vedremo gli sviluppi nei prossimi giorni.

Ecco gli articoli:

LA STAMPA - Giordano Stabile: "La sponda di Putin con Netanyahu: 'Gerusalemme Ovest capitale' "

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Giordano Stabile

È nella telefonata di ieri fra Vladimir Putin e Benjamin Netanyahu, più che nei veti incrociati all’Onu, la chiave di lettura della partita siriana. Lo Zar ha condannato come «mostruoso» l’attacco chimico a Khan Sheikhoun, ma ha difeso ancora con tutte le sue forze l’alleato Bashar al-Assad, e accusato gli Stati Uniti di correre alle conclusioni senza «prove effettive» della responsabilità del regime nel massacro. Un fatto «inaccettabile». Putin è stato però molto attento anche nel rassicurare Israele. Una strage deliberata con armi chimiche suona ancora più sinistra in chi ha viva la memoria delle camere a gas. Con una «mossa del cavallo», inaspettata, scavalcando persino l’alleato storico dello Stato ebraico, l’America, ha offerto un’apertura storica al premier israeliano: il riconoscimento di Gerusalemme Ovest come capitale di Israele.

Il ministero degli Esteri russo ha poi precisato che il riconoscimento va di pari passo con la soluzione «due popoli, due Stati» e quindi arriverebbe con la nascita di uno Stato palestinese, che rivendica la parte orientale della Città Santa. E il comunicato in inglese è apparso ancora più prudente della versione in russo. In ogni caso, la Russia sarebbe la prima grande potenza a farlo, la seconda nazione in assoluto dopo il Costa Rica. Israele considera Gerusalemme come sua capitale «unica e indivisibile», ma finora tutte le ambasciate, compresa quella Usa, sono rimaste a Tel Aviv. Fonti vicine a Netanyahu hanno fatto sapere al Jerusalem Post che lo spostamento dell’ambasciata russa da Tel Aviv sarebbe prossimo. Finora Mosca, ricorda il Jp, aveva sempre sostenuto che Gerusalemme dovrebbe eventualmente finire sotto un regime internazionale permanente.
La mossa di Putin sembra far parte di una difesa concertata di Assad. L’alleato storico si ritrova a vacillare, con i missili Cruise Usa pronti a partire dalle navi nel Mediterraneo. L’attacco chimico ha accelerato tutto. Israele è stata la prima a puntare il dito contro Assad come «responsabile diretto» della strage. Un atteggiamento inusuale. Quando sa, Israele di solito non dice. Ma la presa di posizione così netta ha avuto conseguenze forse al di là di quanto aspettato. E non è un caso che, dopo una discussione accesa fra Putin e Netanyahu, sia arrivato l’annuncio su Gerusalemme. Putin si aggrappa a piccoli segnali, come l’immediata solidarietà mostrata da Israele, unico tra i paesi occidentali, dopo l’attentato di lunedì: a Tel Aviv è comparsa una grande bandiera russa sulla facciata del Comune.

Mosca deve disinnescare il possibile “strike” in tutti i modi. Con la diplomazia e mostrando i muscoli. Le tv annunciano una mega esercitazione col sistema anti-aereo S300 in grado in intercettare «un massiccio attacco con missili Cruise». All’Onu viene presentata una bozza sulla Siria che chiede alla «missione di inchiesta dell’Opac» di visitare «al più presto il luogo del presunto incidente a Khan Sheikhoun per condurre indagini». E si chiede «a tutte le parti in Siria di permettere senza alcun ritardo un accesso libero e sicuro». Mentre da Damasco Assad avverte «non c’è alternativa alla vittoria, altrimenti la Siria sarà spazzata via dalle mappe geografiche». A quale prezzo? I ribelli ieri hanno denunciato un nuovo attacco chimico, con bombe al cloro, che sarebbe avvenuto ad Al-Lataminah, un villaggio a Nord di Hama.

(Ha collaborato Lucia Sgueglia)

IL FOGLIO - Daniele Raineri: "Trump vs Assad"

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Daniele Raineri

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Donald Trump

Roma. A quattro anni di distanza dal massacro con armi chimiche nella parte est della Ghouta, il lungo hinterland della capitale siriana Damasco, avvenuto nell’agosto 2013, alla Casa Bianca c’è un’Amministrazione di segno opposto che però è finita nella stessa situazione. Something has to be done, è il refrain a Washington, ma non è chiaro che cosa. Far valere la minaccia della linea rossa, che il governo siriano è accusato di avere attraversato di nuovo? E se sì, come? Il presidente Donald Trump ha detto ad alcuni senatori del Congresso di stare pensando a un’azione militare come risposta all’attacco chimico che martedì mattina ha ucciso decine di civili in Siria. L’Amministrazione ha preso una posizione di aperto contrasto con la Russia di Vladimir Putin, che due giorni fa ha invece offerto all’alleato di Damasco una versione diplomatica di copertura per deflettere la responsabilità delle immagini forti che scorrono in tv e su internet. Se il governo siriano ha pensato di avere raggiunto uno status di impunità e di poter regolare i conti interni – come Saddam Hussein che nel 1990 invase il Kuwait credendo che l’America sarebbe rimasta neutrale – potrebbe avere peccato di un eccesso di sicurezza.

Ieri le analisi sui corpi contaminati portati fuori dalla Siria hanno confermato le diagnosi dei dottori nelle sale d’emergen - za, che parlavano di sintomi di esposizione al sarin per molte vittime e in altri casi di esposizione a un altro agente chimico meno sofisticato – come il cloro. La presenza dell’agente nervino sarin apre un problema enorme perché in teoria il sarin in Siria non dovrebbe più esistere dal 2013, dopo l’implementazione di un patto a tre tra governo siriano, Amministrazione Obama e Russia – con le Nazioni Unite come garanti – che aveva come traguardo la rimozione di tutto l’arsenale chimico dal paese. Quell’anno l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, che si occupava degli aspetti tecnici dell’accordo, prese addirittura il premio Nobel per la Pace. In seguito in Siria ci fu una sequenza di attacchi chimici nelle aree sotto il controllo dei ribelli ma erano a base di cloro, che sebbene fosse incluso nell’accordo ha effetti meno letali e tutto sommato furono considerati “attacchi chimici veniali”.

Nel frattempo ci sono state molte voci (fonti anonime diplomatiche riprese da Reuters per esempio) su violazioni da parte del governo siriano, che non avrebbe consegnato proprio tutte le scorte e ne avrebbe nascoste alcune – forse per tenerle come arma di deterrenza in caso di sconfitte gravi (era il 2013, la Russia non era ancora scesa in campo a mettere in sicurezza la posizione di Assad), ma nessuna reazione. Da martedì mattina, tuttavia, la comunità internazionale scopre di essersi cullata in un’illusione per quattro anni. In Siria il sarin c’è ancora. E’ un problema enorme di prospettiva storica anche per l’Amministrazione Obama, che nel 2014 – quando si conclusero le operazioni di smantellamento dell’arsena - le – cantò vittoria. Anzi, citò l’accordo siriano come esempio per l’accordo dell’anno successivo con l’Iran sulla sospensione del programma atomico. Nel gennaio 2014 l’al - lora segretario di stato, John Kerry, dichiarò trionfante che il cento per cento delle armi chimiche era stato rimosso dalla Siria e che l’accordo che aveva evitato all’ultimo minuto i raid aerei americani su Damasco era pertanto da considerarsi un successo.

Ora viene da pensare: se l’accordo con Teheran si basa sulla possibilità di sorvegliare i siti, di fare ispezioni e di non farsi fregare, e c’è appena stata la dimostrazione terribile che in Siria questa capacità di tenere le cose sotto controllo e di farsi rispettare non ha funzionato per nulla, quanto sarà solida e duratura questa tregua stipulata con l’Iran? Per capire la natura dell’orrore e dello spiazzamento di fronte a questo ritorno del sarin in Siria si può riandare alla lunghissima intervista che il predecessore di Trump, Barack Obama, concesse l’anno scorso alla rivista americana Atlantic per fare un bilancio della sua Amministrazione. “Sono molto orgoglioso di quel momento”, disse riferendosi a quando bloccò l’intervento militare contro Assad. “La percezione comune era che la mia credibilità, e la credibilità dell’America, fossero a repentaglio. E quindi per me schiacciare il pulsante ‘pausa’ avrebbe avuto un costo politico. E il fatto che io sia stato capace di sottrarmi alla pressione immediata e di pensare con la mia testa cos’era nell’interesse dell’Ameri - ca fu una delle decisioni più dure che ho fatto – ma credo che alla fine fu la decisione giusta”. L’America evitò di infilarsi in un’altra guerra mediorientale, ma il patto con Damasco che fu stretto come alternativa non ha funzionato. Donald Trump, che allora era soltanto Donald Trump – quindi una voce non presa in considerazione in faccende di questo peso – scrisse una serie di tweet per convincere Obama a non intervenire. Oggi si trova al posto di Obama, ad affrontate lo stesso dilemma.

IL MANIFESTO - Michele Giorgio: "Putin arriva primo: capitale di Israele è Gerusalemme"

Michele Giorgio, come al solito, attribuisce ogni responsabilità e colpa a Israele. In particolare, "dimentica" sistematicamente i continui rifiuti, da parte arabo-palestinese, di pace, a partire da quello della spartizione decretata dall'Onu nel 1947. Il mondo arabo ha sempre risposto con le guerre a Israele, ricevendo meritate sconfitte. Giorgio, specialista in "menzogne omissive" è quello di sempre.

Ecco il pezzo:

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Michele Giorgio

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Problemi di memoria?

Analisti israeliani e palestinesi leggono in modo opposto il significato del comunicato diffuso ieri dal Ministero degli Esteri russo nel quale Mosca «riafferma» l'impegno verso i principi delle Nazioni Unite per la soluzione della questione israelo-palestinese, che «comprende lo status di Gerusalemme Est come capitale del futuro stato palestinese». «In questo contesto—aggiunge il comunicato — consideriamo Gerusalemme Ovest come la capitale dello Stato di Israele». Mosca inoltre ribadisce la soluzione dei due Stati «come opzione ottimale che soddisfi gli interessi nazionali dei popoli palestinese e israeliano, con entrambi i quali abbiamo relazioni amichevoli, e gli interessi di tutti gli altri paesi della regione e della comunità internazionale un' intera».

«LO CONSIDERO UNO SVILUPPO positivo poiché sino ad oggi non c'era stato riconoscimento internazionale delle rivendicazioni (israeliane) su Gerusalemme, nemmeno sulla zona ovest, quella ebraica — diceva ieri sera al manifesto Eytan Gilboa, esperto del Centro Besa per gli Studi Strategici dell'università di Tel Aviv — Non credo che questo annuncio soddisfi i dirigenti politici di Israele, allo stesso tempo è l'inizio di qualcosa, è un passo verso una discussione più ampia». E infatti il Ministero degli Esteri israeliano ha accolto tiepidamente il passo russo. ll portavoce Nahshon si è limitato ad affermare: Stiamo studiando il testo del comunicato». Si è comunque appreso, da fonti israeliane, che lo status di Gerusalemme non è stato discusso nella conversazione telefonica che hanno avuto ieri il premier Netanyahu e il presidente russo Putin, dedicata solo alla Siria. Mosca ha rimproverato Tel Aviv per aver accusato Damasco di aver fatto uso di armi chimiche «sulla base di notizie senza fondamento». Nessun commento, almeno fino ieri sera, era giunto dalla leadership dell'Anp a Ramallah né dal movimento islamico Hamas da Gaza. L'analista palestinese Ghassan al Khatib, docente di scienze politiche all'università di Bir Zeit, interpreta il passo russo in modo negativo: «Se da un lato Mosca ribadisce il suo sostegno ai diritti palestinesi sulla zona Est, dall'altro rompe il consenso internazionale riguardo sullo status di Gerusalemme, ossia che tutta la città è occupata, anche la zona Ovest, e che il suo futuro va definito sulla base di un accordo globale e non sulla base di azioni unilaterali come quelle che ha compiuto Israele». È molto probabile che il presidente dell'Anp Abu Ma-zen abbia fatto le stesse considerazioni di al Khatib.

LO STATUS GIURIDICO di Gerusalemme è oggetto di controversie che nascono dal 194748 e si sono moltiplicate nel 1967 quando Israele ha occupato militarmente la zona palestinese della città, dichiarandola già pochi giorni dopo la Guerra dei Sei Giorni, per bocca del ministro della Difesa Moshe Dayan, parte della capitale "indivisibile" dello Stato ebraico. Secondo il piano di spartizione della Palestina approvato dall'Onu nel 1947, tutta Gerusalemme e i suoi luoghi santi devono avere una amministrazione internazionale. Sebbene al termine della prima guerra arabo-israeliana del 1948 Israele avesse ormai il controllo della zona ebraica della città, la comunità internazionale ha continuato a rispettare quella risoluzione. E quando lo Stato di Israele ha proclamato l'intera Gerusalemme sua capitale «sacra e indivisibile», tutti i paesi, inclusi gli Stati Uniti, hanno spostato le loro ambasciate dalla Città Santa a Tel Aviv per sottolineare il rifiuto delle mosse unilaterali di Israele.

NEGLI ULTIMI TRENT'ANNI, nella prospettiva di «due popoli due Stati», è stata appoggiata la soluzione che vedrebbe la zona Est come capitale del futuro Stato di Palestina e quella Ovest come capitale di Israele, con la Città Vecchia e i suoi luoghi santi sotto una gestione internazionale o affidata alle tre religioni monoteistiche. Non è ancora chiaro cosa rappresenti la dichiarazione di Mosca. Probabilmente ha voluto frenare gli impulsi di Trump che si dice intenzionato a trasferire l'ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme.

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