Il nascondiglio
Christophe Boltanski
Traduzione Marina Di Leo
Sellerio Euro 16
La copertina
“Si avventuravano fuori di casa soltanto motorizzati. Seduti l’uno accanto all’altro, al riparo di una carrozzeria, dietro una blindatura, benchè leggera. Circolavano per Parigi a bordo di una Fiat Cinquecento L bianca. Una macchina semplice, maneggevole, rassicurante, a loro misura…..pronta a partire, quasi attaccata al muro, come la capsula di salvataggio di un missile”.
E’ nel quartiere più raffinato di Parigi, in Rue de Grenelle, che si dipana la storia della famiglia Boltanski, raccontata con efficace piglio narrativo e spirito umoristico da Christophe Boltanski, giornalista, esperto di esteri e vincitore del prestigioso Prix Bayeux-Calvados per i corrispondenti di guerra, nel suo libro d’esordio “Il nascondiglio” che gli ha valso il Prix Femina 2015. L’originale struttura narrativa – ogni capitolo è preceduto da una piantina della casa – consente al lettore di entrare in punta di piedi non solo in ogni stanza, mirabilmente descritta, ma anche nella vita dei personaggi che la popolano. Si lascia lo studio per entrare nel salotto, si esce dal bagno per scoprire il “passaggio” e da una storia si entra in un’altra per conoscere personaggi stravaganti, artisti raffinati, esuli ebrei, intellettuali, una sorta di sessantottini ante-litteram prima ancora di esserlo realmente.
Il romanzo di Boltanski, che ricorda “Gli scomparsi” di Daniel Mendelsohn, è anche racconto della Shoah che non emerge, come per altri autori, dalla narrazione dei campi di sterminio ma attraverso le vicende occorse al nonno Etienne, medico, costretto a nascondersi per venti mesi dentro una botola nel sottoscala, in un ambiente angusto ” largo 1 metro e alto 1,20 metri”. Nonostante si sia fatto battezzare nonno Boltanski rimane ebreo per i nazisti e al fine di sottrarlo all’arresto e alle delazioni dei vicini la moglie Myriam, che si fa chiamare Mère-Grand, lo convince a chiudersi nel “nascondiglio”, non prima di aver divorziato per eludere ogni sospetto. Pagina dopo pagina, entrando e uscendo da ogni stanza, conosciamo gli straordinari personaggi di una famiglia, quella dell’autore, decisamente fuori dal comune: lo zio Jean-Elie, dalla voce pacata e tranquilla in qualsiasi circostanza che “non parla mai del suo lavoro intellettuale. Poi gironzolando tra gli scaffali di una libreria, ti imbatti per caso in saggi sul linguaggio, la fonologia...che ha scritto e pubblicato mesi o anni prima senza farne cenno”; lo zio Christian, famoso per il suo lavoro artistico di pittore e fotografo pervaso dal tema della memoria e della perdita e che ha ricostruito negli anni la sua infanzia sfruttando tecniche artistiche come la fotografia e il teatro; la zia Anne che solo dopo alcuni anni ha appreso che era stata adottata; e infine il papà dell’autore, Luc, noto sociologo che per primo ha abbandonato il nucleo familiare gettando nello scompiglio i componenti di una famiglia abituati a vivere non reclusi ma semplicemente saldati gli uni agli altri per affrontare la paura di qualunque catastrofe incombente anche negli anni successivi alla Shoah.
“...Avevano paura di tutto, di niente, degli altri, di noi stessi. Delle folle e dei loro pregiudizi, dei loro odi, delle loro bramosie. Delle malattie e dei mezzi impiegati per contrastarle”. Al centro spicca la figura di nonna Myriam, Mère-Grand, punto di riferimento per la famiglia: adottata da una ricca vedova per togliere un fardello dalle spalle di una famiglia povera, negli anni Trenta si ammala di poliomielite mentre studia medicina, poco dopo la nascita di Jean-Elie, e sfugge per miracolo alla morte. Non accetterà mai di sentirsi handicappata e “il suo rifiuto di usare le stampelle, di mostrarsi in pubblico come una persona debole, privata di una parte di sé, era irremovibile”. “Non sono mai stato tanto libero e felice come in quella casa”, scrive Christophe Boltanski che trascorre molto tempo nell’abitazione dei nonni giocando con i soldatini - senza alcun freno o divieto imposto dagli adulti - insieme allo zio Christian sulle sue prime tele dipinte con colori sgargianti o saltando allegramente sul letto dei nonni da un “pouf” posto nella camera da letto dove alla sera tutti si ritrovavano per dormire. E attraverso la lente di ingrandimento che ci offre l’autore osserviamo con curiosità e un pizzico di invidia questa famiglia insolita nella loro insaziabile voglia di vivere, nei momenti di ebbrezza e persino di euforia, senza tralasciare gli amici che arrivano all’improvviso, il disprezzo che manifestano nei confronti delle comuni regole di buona educazione, i piedi scalzi, le mani nei piatti, la libertà di esprimersi a piacere.
“L’energia, l’esuberanza emanate da quella comunità sessantottina ante litteram. La luce, nonostante il buio”. “Per un bambino era un posto magico, il salotto era stato trasformato in un campo di battaglia dove io e Christian giocavamo alla guerra sui suoi primi quadri. Nel suo atelier in soffitta costruivamo insieme oggetti di carta e legno”. Escono tutti assieme, compatti e stipati, sulla Fiat Cinquecento dove Christophe nei lunghi viaggi trova posto nel bagagliaio lasciato opportunamente aperto per farlo respirare; alla guida Mère-Grand, che nonostante l’handicap - e forse senza patente - fa da autista ai figli e al marito accompagnandolo in Ospedale o altrove e restando ad aspettare in macchina fuori dal palazzo o dagli uffici. Anche lo zio Christian, uscito per la prima volta da solo a diciott’anni per recarsi a pochi metri da rue de Grenelle, nella galleria specializzata in arte Yiddish, trova al ritorno la madre che è andata a recuperarlo! Collocato tra una stanza e l’altra c’è anche il racconto del padre di Etienne, il bisnonno, emigrato in Francia da Odessa nel 1895 il quale, dopo aver rinunciato al sogno di diventare cantante lirico, durante la prima Guerra Mondiale conosce la bisnonna Niania, infermiera, una figura che l’autore non ha conosciuto se non dai racconti dello zio Christian e del padre Luc ma che restituisce con grande vividezza illuminando il suo carattere bizzarro, la volontà di ferro e l’incredibile energia. Biografia, romanzo, libro della memoria, non è facile classificare l’opera di Christophe Boltanski e forse neppure importante.
Per raccontare il clan da cui proviene l’autore ha attinto dai ricordi d’infanzia e da quelli dei parenti, perlustrato le tracce lasciate dagli antenati e descritto con scrupolo l’abitazione di Rue de Grenelle per raccontarci la storia di una famiglia eccezionale. Il tutto con un registro che mescola ironia, commedia e tragedia. “Il nascondiglio” è un libro che sa tenerti stretto alle vite degli altri, che sa portarti dentro e oltre le vicende dei protagonisti, lasciandoti con un’idea in più del mondo e il dono potente di uno spazio libero e aperto in cui poter vivere meglio.
Giorgia Greco