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Il Giornale - Corriere della Sera Rassegna Stampa
05.04.2017 Addio a Giovanni Sartori, tra i primi a denunciare l'invasione islamista
L'ultima intervista di Luigi Mascheroni, commento di Paolo Ermini

Testata:Il Giornale - Corriere della Sera
Autore: Luigi Mascheroni - Paolo Ermini
Titolo: «'Ecco perché integrare l'islam resta soltanto un'illusione' - Lapidario e sarcastico: quando sul Corriere si schierò con Fallaci»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 05/04/2017, a pag. 25, con il titolo "Ecco perché integrare l'islam resta soltanto un'illusione", l'intervista di Luigi Mascheroni a Giovanni Sartori; dal CORRIERE della SERA, a pag. 9, con il titolo "Lapidario e sarcastico: quando sul Corriere si schierò con Fallaci", il commento di Paolo Ermini.

Giovanni Sartori è stato, sulle colonne del Corriere della Sera, uno dei primi, se non il primo, degli editorialisti ospitati dai giornaloni, ad andare controcorrente, scrivendo sì contro il terrorismo, ma attribuendone le responsabilità all'islam, non all'islamismo, proprio all'islam. Ce ne voleva di coraggio, e Sartori, a differenza degli "esperti del giorno dopo" quel coraggio l'ha avuto.

Ecco gli articoli:

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Giovanni Sartori

IL GIORNALE - Luigi Mascheroni: 'Ecco perché integrare l'islam resta soltanto un'illusione'

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Luigi Mascheroni

Giovanni Sartori, fiorentino, 91 anni (quasi 92), considerato fra i massimi esperti di scienza politica a livello internazionale, da anni è attento osservatore dei temi-chiave di oggi: immigrazione, Islam, Europa.

Professore su queste parole si gioca il nostro futuro. «Su queste parole si dicono molte sciocchezze».

Su queste parole, in Francia, intellettuali di sinistra ora cominciano a parlare come la destra. Dicono che il multiculturalismo è fallito, che i flussi migratori dai Paesi musulmani sono insostenibili, che l'Islam non può integrarsi con l'Europa democratica... «Sono cose che dico da decenni».

Anche lei parla come la destra? «Non mi importa nulla di destra e sinistra, a me importa il buonsenso. Io parlo per esperienza delle cose, perché studio questi argomenti da tanti anni, perché provo a capire i meccanismi politici, etici e economici che regolano i rapporti tra Islam e Europa, per proporre soluzioni al disastro in cui ci siamo cacciati».

Quale disastro? «Illudersi che si possa integrare pacificamente un'ampia comunità musulmana, fedele a un monoteismo teocratico che non accetta di distinguere il potere politico da quello religioso, con la società occidentale democratica. Su questo equivoco si è scatenata la guerra in cui siamo».

Perché? «Perché l'Islam che negli ultimi venti-trent'anni si è risvegliato in forma acuta - infiammato, pronto a farsi esplodere e assistito da nuove tecnologie sempre più pericolose - è un Islam incapace di evolversi. È un monoteismo teocratico fermo al nostro Medioevo. Ed è un Islam incompatibile con il monoteismo occidentale. Per molto tempo, dalla battaglia di Vienna in poi, queste due realtà si sono ignorate. Ora si scontrano di nuovo».

Perché non possono convivere? «Perché le società libere, come l'Occidente, sono fondate sulla democrazia, cioè sulla sovranità popolare. L'Islam invece si fonda sulla sovranità di Allah. E se i musulmani pretendono di applicare tale principio nei Paesi occidentali il conflitto è inevitabile».

Sta dicendo che l'integrazione per l'islamico è impossibile? «Sto dicendo che dal 630 d.C. in avanti la Storia non ricorda casi in cui l'integrazione di islamici all'interno di società non-islamiche sia riuscita. Pensi all'India o all'Indonesia».

Quindi se nei loro Paesi i musulmani vivono sotto la sovranità di Allah va tutto bene, se invece... «...se invece l'immigrato arriva da noi e continua ad accettare tale principio e a rifiutare i nostri valori etico-politici significa che non potrà mai integrarsi. Infatti in Inghilterra e Francia ci ritroviamo una terza generazione di giovani islamici più fanatici e incattiviti che mai».

Ma il multiculturalismo... «Cos'è il multiculturalismo? Cosa significa? Il multiculturalismo non esiste. La sinistra che brandisce la parola multiculturalismo non sa cosa sia l'Islam, fa discorsi da ignoranti. Ci pensi. I cinesi continuano a essere cinesi anche dopo duemila anni, e convivono tranquillamente con le loro tradizioni e usanze nelle nostre città. Così gli ebrei. Ma i musulmani no. Nel privato possono e devono continuare a professare la propria religione, ma politicamente devono accettare la nostra regola della sovranità popolare, altrimenti devono andarsene».

Se la sente un benpensante di sinistra le dà dello xenofobo. «La sinistra è vergognosa. Non ha il coraggio di affrontare il problema. Ha perso la sua ideologia e per fare la sua bella figura progressista si aggrappa alla causa deleteria delle porte aperte a tutti. La solidarietà va bene. Ma non basta».

Cosa serve? «Regole. L'immigrazione verso l'Europa ha numeri insostenibili. Chi entra, chiunque sia, deve avere un visto, documenti regolari, una identità certa. I clandestini, come persone che vivono in un Paese illegalmente, devono essere espulsi. E chi rimane non può avere diritto di voto, altrimenti i musulmani fondano un partito politico e con i loro tassi di natalità micidiali fra 30 anni hanno la maggioranza assoluta. E noi ci troviamo a vivere sotto la legge di Allah. Ho vissuto trent'anni negli Usa. Avevo tutti i diritti, non quello di voto. E stavo benissimo».

E gli sbarchi massicci di immigrati sulle nostre coste? «Ogni emergenza ha diversi stadi di crisi. Ora siamo all'ultimo, lo stadio della guerra - noi siamo gli aggrediti, sia chiaro - e in guerra ci si difende con tutte le armi a disposizione, dai droni ai siluramenti».

Cosa sta dicendo? «Sto dicendo che nello stadio di guerra non si rispettano le acque territoriali. Si mandano gli aerei verso le coste libiche e si affondano i barconi prima che partano. Ovviamente senza la gente sopra. È l'unico deterrente all'assalto all'Europa. Due-tre affondamenti e rinunceranno. Così se vogliono entrare in Europa saranno costretti a cercare altre vie ordinarie, più controllabili».

Se la sente uno di quegli intellettuali per i quali la colpa è sempre dell'Occidente... «Intellettuali stupidi e autolesionisti. Lo so anch'io che l'Inquisizione è stata un orrore. Ma quella fase di fanatismo l'Occidente l'ha superata da secoli. L'Islam no. L'Islam non ha capacità di evoluzione. È, e sarà sempre, ciò che era dieci secoli fa. È un mondo immobile, che non è mai entrato nella società industriale. Neppure i Paesi più ricchi, come l'Arabia Saudita. Hanno il petrolio e tantissimi soldi, ma non fabbricano nulla, acquistano da fuori qualsiasi prodotto finito. Il simbolo della loro civiltà, infatti, non è l'industria, ma il mercato, il suq».

Si dice che il contatto tra civiltà diverse sia un arricchimento per entrambe. «Se c'è rispetto reciproco e la volontà di convivere sì. Altrimenti non è un arricchimento, è una guerra. Guerra dove l'arma più potente è quella demografica, tutta a loro favore».

E l'Europa cosa fa? «L'Europa non esiste. Non si è mai visto un edificio politico più stupido di questa Europa. È un mostro. Non è neppure in grado di fermare l'immigrazione di persone che lavorano al 10 per cento del costo della manodopera europea, devastando l'economia continentale. Non è questa la mia Europa».

Qual è la sua Europa? «Un'Europa confederale, composta solo dai primi sei/sette stati membri, il cui presidente dev'essere anche capo della Banca europea così da avere sia il potere politico sia quello economico-finanziario, e una sola Suprema corte come negli Usa. L'Europa di Bruxelles con 28 Paesi e 28 lingue diverse è un'entità morta. Un'Europa che vuole estendersi fino all'Ucraina... Ridicolo. Non sa neanche difenderci dal fanatismo islamico».

Come finirà con l'Islam? «Quando si arriva all'uomo-bomba, al martire per la fede che si fa esplodere in mezzo ai civili, significa che lo scontro è arrivato all'entità massima».

CORRIERE della SERA - Paolo Ermini: "Lapidario e sarcastico: quando sul Corriere si schierò con Fallaci"

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Paolo Ermini

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Oriana Fallaci

Essenziali, e anche parecchio severi, ma coloriti. Profondi, eppure di una piacevolezza da discorsi tra amici, intorno al camino. Così erano gli editoriali di Giovanni Sartori sul Corriere della Sera . E così ce li aspettavamo noi in via Solferino, perché lui di imprevedibile poteva riservarci un ragionamento, non uno stile. Inconfondibile. Che si manifestava prima di tutto con il suo linguaggio. Chiaro e senza fronzoli, alla maniera di Montanelli. Con improvvise incursioni nell’ironia e nel sarcasmo. E cioè nell’intelligenza dello scettico, saldo nei suoi convincimenti e nei suoi consigli ai potenti di turno, eppure convinto che non sarebbero stati ascoltati.

La sua fiducia nella classe dirigente italiana era ai minimi termini. E alla fine dei suoi giorni sarebbe calata ancora. Dall’altro capo del telefono, Sartori non era diverso da quanto raccontava la sua immagine pubblica. Quando lo chiamavamo dal giornale per chiedergli un pezzo o, più spesso, per rispondere a una sua sollecitazione, sapevamo che sarebbe stato un colloquio impegnativo, ma che c’è di più dannoso della banalità che non mette in soggezione nessuno? Lui, Sartori, banale non era mai. Né quando parlava di politica, e cioè della scienza che lui aveva fondato in Italia, alla «Cesare Alfieri», nella fiorentinissima via Laura, né quando parlava dei guai del mondo.

Dell‘esplosione demografica, della penuria d’acqua, del flagello degli incendi. Oppure del terzomondismo che secondo lui aveva sostituito il marxismo-leninismo dopo la fine del comunismo. Ma la sua specialità era la legge elettorale. Se avesse messo il brevetto sulla definizione di tutte le regole di voto che l’Italia s’è data — o ha tentato di darsi — dopo la fine della Prima Repubblica, Sartori ora lascerebbe una fortuna: il Mattarellum, il Porcellum. Tutte invenzioni sue. Ma anche i derivati: l’Italicum, il Consultellum. Scippi d’autore, potremmo dire. Del primo si vendicò lanciandone una variante: il Bastardellum. Ha fatto scuola anche nei battesimi dei sistemi elettorali, insomma, anche se magari molti parlamentari continueranno a usare le sue definizioni ignorandone l’autore. Non chiedeva quasi mai del direttore. Lo immaginava immerso in mille grane e, possibilmente, gli evitava le aggiunte.

Quando non era d’accordo con commenti scritti da altri non lo nascondeva, sennò che Sartori sarebbe stato? Però condivideva con noi l’esigenza di non trasformare le pagine in una batti e ribatti tutto giocato in casa. Senza fare mancare la sua voce quando divampò lo scontro su «La rabbia e l’orgoglio» della Fallaci. Tiziano Terzani attaccò e lui rispose. Con la contraerea. Schierato senza dubbi dalla parte di Oriana. Un duello a più voci che segnò l’opinione pubblica. E anche la storia più recente del nostro Paese. Al Corriere aveva cominciato a collaborare quando a dirigerlo era Giovanni Spadolini, fiorentino come lui ma senza ombre e sospetti di gigli magici. Numeri uno. Infine c’era stata la lunga parentesi del Sartori americano. E poi il gran ritorno. Da assiduo frequentatore della prima pagina. Con Stille e Anselmi, Mieli, de Bortoli, Folli e ancora Mieli e de Bortoli. Tocca a Luciano Fontana dargli l’addio. Un addio pieno di nostalgia. Ci mancheranno i suoi aforismi. I suoi giudizi lapidari. Berlusconi? Ne dice tante; è per questo che qualche volta la dice giusta. Renzi? E svelto, furbo, abile; però imbroglia su tutto. Grillo? Con lui l’Italia diventerebbe il pagliaccio del mondo. Ci mancheranno i suoi articoli. Uno degli ultimi pubblicati dal Corriere era titolato così: «Notturno italiano». Una profezia. E ci mancherà la sua voce: «Caro Ermini, vi manderei…». Usava il condizionale. Solo i grandi lo fanno.

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