Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 04/04/2017, a pag. 15, con il titolo "Al Sisi alla Casa Bianca, alleanza anti-terrorismo", la cronaca di Francesco Semprini.
Francesco Semprini
Abdel Fattah Al Sisi con Donald Trump
Quando Donald Trump e Abdel-Fattah al-Sisi si sono incontrati la prima volta, lo scorso settembre al Plaza di New York, quello che sarebbe diventato il 45° presidente americano aveva speso parole lusinghiere per il suo interlocutore. Parlò di «ragazzo fantastico» con cui si era stabilita subito una «buona chimica», tanto che Al Sisi è stato il primo leader straniero a congratularsi con Trump dopo il successo elettorale. Una sintonia sublime confermata - spiegano fonti informate - nel bilaterale di ieri alla Casa Bianca con l’egiziano alla sua prima visita ufficiale a Washington da quando ha destituito nel 2013 il predecessore Mohammed Morsi. Trump intende infatti riavviare i rapporti che si erano incrinati con Barack Obama, il quale dopo aver avviato un dialogo con il Fratello musulmano Morsi, aveva congelato aiuti militari per il giro di vite di Al Sisi sui diritti umani contro gli oppositori.
La riapertura all’Egitto s’inquadra nel progetto trumpiano di smontare l’architettura del predecessore anche in politica estera, facendo leva su tre aspetti. La lotta al terrorismo in tutte le sue declinazioni che vede Sisi impegnato a contrastare la spina nel fianco jihadista nel Sinai; la soluzione al conflitto israelo-palestinese e, terzo, la gestione della crisi siriana con tutte le ricadute. In questo senso s’inserisce l’altra visita in agenda per questa settimana con un leader della regione, quella di Abdullah II re di Giordania con cui Trump aveva brevemente parlato di «zone cuscinetto» proprio in Siria durante un fugace incontro al National Prayer Breakfast nella capitale Usa. Proprio la Giordania ha ospitato l’ultimo vertice della Lega araba dove la questione israelo-palestinese è tornata ad essere in cima all’agenda. Visite queste che seguono quelle di altri leader come quello iracheno Al Abadi e l’israeliano Netanyahu, che vanno a sottolineare lo sforzo di Trump in politica estera di rimodellare tutta la strategia Usa nell’area Mena (Medio Oriente e Nord Africa). Come conferma l’intensificarsi dell’impegno in Yemen, l’invio di truppe in Siria e il rafforzamento dei bombardamenti in Iraq, sullo sfondo dell’Emergenza libica su cui Trump non si è ancora pronunciato a chiare lettere. Non è escluso che i due ne abbiano parlato specie dopo l’ennesimo rifiuto del generale Khalifa Haftar di dialogare con Fayez al Sarraj, il leader sostenuto da Usa e Onu proprio su invito di Sisi sponsor primario del generale. Dossier caldi ma che i due presidenti possono affrontare con una certa disinvoltura viste le affinità anche lessicali.
Entrambi parlano di «cattivi ragazzi» per definire terroristi e «invasori illegali», Trump dice di «Fare l’America grande di nuovo», mentre Sisi parla di Egitto come «Madre dell’umanità». Infine li accosta la scarsa cordialità con il potere giudiziario e una larga fetta dei media. Tanto che l’arrivo del leader egiziano a Washington è costato già a Trump critiche pesanti da parte di organi di informazione e del direttore Usa di Human Rights Watch, Sarah Margon, per le accuse di violazione di diritti umani da parte della leadership egiziana. Questione che, ha precisato la Casa Bianca, sarà trattata «in modo privato, più discreto e più efficace per far avanzare questi problemi verso un esito positivo». Forse anche per questo si è deciso di evitare, a incontro terminato, la consueta conferenza stampa congiunta.
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