sabato 19 aprile 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.04.2017 Il film israeliano sulle tre amiche arabe che rivendicano la modernità
Ma questo è possibile perchè il film è stato girato in Israele

Testata: Corriere della Sera
Data: 03 aprile 2017
Pagina: 39
Autore: Paolo Mereghetti
Titolo: «Tre amiche arabe con la voglia di ribellarsi a un destino segnato»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/04/2017, a pag. 39, con il titolo "Tre amiche arabe con la voglia di ribellarsi a un destino segnato", la recensione di Paolo Mereghetti.

In tutto il Medio oriente, l'unico Paese in cui è possibile produrre un film come "Libere, disobbedienti e innamorate" è Israele. Nello stato ebraico le minoranze, inclusa quella araba, godono di tutti i diritti di ogni cittadino. Il film sarà nelle sale italiane dal 6 aprile, avremo modo di vederlo e di parlarne ancora.

Ecco l'articolo:

Risultati immagini per Paolo Mereghetti
Paolo Mereghetti

Risultati immagini per Libere, disobbedienti e innamorate
La locandina

Qual è il destino riservato alla donna araba? La prima e l’ultima scena di Libere, disobbedienti, innamorate (uno di quei titoli stupidamente allusivi che tanto piacciono ai distributori italiani perché dovrebbero far capire a che film vanno incontro e che invece lo tradiscono. Ma ci torneremo su), l’incipit e la fine — dicevo — lo raccontano con bella sintesi. All’inizio, una vecchia che sembra saperla lunga regala a una futura sposa i consigli per un matrimonio ben riuscito: non alzare mai la voce, essere gentile, fare buoni manicaretti, essere profumata e avere un corpo liscio (il dialogo si svolge durante una seduta di ceretta depilatoria), a letto fare sempre quello che dice e soprattutto «non fargli capire che sai il fatto tuo». Vecchia furbizia femminile di chi s’inchina e asseconda per trarre il meglio da una condizione spesso imposta dalla famiglia. L’ultima scena, invece, riprende le tre amiche protagoniste — l’avvocatessa Leila (Mouna Hawa), la studentessa Nour (Shaden Kanboura) e la barista Dj Salma (Sana Jammalieh) — appoggiate al bordo di un balcone, ognuna con lo sguardo perso nel vuoto che bevono o fumano, tutte e tre perse nel ricordo/elaborazione dei fatti che le hanno portate fin lì e che il passaggio dal movimento alla foto fissa finale ghiaccia nella sua forza metaforica e apre verso l’interrogazione del pubblico: che risposta tirare da quello che abbiamo appena visto?

L’opera prima della 35enne Maysaloun Hamoud, nata a Budapest ma sempre vissuta in Israele, racconta come si è arrivati a quella immagine finale, che cosa hanno dovuto vivere sulla propria pelle le tre amiche per ritrovarsi a perdersi nel vuoto o meglio, come dice il titolo originale Bar Bahr , sospese «tra terra e mare», in una specie di limbo dei sentimenti e della vita dove sembra difficile ritrovare la libertà, l’indipendenza e l’amore cui rimanda il titolo italiano. Allo spettatore non israeliano dirà probabilmente poco o niente la puntualizzazione geografica e familiare che la regista attribuisce alle sue tre protagoniste. Ma non è un caso se Nour viene da Umm al-Fahn (la stessa dove è cresciuta la regista), cittadina del distretto di Haifa abitata per la maggior parte da musulmani molto radicalizzati, se Salma è invece originaria di Tarshiha, da una famiglia cristiana che ha conquistato rispetto e importanza in un contesto arabo e se Leila è invece uscita da una famiglia di Nazaret musulmana ma non praticante.

Sono tre possibili facce di chi è arabo in Israele, alla ricerca di una «integrazione» o una «separazione» che comunque rafforzi la propria identità comunitaria. Percorso che invece le tre amiche finiscono per abbandonare o tradire, spinte da una coscienza che è soprattutto rispetto del proprio corpo e dei propri desideri. E che porterà ognuna di loro a confrontarsi con l’intransigenza e l’intolleranza che la religione, la tradizione e la sudditanza dal giudizio pubblico finiscono per imporre agli uomini. Leila sembra voler annegare nel fumo, nell’alcol e a volte anche nella cocaina, una vita professionalmente intensa ma sentimentalmente arida. Fino a quando non incontra Zaid: per lui torna anche a preparare da mangiare. Ma chi vincerà alla fine nel cuore dell’uomo: l’amore o la vergogna per una donna troppo libera e indipendente, che non rispetta nessuna delle «buone maniere» che tradizione e famiglia vorrebbero veder onorate? Nour invece è la quintessenza dell’ortodossia musulmana, hijab incluso. Il suo possessivo fidanzato vorrebbe che lasciasse la convivenza con le due amiche, che anticipasse la data delle nozze per tenersela stretta in casa. E lei sembra disposta a cedere, almeno fino al giorno in cui l’uomo svelerà la sua vera natura. Selma, invece, che si mantiene lavorando nei bar e facendo la dj ai rave, deve nascondere la sua omosessualità ai propri genitori, che minacciano — dopo l’ennesimo tentativo fallito di trovarle un marito — di «chiuderla in manicomio per guarirla dalla sua malattia». Come continueranno queste vite? La foto fissa finale non dà risposte, ma lo spettatore che si è appassionato a queste tre amiche non potrà esimersi dal riflettere sul destino femminile. In Israele e altrove.

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, telefonare 02/62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT