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Anche all’Unesco piove sempre sul bagnato
Cari amici, certo vi ricordate la vergognosa risoluzione dell’Unesco su Gerusalemme, l’anno scorso. Sono passati solo sei mesi da quando l’organizzazione dell’Onu che dovrebbe tutelare la cultura, per condannare ancora una volta Israele, approvò una mozione che dichiarava solo musulmana l’eredità di Gerusalemme (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=64128 ) , ignorando il fatto storicamente indiscutibile che la città era stata la capitale di uno stato e provincia ebraica per più di mille anni, dai tempi di Davide alla distruzione del Tempio nel 70 e che era rimasta poi al centro dei sentimenti e della ritualità ebraica; e ignorando anche il fatto che fra i milioni di pellegrini ebrei che salivano al Tempio ogni anno per le “feste di pellegrinaggio” ce n’era stato uno, Gesù di Nazaret, che vi aveva concluso tragicamente la vita, con eventi che stanno al centro della religione nata dalle sue parole, il cristianesimo.
E dunque ci risiamo, la mozione su Gerusalemme sarà riproposta all’Unesco, prossimamente su questi schermi. Sarà interessante vedere come si comporterà l’Italia, dopo i solenni impegni di Renzi e Gentiloni a non ripetere l’errore di ottobre. Per ora si discetta sulle varianti. Perché alcuni ritengono che la nuova versione sarà più “light”, non menzionando più esplicitamente il Monte del Tempio e il Muro Occidentale (“del pianto”, secondo il nome usato dalla stampa europea): http://www.lphinfo.com/unesco-nouvelle-resolution-plus-light /. Chi sottolinea questa lettura mette in relazione la mossa araba con la scelta (o la quasi-scelta, non si è capito come andrà) di Trump di trasferire finalmente l’ambasciata americana a Gerusalemme (naturalmente a “Gerusalemme Ovest”). Ma la questione è più radicale, perché implica la rivendicazione da parte araba di un territorio, non si sa quanto esteso, che va ben al di là di quelle linee armistiziali (che sono usualmente ma erroneamente chiamate “confini del ‘67”), con una evidente accondiscendenza degli Stati, come l’Italia e gli Usa prima di Trump (forse), che non tengono le loro ambasciate in Israele a Gerusalemme né “Est” né “Ovest”; ma vi hanno istituito invece delle rappresentanze diplomatiche per lo più di rango consolare dedicate soprattutto ai contatti con l’Autorità Palestinese e certe volte le hanno realizzate a “Ovest”, cioè al di qua di quelle linee, in luoghi che appartengono all’Israele storico e che dovrebbero essere chiaramente riconosciuti come territorio israeliano. Ma non lo sono, o non completamente nell’ambiguità diplomatica, tant’è vero che i nostri concittadini che vivono a Gerusalemme (“Ovest”) hanno sul passaporto come indicazione della nazione in cui abitano una grottesca sigla “ZZZZ”. Dunque gli arabi hanno ragione a sottintendere che Gerusalemme è una, com’è una Roma o New York, nonostante il fatto che una sua parte sia stata occupata dalla Giordania per diciott’anni, dal 1949 al 1967. Ma la ragione per cui fanno questa constatazione di fatto è velenosa, significa proiettare una rivendicazione anche al di là dei “confini” cui dicono di aspirare. Quel che dicono con questa risoluzione è che TUTTA Gerusalemme è “occupata” cioè dovrebbe essere araba; e di qui a rivendicare uno stato arabo musulmano su tutto il territorio israeliano, come fanno Hamas e Fatah, non corre una gran differenza. Come si possano riaprire trattative di pace, secondo quel che molti vorrebbero, con queste premesse, è difficile dire. E anche le speranze che vi sia un cambiamento della posizione ufficiale dei paesi arabi rispetto a Israele, magari guidata dall’Egitto (http://www.jpost.com/Jerusalem-Report/Counting-on-Cairo-485436 ) appare piuttosto illusoria. Patti sottobanco sì, magari contro la minaccia iraniana, ma pace e riconoscimento no, anche perché non sarebbero accettati dalla “piazza araba” cioè da una popolazione fanatizzata da settant’anni almeno di predicazione di odio. E’ probabile che, nonostante l’opposizione sicura dell’amministrazione Trump e quello promesso dell’Italia, questa mozione passi. Anche perché l’Unesco, insieme con la commissione dei diritti umani dell’Onu (in cui siedono campioni dei diritti umani come Cuba, Cina, Arabia Saudita, Iraq) è il ferro di lancia della delegittimazione internazionale di Israele. Ed è destinata a continuare su questa strada, tant’è vero che fra i più accreditati i candidati alla direzione, ammessi nella short list di coloro che potranno succedere alla bulgara Irina Bokova vi sono l’egiziano Moushira Khattab, Hamad bin Abdulaziz al-Kawari del Qatar, Saleh al-Hasnawi dell’Iraq e Vera el-Khoury Lacoeuilhe del Libano (http://www.timesofisrael.com/un-shortlists-9-candidates-for-unesco-chief/ ): quattro arabi su nove, almeno uno dei quali, il qatarino Hamad bin Abdulaziz al-Kawari, è classificato dal Wiesenthal Center, l’organismo che si occupa della denuncia dei criminali nazisti, come un notorio antisemita (http://www.timesofisrael.com/wiesenthal-center-opposes-qatari-candidate-for-unesco-head /). Come dire che anche all’Unesco piove sempre sul bagnato.
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