Una nuova politica estera Americana in Medio Oriente?
Analisi di Zvi Mazel
(Traduzione di Angelo Pezzana)
http://www.jpost.com/Middle-East/Analysis-Rebooting-US-foreign-policy-in-the-Middle-East-485840
Il passato e il presente
Gli anni di Obama sono stati un insieme di isolazionismo e interventi limitati. I soldati americani non erano rientrati dall’Afghanistan e c’era ancora una guerra senza fine contro le organizzazioni terroriste in Medio Oriente a base di droni e bombardamenti. Forze militari speciali venivano inviate in Siria e Libia con l’unico incarico di operare nel settore di intelligence. Quel che mancava era una strategia globale che avrebbe potuto fermare il caos in cui era finito il Medio Oriente, dove il vuoto creatosi aveva dato libero sfogo ai tentativi dell’Iran di intervenire sia apertamente che in maniera clandestina. Lo stesso vale per la Russia, che ha riconquistato le posizioni dell’Unione Sovietica in Siria e Egitto, mentre rafforza la sua presa sulla Libia. La stessa mancanza di decisione dell’America, ha consentito alla Cina di agire con sempre maggiore aggressività nei mari del Sud e alla Russia di annettersi la Cimea in parte l’Ukraina. Il problema è se la nuova amministrazione vuole imbarcarsi in una politica attiva di interento, specialemente in Medio Oriente, per disinnescare le minacce e ritornare a una situazione di normalità. Potrebbe essere troppo tardi per allontanare gli intrusi ben nascosti e quali misure adottare. L’America ha una lunga storia che oscilla tra isolazionismo e aggressività in politica estera. I suoi interventi sono stati decisivi nell’assicurare la vittoria dei paesi democratici in due guerre mondiali, così come durante la lunga guerra fredda. Ma queste non erano le intenzioni di Obama, che ha sempre evitato ogni tipo di intervento concreto, anche al prezzo di far perdere all’America ogni potere decisionale. Eppure, durante la sua presidenza, il Medio Oriente ha attraversato uno dei periodi più violenti dalla prima guerra mondiale, dopo la nascita dei nuovi stati dopo gli Accordi Sykes Picot. La rinascita dell’islam sunnita estremista entrava in competizione con gli sforzi dell’Iran di esportare la propria rivoluzione sciita alla guida di una graduale destabilizzazione. Un processo intensificatosi durantela cosiddetta Primavera Araba del 2011. Ciò che ra iniziato come una spontanea richiesta di più libertà e democrazia finì con il rafforzamento dell’estremismo islamico e l’arrivo della morte degli stati arabi che formavano la spina dorsale della regione. Siria,Iraq,Yemen,Libia, Somalia e, in misura minore, il Libano, sono in preda al caos. L’America è stata di fatto estranea mentre i suoi alleati nella regione erano sottoposti a un brutale processo di dissoluzione. Che l’ ha portata a perdere a livello mondiale il potere che deteneva, rendendo possibile il rischio reale che gli stati canaglia della regione venissero in possesso di armi di istruzione di massa, come abbiamo visto in Siria con le armi chimiche. Obama rifiutò ogni aiuto al movimento di opposizione verde che protestò nelle strade dell’Iran nel 2009 contro gli imbrogli elettorali nelle elezioni presidenziali. Non mosse un dito quando il regime, con incredibile brutalità, stroncò la rivolta popolare, stringendo la morsa sulla popolazione decretando la fine di ogni speranza di cambiamento. Sebbene l’Iran promuovesse la propria rivoluzione sciita minacciando la stabilità dei paesi sunniti mentre incitava alla distruzione di Israele, Obama firmava un Accordo nucleare con Teheran, limitato nel tempo, che non impediva la costruzione della bomba entro pochi anni, non impedendo lo sviluppo delle testate nucleari in dotazione sui missili. In Egitto Obama abbandonava Mubarak, l’alleato di sempre, obbligandolo a dimettersi, schierandosi a sostegno dei Fratelli Musulmani pur sapendo- o avendo dovuto sapere- che avrebbero costruito una dittatura islamica, un obiettivo raggiunto con risultati disastrosi, che il nuovo regime fa fatica a rimediare. Incoraggiò l’Europa a cacciare Gheddafi, promettendo aiuti, rifornimento di armi e munizioni per i raid aerei, in realtà abbandonandola nel caos: guerra civile in Libia e fiumane di rifugiati clandestini dall’Africa in arrivo sulle spiagge europee, come la penetrazione russa che potrà minacciare il sud Europa. Negò il suo sostegno alla rivolta siriana del 2011, anche se armare i ribelli moderati sunniti prima dell’arrivo dei gruppi jihadisti che avrebbero poi destabilizzato Assad e impedito l’alleanza tra l ‘Iran e i suoi alleati Hezbollah in Libano. Di fatto, ha permesso a Assad di succedere a se stesso, con la storia delle ‘linee rosse’, incluso l’uso delle armi chimiche. Il ritiro prematuro dei soldati americani dall’Iraq ha permesso allo Stato islamico di rafforzarsi mentre l’esercito iracheno si sgretolava. Creare poi una coalizione tra paesi arabi e stati occidentali per combattere le organizzazioni terroriste con l’invio di bombardieri escludeva l’uso di forze di terra molto più produttivo. Tutto questo quando era ovvio fin dall’inizio che bisognava distruggere lo Stato Islamico quando era ancora debole. La guerra oggi a Mosul e Raqqa colpendo la popolazione civile svela il prezzo che si paga per non avere agito quando si doveva. Questo non significa che l’ex presidente Americano sia responsabile del caos nel quale si trova oggi il Medio Oriente. Da secoli gli arabi si combattono tra loro su basi etniche, tribali e religiose. L’America,però, era una presenza stabilizzante nella regione sin dagli anni ’40, indispensabile nell’appianare le tensioni. L’effetto dell’uscita dal Medio Oriente è stato un vuoto che Obama ha creato. Senza dubbio causato da spiegazioni ideologiche e dal credere in una diplomazia pacifista e non invasiva, che però ha lasciato i nemici dell’America perseguire i loro interessi sicuri che non sarebbero stati perseguiti. La nuova amministrazione sta ancora cercando di definire I propri obiettivi. Da un lato, non rimane indifferente di fronte a una situazione che minaccia la pace mondiale. Dall’altro,potrebbe scegliere di affrontare i problemi interni più urgenti. Durante la campagna elettorale, Trump ha promesso di sconfiggere lo Stato Islamico, di affrontare l’Iran, e arrivare a un accordo con la Russia sulla sua presenza in Medio Oriente. Non sarà facile, dato che Mosca si è ormai ben ramificata nella regione. Un accordo sul dare e avere dovrà affrontare le sanzioni e un compromesso sull’Ukraina. Ma trattative serie non saranno possibili fin tanto che l’FBI continuerà a investigare sui presunti legami tra i consiglieri di Trump e Putin. Quel che il presidente dovrebbe fare mentre lavora per ricostruire la fiducia con i suoi passati alleati è convincerli che l’America è determinata nel promuovere i propri interessi, ma anche i loro. Deve resuscitare la vecchia alleanza con i paesi sunniti pragmatici – Egitto, Arabia Saudita, Emirati- contro ml’Iran. E poi, davvero, deve fare qualcosa contro l’Iran. Che lo voglia o no, è ciò che tutti oggi si augurano. Ha fatto dei passi positivi in merito al conflitto israelo-arabo, un cambiamento decisamente apprezzato.
Zvi Mazel è stato ambasciatore in Svezia dal 2002 al 2004. Dal 1989 al 1992 è stato ambasciatore d’Israele in Romania e dal 1996 al 2001 in Egitto. È stato anche al Ministero degli Esteri israeliano vice Direttore Generale per gli Affari Africani e Direttore della Divisione Est Europea e Capo del Dipartimento Nord Africano e Egiziano. Collabora a Informazione Corretta.