Riprendiamo da SHALOM di marzo 2017, a pag.13, con il titolo " Raccontare Israele fuori dai soliti schemi", il commento di Angelo Pezzana.
Spesso mi chiedo quali sono i criteri seguiti dai giornalisti che scrivono su Israele, corrispondenti o inviati, come scelgono le notizie che poi saranno oggetto dei loro articoli. La preferenza va senza ombra di dubbio al conflitto con i palestinesi, l’argomento è un evergreen buono per tutti gli usi, sia per chi ne racconta correttamente le vicende (pochi), sia per chi tiene puntato il dito accusatore contro lo Stato ebraico (molti). Dato che i quotidiani israeliani sono a maggioranza critici nei confronti della coalizione di governo, sono spesso la fonte più consultata dei giornalisti stranieri, non c’è da stupirsi se è l’attenzione alla politica interna a essere in cima ai loro interessi. È da almeno un paio d’anni che lo stesso premier Netanyahu riceve l’onore poco gradito di essere protagonista sulle prime pagine per via di accuse di corruzione, tuttora non oggetto di sentenza. Non c’è solo la corruzione, un’altra accusa è l’aver accentrato nelle sue mani troppi poteri oltre a quello di capo del governo, primo fra tutti quello di ministro degli esteri. Che poi li svolga bene o male passa in secondo piano, per fortuna saranno le elezioni a decidere se gli israeliani condividono o no la sua gestione politica. A seconda dell’orientamento politico, i media plaudono (pochi) o criticano (molti). Altro argomento che viene trattato con decisa cautela è legato agli arabi israeliani, nel timore di non essere sufficientemente politicamente corretti, giornali e TV italiani preferiscono evitare del tutto di seguirne le storie, meglio non rischiare, nemmeno quando potrebbero citare Haaretz quale fonte d’informazione, il che li renderebbe immuni da qualsiasi critica, se la notizia è uscita sul quotidiano che molti definiscono ‘giornale palestinese scritto in ebraico’ potrebbero persino trovare ispirazione per una cronaca meno conformista. Per esempio quella riportata da Haaretz di un sondaggio annualmente pubblicato dall’Israel Democracy Index, dal quale risulta che il 52.5% degli israeliani sono dell’opinione che dovrebbero essere negati i diritti civili fondamentali a chi non riconosce Israele quale Stato del popolo ebraico. Lo stesso Democracy Institute aveva rilevato in un sondaggio precedente che il 77% dei cittadini arabi israeliani respingevano la definizione di Israele quale Stato degli ebrei. Il sondaggio approfondisce molti aspetti nei rapporti tra ebrei e arabi israeliani, troppo diffusi da essere riportati in questa pagina, ma di sicuro interesse in una inchiesta che volesse affrontare la società israeliana da un punto di vista diverso dal conflitto. Una ricerca indipendente come quella del Democracy Istitute, ripresa dai nostri media, avrebbe potuto aggiungere informazioni interessanti per una conoscenza meno superficiale della realtà israeliana. Invece no, meglio seguire le solite litanie che impongono parole e temi chiave per dare un’immagine distorta di Israele. Un giornalismo che non si pone domande, che accetta di allinearsi alla corrente che vede nella critica a Israele l’unico modo per raccontarlo.
Angelo Pezzana
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