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Shalom Rassegna Stampa
31.03.2017 USA e Israele: amici più di prima
Analisi di Fiamma Nirenstein

Testata: Shalom
Data: 31 marzo 2017
Pagina: 16
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «USA e Israele: amici più di prima»

Riprendiamo da SHALOM di marzo 2017, a pag. 16, con il titolo "USA e Israele: amici più di prima", l'analisi di Fiamma Nirenstein.

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Fiamma Nirenstein

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Donald Trump con Benjamin Netanyahu

Nikky Haley: il suo volto è un segno di speranza, è una bella donna di origine indiana, oggi ambasciatore americano all’ONU, e che il Cielo la benedica, ha porto a quella organizzazione al mondo il primo grande segno concreto di cambiamento della politica americana verso Israele. Niente, da quando Trump è stato eletto, era stato per ora così tangibile, come ciò che la signora ha fatto nelle sue primissime apparizioni all’ONU, compreso il debutto al Consiglio di Sicurezza mensile dedicato al Medio Oriente il 16 febbraio. I segnali che l’amministrazione Trump ha mandato sono stati certamente positivi a partire dall’allestimento della visita di Benjamin Netanyahu, la guardia d’onore alle due coppie presidenziali sulla porta della Casa Bianca che mai era stata usata per i colloqui con il presidente precedente, Barak Obama; la Sala Orientale che è quella di gala per i leader importanti, anch’essa per otto anni off limits per le apparizioni pubbliche del premier americano insieme a quello israeliano.

La scenografia parla adesso di rispetto e finalmente suggerisce un’idea di normalità nel rapporto fra due stati che sono naturalmente, storicamente da sempre alleati perché la più grande democrazia del mondo, la più attaccata dal terrorismo, la maggiore promotrice delle libertà civili e dei diritti umani nel mondo come avrebbe potuto avere un atteggiamento diverso, sia pure con qualche momento di difficoltà, nei confronti dell’unica piccola e resistente appassionata democrazia del Medio Oriente, sempre sottoposta ad attacchi sia terroristici che bellici da parte di paesi e ideologie totalitari, sessiti, schiavisti, poligamici, antisemiti? Invece è successo e ancora oggi questo suscita incredulità: negli otto anni di Obama verso Israele si è sviluppata da parte dell’Amministrazione un senso di ripudio, di fastidio, di insofferenza che i giornali di tutto il mondo hanno gioiosamente ritratto sulle loro prime pagine alimentando i sentimenti anti-israeliani, festeggiando non solo la palestinizzazione degli Stati Uniti, ma anche quella di qualsiasi istanza in cui Obama avesse peso e rispetto, prima di tutto dunque alle Nazioni Unite. Là infatti, quando ormai ogni azione di Obama aveva un carattere post mandato presidenziale, pure il presidente uscente ha inaugurato con l’astensione della sua compiacente ambasciatrice Samantha Rice un atteggiamento di disgusto e di rifiuto verso Israele nell’ambito anche del Consiglio di Sicurezza, dove gli USA avevano sempre contrapposto il veto alle condanne automatiche e ripetitive che per altro erano solo l’eco di quelle in Assemblea, del Consiglio per i Diritti Umani, dell’UNESCO, etc etc ovvero di tutte le strutture onusiane.

ONU e persecuzione d’Israele sono andate insieme a una politica in cui la maggioranza islamica e terzomondista ha sempre fatto di Israele la vittima designata relegando il tema delle guerre, delle stragi, dei diritti umani in cantina, e anzi cercando di accusare Israele di discriminazioni di cui erano piuttosto campioni gli stati alla testa delle organizzazioni che emettevano le loro condanne. Bene: Nikki appena messo piede all’ONU ha sentito di dire la verità davanti a tutti. L’ex governatore del Sud Carolina si è alzata, ha ringraziato del grande onore e poi ha specificato che era stupefatta di quello che aveva trovato nei “record” della grande organizzazione di cui veniva a far parte e ha spiegato il suo punto: io credevo, ha detto in sostanza, che la missione del Consiglio di Sicurezza fosse quello di mantenere la pace e la sicurezza nel mondo, ma nelle discussioni sul Medio Oriente non mi risulta che si sia parlato dell’enorme accumulo di missili da parte degli Hezbollah, del ruolo iraniano nell’armarli e nel mantenere entità terroriste in tutto il mondo fino all’America Latina, di come si sia lontani dallo sconfiggere lo Stato Islamico e dal far pagare a Bashar Assad il conto per lo sterminio cui ha sottoposto i suoi compatrioti siriani. Invece, Haley ha proseguito nel generale stupore, il nostro incontro, come tanti altri, mette al centro la critica contro l’unica democrazia del Medio Oriente, Israele.

Sì, Haley ha ammesso, io qui sono nuova, ma ormai da tanto tempo osservo questo atteggiamento di criminalizzazione di Israele, e “sono qui per garantire che gli Stati Uniti non faranno mai più finta di non vedere” e che “Israele potrà contare sul nostro più determinato sostegno”. Haley si è dichiarata fedele all’idea di “due stati per due popoli” ma non ha messo condizioni come l’amministrazione precedente, ovvero non ha disegnato i confini, cosiddetti perché non ci sono mai stati, del ‘67 come precondizione. Ha invece detto un’ovvietà indispensabile al processo di pace che era andata perduta: le due parti dovranno negoziare fra di loro. Normale? No, la cosa era completamente caduta in disparte durante l’amministrazione Obama, che aveva stabilito confini e precondizioni, fra cui il blocco delle costruzioni che Netanyahu aveva già messo in atto aspettando invano che Abu Mazen tornasse a negoziare. E’ quindi il caso qui di ricordare che certamente le costruzioni possono esser di ostacolo, ma che ancora di più lo è il fatto che i palestinesi non riconoscano l’interlocutore, ovvero lo Stato Ebraico, e che pretendano di non negoziare avendo già i confini disegnati in precedenza, vuoi dagli americani, vuoi dall’Unione Europea o dalle conferenze internazionali come quella di Parigi di qualche settimana fa.

Haley ha anche registrato un dato molto semplice, che però agli onusauri e anche agli eurosauri deve suonare come una lama su una superficie di metallo: “Il posto di Israele nel mondo sta cambiando” ha detto “Israele sta costruendo nuovi rapporti diplomatici, un numero di Paesi sempre maggiore ne riconosce il contributo al mondo”. E, non è evidente? “Israele è un faro di stabilità in una regione sofferente” ha detto con il buon senso che chiunque può usare guardando cosa succede tutt’intorno… insomma “è il pregiudizio anti-israeliano dell’ONU che da tempo aspetta un cambiamento”.

Questo è il tipo di intervento politico davvero utile alla pace, se davvero i palestinesi potranno un giorno decidere che sia questo il fine cui guardano. Chi scrive ha spesso espresso consistenti dubbi che chiunque può nutrire avendo osservato il rifiuto ripetuto, ossessivo, ideologico e anche religioso che i palestinesi hanno opposto allo Stato ebraico anche di fronte alle migliori offerte territoriali. Eppure ammettiamo per un attimo che questa possibilità ci sia: una necessità politica di sedersi a trattare con un interlocutore riconosciuto come tale, perseguitato dal terrorismo e dal rifiuto, e non trattato come un criminale internazionale, sapendo che i confini e le condizioni della reciproca sicurezza sono affidati alla trattativa e non alla fantasia di un Obama o di un Hollande, possono aiutare a uscire dal pessimo cappio mentale che induce alla denigrazione razzista del nemico e ne blocca l’iniziativa. Israele è vista dai palestinesi, cui nessuno (fuorché Trump nella sua conferenza stampa con Netanyahu) ha mai rimproverato questo atteggiamento così evidente, come un criminale, un sanguinoso persecutore, un occupante colonialista, e quindi come la vittima designata di un terrorismo considerato una legittima arma, perfino retribuita dal governo dei Palestinesi, da usare contro civili, donne, bambini.

La pace non si fa così. Haley sembra essersi resa conto che si fa col rispetto. La nuova ambasciatrice ha anche rimesso a posto le cose sull’Iran chiamandolo “uno stato sponsor del terrorismo” da affrontare con realismo, e senza inutili illusioni ireniche, nell’ambito della grande guerra che tutto il mondo deve affrontare contro il suo nemico principale, appunto il terrore. Questa scelta, insieme a quella di denunciare “il soffocante doppio standard” con cui si giudica Israele, il fatto che “c’è un’intera divisione dedicata agli affari palestinesi mentre non ce n’è nessuna dedicata al lancio dei missili illegali dal Nord Corea, o all’Iran, numero uno degli Stati sponsor del terrorismo” porterà adesso Haley ad affrontare tutta la montagna della costruzione onusiana, e non sarà facile: è la stessa che mette a capo delle commissioni per la parità dei sessi o a quella per i diritti umani Paesi che non ne hanno la più pallida idea. L’ufficio per la lotta al terrorismo annunciato dal nuovo Segretario dell’ONU Guterres sarà uno scivoloso test di prova, proprio come lo è stato il Consiglio per i Diritti Umani: quando nell’ambito di questi organismi si permette la partecipazione e il voto a stati violatori seriali di diritti umani, persecutori di omosessuali o di chi abbia opinioni diverse da quelle governative, o si lasciano guidare la lotta al terrorismo stati che sponsorizzano il terrore, tutto si risolve in un disastro per il futuro del mondo. Qui è la sfida: l’ONU se non la riformi alle fondamenta ti schiaccia, ti avvolge nelle sue spire, ti neutralizza. Vedremo nel futuro se la magnifica performance di Haley era una cometa, o una stella fissa.

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