IC7 - Il commento di Daniele Scalise
Dal 19 al 25 marzo 2017
Qualcosa è cambiato
Il Weizmann Institute of Science
C’è un elemento che nemmeno i professionisti dell’odio antisemita-antisionista possono mettere in discussione: la sbalorditiva e permanente capacità di Israele nell’essere all’avanguardia della ricerca scientifica. Tanto per fare un esempio e non di secondaria importanza, la nuova cura contro il cancro della prostata. Da un paio d’anni infatti, l’Istituto Weizmann di Tel Aviv in collaborazione con la Steba Biotech del Lussemburgo ha messo a punto una terapia che affronta in modo rivoluzionario come contrastare questa diffusa patologia grazie a una nuova medicina – il Tookad – che viene iniettata in un malato che si trovi alle fasi iniziali. Sotto sedazione totale, poi, e grazie all’effetto luminescente del Tookad, un laser è chiamato a distruggere una per una le cellule malate mentre l’organo rimane intatto senza che perda alcuna delle sue funzioni. Pur con una casistica limitata, finora è stato accertato l’80% di successo.
Perché tratto un argomento del genere all’interno di uno spazio di commenti di solito legati a questioni politiche e al dibattito delle idee? La prima ragione è che Israele è un paese di cui molti parlano, molti pensano di saperne ma che pochi conoscono davvero. Il pregiudizio e la malafede non sono solo patrimonio delle élite culturali e politiche ma hanno intriso le coscienze (o le incoscienze, mettetela come credete) di molti che magari vivono in universi lontani, con mestieri meno prestigiosi di quello del deputato o dell’editorialista ma che costituiscono la cosiddetta ‘opinione pubblica’, il sentire comune e anche l’elettorato. Immagino che sia esperienza comune esserci scontrati con la cosiddetta ‘gente normale’ che non fa che ripetere l’antica vulgata antisemita magari aggiornata in versione antisionista. ‘Gente normale’ di destra, di sinistra, di centro. Atei, credenti, agnostici, uomini e donne, etero e gay, nordici e meridionali, ricchi, modesti e miserabili.
Vengono a galla banalità trucide: gli israeliani raffigurati come un popolo aggressivo e razzista, gli insediamenti origine di ogni male, i poveri arabi compatiti etc. etc. Tutti siamo consapevoli di essere circondati da una melma maleodorante e ho molto apprezzato la visione schiarente che Mordechai Kedar ha di recente ha espresso proprio su questo sito cogliendo segnali di mutazione nel mondo occidentale sgomento.
Sconfiggere il pregiudizio antisemita-antisionista fa pensare alla mitica fatica di Sisifo. E’ impresa che genera frustrazione, crea uno stato di nervosismo permanente, distrugge amicizie e relazioni che si credevano eterne. Sono fortemente persuaso che si debba tenere sotto controllo, rintuzzare di continuo e non dar pace agli antisemiti-antisionisti pur se non riesco a immaginare una loro neutralizzazione definitiva. Ma questo poco importa: il nostro dovere è quello di dare voce a ciò che riteniamo moralmente e idealmente sacrosanto, senza girare lo sguardo dall’altra parte, senza annuire imbarazzati davanti agli spropositi, alle menzogne e alle ingiurie. E nello stesso tempo, oltre a una battaglia difensiva, credo che sia doveroso, almeno da parte di chi si confronta con l’opinione pubblica per mestiere, raccontare di quale materia sia composta e di cosa sia capace una democrazia così diffamata.
Credo che negli ultimi anni il modello di comunicazione di Israele sia passato da ‘pressoché inesistente’ a ‘interessante’ e addirittura a ‘molto interessante’. Oltre a riaffermare la propria determinazione politica, lo Stato di Israele – complici anche i social networks e più in generale la Rete – mostra di avere voglia di far conoscere le risorse umane e naturali del paese in modo accurato e sofisticato. Questa nuova strategia di comunicazione comincia a produrre effetti benefici. Uscire dalla difensiva e partire all’attacco mi pare una mossa di buon senso, eccellente tanto nel merito quanto nella sostanza. Per anni abbiamo dovuto ammettere mestamente che, nonostante partissero avvantaggiati perché i loro stakeholders sono in maggioranza antisemiti, i palestinesi avevano un ufficio stampa formidabile. Bene, credo che questa tragica verità sia arrivata a un punto finale. La seconda ragione è del tutto personale: io stesso, l’estate scorsa, sono stato curato a Tel Aviv presso il Ramat Gan Medical Center secondo questo protocollo e sento un autentico debito di gratitudine verso questo Paese che mi ha accolto, curato e guarito.
Daniele Scalise, giornalista e scrittore. Scrive su 'Prima Comunicazione'.
E' autore di
Cose dell’altro mondo. Viaggio nell’Italia gay-Zelig
Il caso Mortara-Mondadori
I soliti ebrei-Mondadori
Lettera di un padre omosessuale alla figlia-Rizzoli