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Corriere della Sera - La Stampa Rassegna Stampa
24.03.2017 Europa e terrorismo: che cosa succede in Francia, l'incompetenza di Mogherini
Stefano Montefiori intervista Michel Houellebecq, Marco Zatterin intervista Federica Mogherini

Testata:Corriere della Sera - La Stampa
Autore: Stefano Montefiori - Marco Zatterin
Titolo: «Sono populista, non voglio rappresentanti - 'Vinceremo la battaglia solo se coordiniamo le singole Intelligence'»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 24/03/2017, a pag. 11, con il titolo "Sono populista, non voglio rappresentanti", l'intervista di Stefano Montefiori a Michel Houellebecq; dalla STAMPA, a pag. 5, con il titolo "Vinceremo la battaglia solo se coordiniamo le singole Intelligence", l'intervista di Marco Zatterin a Federica Mogherini.

Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Stefano Montefiori: "Sono populista, non voglio rappresentanti"

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Stefano Montefiori

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Michel Houellebecq

Seduto sul divano del suo appartamento, nel quartiere cinese di Place d’Italie, Michel Houellebecq riflette su un momento cruciale nella storia d’Europa. A Roma nel fine settimana si celebrano i 60 anni dei Trattati europei, occasione di rilancio o possibile epitaffio di una Unione che non è decollata. Tra un mese si tengono in Francia le elezioni presidenziali più importanti degli ultimi anni, perché il destino del continente cambierà radicalmente a seconda che il vincitore sia l’europeista Emmanuel Macron o la nazionalista anti Ue Marine Le Pen. Lo scrittore francese vivente più celebre nel mondo, una sigaretta dopo l’altra, affida al Corriere il suo sguardo, come sempre duplice: immerso nella realtà e pronto a superarla. Nei suoi romanzi ha descritto o anticipato alcuni tra i grandi temi del nostro tempo: l’estensione della logica capitalistica ai rapporti sentimentali, il terrorismo, le biotecnologie, la stanchezza dell’Europa tentata dalla sottomissione all’Islam. Oggi Houellebecq intravede la fine della democrazia per come l’abbiamo conosciuta finora: «Il sistema politico non funziona più, Macron sarà il presidente centrista di un Paese mai così a destra. Io non voglio essere rappresentato. Voglio essere consultato, di continuo, su ogni argomento. Auspico la democrazia diretta».

Pensa che i giochi per l’Eliseo siano fatti? «Sì, credo. In testa al primo turno arriveranno Emmanuel Macron e Marine Le Pen, e al ballottaggio vincerà Macron».

Il candidato della destra François Fillon non ha più chance? «Era il favorito ma ormai è stato travolto dallo scandalo. La storia lo giudicherà severamente, ha deluso in modo grave sul piano personale».

Alle passate elezioni lei non è andato a votare, giusto? «No infatti».

E stavolta che farà? «Mi asterrò con particolare entusiasmo».

Non vuole essere un’imbeccata, ma Marine Le Pen propone cose non lontane dalle sue idee: l’uscita della Francia dalla Nato e dalla Ue, e anche più referendum. Che cosa la trattiene dal votarla? «Ma Marine Le Pen parla del referendum per uscire dall’Unione Europea, cioè un tema che è lei a sottoporre ai cittadini. La democrazia diretta significa un’altra cosa: sono i cittadini a proporre dei progetti di legge da approvare tramite referendum. Quanto all’Europa, non penso che i francesi siano pronti a uscirne».

Perché? «La Brexit è riuscita perché gli inglesi si sentono superiori, diciamo la verità. Sono convinti che la City non abbia paragoni, che la sterlina reggerà sempre, in fondo sono convinti che riusciranno meglio da soli. Mentre i francesi hanno un vero complesso di inferiorità rispetto alla Germania.Temono di non potercela fare senza l’Europa. Se venisse indetto un referendum sulla Frexit io credo che la risposta sarebbe no. Anche se difendo un’idea diversa».

Quale? «Nella Carta e il Territorio dico che la Francia farebbe meglio a rassegnarsi alla nuova realtà economica, rinunciare all’industria e dedicarsi al turismo, alla gastronomia, al lusso. L’Italia mi sembra il solo Paese europeo che abbia gli stessi interessi, forse un’unione Italia-Francia potrebbe funzionare. Gli altri Paesi hanno vocazioni diverse. Non credo all’Unione Europea».

Ma gli europei non sono uniti dalla cultura, da secoli? «Oggi c’è molta meno cultura europea di quanta ce ne fosse un tempo. Prendiamo la letteratura, per esempio. In Francia traduciamo soprattutto opere anglosassoni, e questo vale anche per il cinema e la tv, mentre a fine Settecento I dolori del giovane Werther elettrizzavano l’Europa intera. Nella maggior parte dei Paesi europei la gente compra libri locali e poi anglosassoni. Esiste una cultura locale legata al singolo Paese e una cultura globale anglosassone. Di cultura europea ne vedo poca».

Dopo la Brexit e Trump alla Casa Bianca, eventi segnati dall’appello ai cittadini scavalcando i possibili intermediari, il clima è più favorevole alla democrazia diretta? «Non in Francia, dove restiamo fermi allo stesso schema: “Il popolo non è una cosa seria”. Eppure il solo Paese che pratica la democrazia diretta, la Svizzera, non mi sembra poco serio. Non credo affatto a questi argomenti».

Neanche alla necessità di una competenza, che i cittadini per forza non possono avere su tutte le questioni? «La tesi di una presunta incompetenza dei cittadini è molto antidemocratica. Il voto del più ignorante vale quanto quello del più istruito. O siamo d’accordo su questo oppure affidiamo le decisioni agli esperti. Io preferisco la prima soluzione. Non so se dà migliori risultati, ma a quelli mi sento obbligato di aderire. Non è tanto una questione di efficacia quanto di giustizia».

In Italia il Movimento Cinque Stelle, primo partito secondo gli ultimi sondaggi, punta molto sulla democrazia diretta e sulla sua piattaforma digitale Rousseau. «Non sapevo che in Italia il tema fosse centrale. Credo che sulla questione di fondo Beppe Grillo abbia ragione. La fattibilità tecnica è decisiva, adesso la tecnologia rende possibile consultare le persone in modo puntuale e l’alibi classico contro la democrazia diretta tende a cadere».

La sua scelta di astenersi alle elezioni è una forma di rifiuto della democrazia rappresentativa? «Voto solo alle elezioni municipali. Altrimenti mi si chiede sempre un’adesione globale mentre io vorrei essere interrogato su temi specifici».

Qual è quindi la sua idea di democrazia diretta? «Non ci sarebbe più un Parlamento. Montesquieu diceva che non si possono toccare le leggi senza tremare: le modifiche legislative sarebbero decise solo da referendum di iniziativa popolare. Anche la spesa pubblica sarebbe stabilita dall’insieme della popolazione. Ogni cittadino sa quanto vuole destinare più o meno all’educazione, alla sanità, ai trasporti. In terzo luogo i giudici sarebbero eletti. I cittadini sarebbero consultati sempre, dal numero dei professori nella scuola pubblica alla costruzione di un nuovo aeroporto, come in Francia per Notre-Dame-des-Landes. Io ho sempre votato ai referendum».

Anche a quello del 2005 sulla Costituzione europea. Votò no, vero? «Già, e poi la scelta mia e della maggioranza dei francesi venne ignorata da Sarkozy per firmare il Trattato di Lisbona. Sono in molti a non averglielo mai perdonato, io di sicuro. La prima grande frattura mai rimarginata. Tornato in Francia dall’Irlanda dopo il 2012, mi sono accorto che il Paese era più a destra del 2007, ma aveva un presidente di sinistra, Hollande. Se anche fosse stato eccellente, quel presidente non rispecchiava la società».

Pensa lo stesso della fase che si prospetta con Macron? «Sarà anche peggio, perché i francesi sono ancora più a destra rispetto al 2012. È una situazione spaventosa. Macron non ha colpe, presenta legittimamente un programma, ma la democrazia rappresentativa non funziona».

La democrazia diretta è populista? «Quando sento qualcuno evocare il populismo so che in fondo quella persona è contraria alla democrazia. La parola populismo è stata inventata, o meglio recuperata, perché non era più possibile accusare di fascismo certi partiti, sarebbe stato troppo falso. Allora è stato trovato un nuovo insulto, populista. Sì, penso di essere populista. Voglio che il popolo decida su tutti gli argomenti».

LA STAMPA - Marco Zatterin: 'Vinceremo la battaglia solo se coordiniamo le singole Intelligence'

Le parole di Federica Mogherini non contengono nulla di nuovo: il solito riassuntino della rassegna stampa del giorno prima, parole vuote che segnalano l'incompetenza della rappresentante della politica estera dell'Unione europea.
Neanche una domanda da parte di Zatterin sul ruolo dell'Iran, il vero centro della diffusione del terrorismo, un paese di cui Mogherini ha contribuito a ripulire l'immagine insieme a Obama.

Ecco l'intervista:

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Marco Zatterin

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Federica Mogherini

«Siamo in una fase nuova», assicura Federica Mogherini. I microgesti dei lupi solitari visti a Londra e Orly «arrivano in un momento di indebolimento dell’Isis» che, certo, «sta subendo perdite pesanti sul terreno». È un segno positivo, concede l’alto rappresentante Ue per la politica estera, sennonché «credo sia saggio mantenere molto alta la guardia». L’avviso è che «la battaglia contro il Califfato e il terrorismo va combattuta su diversi piani», con l’azione militare in Siria e Iraq, frenando il proselitismo del Califfo nei Paesi più sensibili e spingendo «sul pieno coordinamento dell’intelligence per prevenire gli attacchi». Il lavoro è ancora lungo: «Possiamo sconfiggerli militarmente, anche in tempi ragionevoli, però si impongono risposte più di lungo periodo per battere la tendenza a una radicalizzazione più strutturale».

La signora Mogherini è appena arrivata da Washington, dov’era per una serie di colloqui con la Casa Bianca. Da ieri sera è a Roma, dove domani si firma la dichiarazione solenne per i 60 anni dell’Unione. Mentre rientrava c’è stato l’attacco al Big Ben, nuova ragione di riflessione su come difendere i cittadini europei dalla furia dell’Isis. Dopo Charlie Hebdo lei aveva denunciato la gelosia fra i servizi segreti nazionali. «La situazione sta migliorando - argomenta -. Da Parigi in poi, il coordinamento tra polizie e inquirenti è cresciuto. Gli Stati europei riconoscono che è indispensabile condividere le informazioni, naturalmente con totale garanzia per i cittadini. Funziona di più. E posso assicurare che anche gli americani sono molto interessati a lavorare assieme a noi con Europol».

Battere la radicalizzazione richiede investimenti e cooperazione.
«Il fondamentalismo conquista i giovani senza presente e futuro, dobbiamo investire per dare loro spazio e speranza. Questo ha un costo».

Come la mettiamo con Trump che taglia i fondi umanitari?
«Ne ho parlato con l’amministrazione questa settimana. Il mio punto è che gli aiuti umanitari non sono carità, bensì parte integrante della nostra sicurezza. Servono a mandare a scuola i bimbi nel Corno d’Africa, in Mali, in Siria, a costruire il loro avvenire».

L’hanno rassicurata, a Washington?
«Abbastanza. La proposta della Casa Bianca deve passare attraverso il Congresso. Nessun bilancio è mai uscito come lo ha presentato il Presidente. Mi aspetto dunque che vi siano delle modifiche».

Proprio Sicurezza e Difesa sono ragioni per cui molti invocano l’Ue a più velocità.
«Una dimensione europea di Difesa già esiste, basti pensare alle sedici missioni in corso, come Sophia nel Mediterraneo. Due settimane fa abbiamo lanciato il comando unificato delle missioni militari Ue, dopo decenni di stallo. C’è un nuovo livello di ambizione che fa ben sperare. Perché quando si trova una volontà politica forte e unitaria, si decide velocemente con scelte operative. Sono certa che la dichiarazione di Roma sarà esemplare, alla voce Difesa. Si identifica un bisogno, si fanno scelte operative, si indica la prospettiva di lungo periodo».

La dichiarazione di Roma invita alle più velocità con un gioco di parole. E’ una scelta?
«L’importante è che le cose si facciano. Abbiamo tanti e tali problemi che litigare su una parola o l’altra deve essere l’ultimo. Contano le decisioni e le risposte concrete ai cittadini».

Il testo ha diviso Ovest e Est.
«E’ una rappresentazione che non rende giustizia alla realtà. Proprio nell’Est, e anche in Polonia il sostegno alle istituzioni europee tra la popolazione è molto alto. La realtà è che la tensione corre all’interno di ogni società, fra chi è cooperativo-solidale e chi alimenta il conflitto e spera, chiudendosi, di tenere fuori i problemi».

Non sarebbe stato meglio avere una dichiarazione di Roma più accessibile?
«A Roma riaffermeremo la volontà di stare insieme. Pochi mesi fa, all’indomani del referendum britannico, tutti scommettevano che sarebbe stato l’inizio della disgregazione. Invece ora diciamo insieme che intendiamo rimanere uniti e crescere insieme. Diciamo di esser uniti e investire nel nostro futuro comune».

Se un cittadino europeo le chiedesse “devo preoccuparmi più di Trump o Putin”?
«Gli direi di guardare più alle occasioni che alle paure. L’Ue ha in questo momento una grande opportunità di leadership politica, posto che si sia davvero uniti. Talvolta siamo troppo concentrati sui nostri limiti. Invece se si osservano le cose nel complesso, si vede che siamo il luogo dove i diritti sono più tutelati, la seconda potenza economica, il primo mercato. Siamo il posto dove si vive meglio al mondo. Questo non vuol dire che non ci siano delle minacce».

Il neo protezionismo americano o l’espansionismo russo?
«Non definirei mai gli Usa “una minaccia per l’Europa”, non lo saranno mai. E sono convinta che con la Russia si possa lavorare su molti fronti: lo stiamo facendo sulla Siria, sul nucleare iraniano, sul Medio Oriente. Alcune politiche possono essere problematiche. Ma nel complesso, di nuovo, vedo opportunità».

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