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La Stampa - Corriere della Sera - Libero Rassegna Stampa
23.03.2017 Terrorismo islamico: attacco a Londra
Titolo della Stampa, cronaca di Giordano Stabile, editoriale di Pierluigi Battista, analisi di Carlo Panella

Testata:La Stampa - Corriere della Sera - Libero
Autore: Giordano Stabile - Pierluigi Battista - Carlo Panella
Titolo: «La strategia delle mille ferite per piegare l'Occidente - Gli occhi chiusi - Solo i musulmani possono fermare i fanatici»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 23/03/2017, a pag. 7, con il titolo "La strategia delle mille ferite per piegare l'Occidente", la cronaca di Giordano Stabile; dal CORRIERE della SERA, a pag. 1, con il titolo "Gli occhi chiusi", l'editoriale di Pierluigi Battista; da LIBERO, a pag. 2, con il titolo "Solo i musulmani possono fermare i fanatici", l'analisi di Carlo Panella.

Il quotidiano che presenta il migliore titolo sull'attentato di Londra, in prima pagina, è La Stampa: "Jihad, attacco a Londra". E' fondamentale che i media descrivano il terrorismo islamico per quello che è: un attacco all'Occidente e al sistema delle libertà occidentali, una guerra senza quartiere.

Ecco gli articoli:

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L'Europa sotto attacco

LA STAMPA - Giordano Stabile: "La strategia delle mille ferite per piegare l'Occidente"

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Giordano Stabile

I Paesi europei devono togliersi dalla testa che la distruzione del Califfato porterà alla fine degli attacchi sul loro territorio. L’avvertimento che arriva dagli esperti dell’antiterrorismo israeliani si basa sull’osservazione della metamorfosi degli attentati firmati dall’Isis nell’ultimo anno. Dopo le azioni militari di Parigi e Berlino, che avevano coinvolto una mega cellula composta da decine di terroristi, forse sessanta in tutto, con ampia disponibilità di armi e denaro arrivato da Raqqa, si è passati a una serie più fitta di piccoli attacchi, dagli esiti a volte devastanti, come a Nizza o Berlino, portati tutti a termine da attentatori singoli, o in coppia. Un «investimento» minimo che però consente di mantenere la pressione sui «crociati» in Occidente.

Gli attentatori sono soli, ma parlare di «lupi solitari» è fuorviante. Se la macro-cellula parigina-bruxellese era stata addestrata direttamente dall’Amn al-Kharij, i «servizi esterni» dell’Isis, la nuova costellazione di terroristi singoli ha legami meno strutturati ma altrettanto forti. I jihadisti in Europa sono in contatto con quelli nel Califfato attraverso i social, soprattutto Telegram, si autoaddestrano con corsi sul Web, seguono le linee guida tracciate dall’ex numero uno dell’Amn al-Kharij, Mohammed al-Adnani, che a sua volta le aveva copiate dall’ideologo di Al-Qaeda Abu Musab al-Suri: «Azioni decentralizzate», individuali o in piccole cellule, per infliggere all’Occidente «mille piccole ferite» che avrebbero piegato la sua volontà di combattere. In uno dei suoi messaggi audio Al-Adnani, poi ucciso da un raid Usa lo scorso 30 agosto in Siria, aveva suggerito le armi: «Colpiteli con il coltelli, colpiteli con una pietra, investiteli con la vostra auto».
Suggerimenti seguiti alla lettera a Londra. E molte volte prima. Veicoli lanciati sulla folla erano già stati usati in Francia, a Nantes e Digione, nel dicembre del 2014. Poi c’è stato il terribile attacco del 14 luglio 2016 a Nizza: il tunisino Mohamed Lahouaiej Bouhlel travolge e uccide 86 persone sulla Promenade des Anglais di Nizza. Viene etichettato come «lupo solitario», poi gli inquirenti scoprono una rete di supporto e complici. La Germania viene colpita il 19 dicembre da un altro tunisino con un Tir, Anis Amri, profugo radicalizzato in carcere in Italia, con appoggi logistici in Lombardia e Lazio. Anche l’America è in qualche modo coinvolta: il 28 novembre scorso uno studente dell’Ohio State University investe alcune persone, poi scende e cerca di finirle a coltellate prima di essere abbattuto.

Nella lunga scia di micro attacchi la longa manus da Raqqa è evidente in Francia. Un unico reclutatore, Rachid Kassim, 29 anni, poi ucciso da un drone Usa a Mosul, tiene le fila. Le sue «impronte digitali», vengono trovate nell’attacco a Magnanville del 13 giugno 2016, quando il jihadista francese Larossi Abballa uccide due poliziotti nella loro casa prima di essere eliminato dalle teste di cuoio in un raid. Abballa non era solo. Almeno altre due persone sono state arrestate, in contatto con Kassim via Telegram. Le stesse «impronte digitali» sono rinvenute nell’uccisione dell’85enne sacerdote Jacques Hamel a Saint-Etienne-du-Rouvray il 26 luglio.

«Sangue contro sangue»
Oltre alle «istruzioni» sui siti jihadisti e gli scambi di messaggi con Telegram, un altro elemento lega la costellazione di micro-attentatori alla casa madre. Le rivendicazioni e i giuramenti di fedeltà. È l’agenzia Aamaq a mettere il timbro, con la formula fissa «un soldato del Califfato». Probabilmente arriverà anche dopo Londra, mentre già ieri sera sugli account jihadisti si festeggiava invocando «sangue contro sangue». A volte gli attentatori si rivelano con un messaggio di Facebook, come nel caso di Abballa, o con un’ultima telefonata, come ha fatto Omar Mateen dopo la strage in un locale gay in Florida del 12 giugno 2016. Oppure con video sul telefonino.

È il caso di Amri ma anche del diciassettenne afghano Muhammad Riyad che lo scorso 19 luglio, subito dopo Nizza, ha ferito quattro persone a colpi di ascia su un treno vicino a Würzburg: un video in cui minaccia attacchi in «ogni città, villaggio, aeroporto». Sono le «mille piccole ferite» teorizzate da Al-Qaeda quando il Califfato non era ancora risorto e che ora ci minacciano quando il Califfato sta di nuovo per essere spazzato via.

CORRIERE della SERA - Pierluigi Battista: "Gli occhi chiusi"

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Pierluigi Battista

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La scena dell'attentato

Stavolta il bersaglio è un simbolo troppo importante nella nostra storia per minimizzare, mettere tra parentesi la minaccia del terrorismo jihadista. Westminster, il Parlamento britannico, la culla della democrazia rappresentativa europea, la Camera dei Comuni chiusa, Theresa May costretta ad allontanarsi su una macchina blindata. Procurarsi un Suv e un coltello è facilissimo, ma l’impatto di armi così facili e maneggevoli, che non richiedono addestramenti sofisticati e modelli organizzativi molto elaborati, è fortissimo. Il cuore di Londra è ferito. Ma negli ultimi due anni si sono moltiplicati gli atti di guerra di matrice riconducibile all’islamismo fondamentalista che noi abbiamo cercato di non vedere. Abbiamo sperato non nella fine della guerra, ma nella trasformazione del grande terrorismo in una guerra a bassa intensità. Una normalizzazione psicologica del terrore. Cercando di non pensarci, di scacciare l’inquietudine, di non diventare prigionieri della paura. Ma l’attentato di Londra ci ricorda che le nostre speranze sono vane. Che gli attacchi continuano, che la scia di sangue non accenna a disseccarsi.

Rischiamo di abituarci al terrore, di considerarlo come parte integrante e ineliminabile della nostra vita. Sabato scorso un uomo ha tentato di uccidere una soldatessa all’aeroporto di Orly con una pistola e gridando di voler «morire per Allah», ma abbiamo prontamente archiviato quell’immagine inquietante. All’inizio di febbraio un altro uomo ha aggredito con il machete un militare di guardia al Louvre. Nei giorni scorsi ancora non abbiamo capito cosa sia esattamente accaduto a Düsseldorf in Germania, dove un uomo di «origine kosovara» (così è stato detto) ha attaccato con un’ascia la stazione ferroviaria provocando numerosi feriti. Ma ormai non si contano gli attentati che vedono protagonisti quelli che vogliano eufemisticamente definire «lupi solitari» o depressi o «radicalizzati» e di cui invece si scopre quasi sempre il collegamento con cellule terroristiche legate all’Isis.

Ricordiamo purtroppo molto bene gli attentati dal forte impatto spettacolare, come quelli che hanno colpito all’inizio del 2015 la redazione di Charlie Hebdo e il supermercato ebraico di Parigi, oppure sempre a Parigi la carneficina del Bataclan del novembre del 2015, la strage dell’aeroporto di Bruxelles del marzo del 2016, la pazza e sanguinaria corsa di un «radicalizzato» islamista a Nizza nel luglio del 2016 con oltre 80 vittime, il massacro del mercatino di Natale a Berlino nel dicembre del 2016, con un Tir lanciato a grande velocità contro la gente, l’irruzione nella chiesa di Rouen quando un commando ha sgozzato al grido di «Allah Akbar» padre Jacques Hamal mentre stava celebrando una messa mattutina con un gruppo di suore.

Accogliamo invece con un certo torpore, con una reattività rallentata, e addirittura con una forma di assuefazione rassegnata, la miriade di episodi che coinvolgono, dicono, attentatori isolati. Come se l’apparente isolamento di chi uccide e compie ripetutamente stragi in un arco temporale relativamente ristretto ci volesse convincere che non si tratta di una guerra globale scatenata contro il mondo «infedele», ma la somma di singoli casi non collegati tra di loro. Abbiamo faticato a riconoscere la matrice islamista della strage della discoteca di Orlando in Florida. Abbiamo cercato di ridurre il massacro in un bar di Dacca, con la morte di undici nostri giovani connazionali, a una cruenta e criminale bravata di ricchi rampolli del Bangladesh. Non vogliamo sapere con esattezza cosa sia successo a Londra quando un «norvegese di origine somala» ha ucciso con un coltello una donna americana ferendo altre cinque persone.

A Monaco, in un centro commerciale, nel luglio scorso un ragazzo ha ucciso nove persone sparando all’impazzata: sembrava un isolato, poi si è scoperto che non lo era. A Charleroi in Belgio due poliziotte sono state sfigurate a colpi di machete da un uomo che colpiva con ferocia gridando la sua appartenenza religiosa. Sempre nel luglio del 2016, in Germania, un ragazzo proveniente dall’Afghanistan ha ferito a colpi d’ascia cinque passeggeri di un treno regionale. Anche a Reutlingen un ragazzo siriano ha ucciso con un’accetta una donna incinta e ha ferito due passanti e ad Ansbach un uomo si è fatto esplodere ferendo numerosi partecipanti a un concerto rock. Ora a Londra, colpita nel suo Parlamento, è più difficile far finta di niente e non rendersi conto che la guerra unilaterale scatenata dal fanatismo religioso non si è mai fermata. Una guerra a bassa intensità, che non cessa di seminare lutti e terrore.

LIBERO - Carlo Panella: "Solo i musulmani possono fermare i fanatici"

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Carlo Panella

Un'automobile, un coltello, un obbiettivo clamoroso, Westminster, simbolo della democrazia moderna e il risultato raggiunto è clamoroso: in diretta mondovisione (ma non sulle tre reti Rai) centinaia di milioni di spettatori assistono all' impresa dell'ennesimo kamikaze-shaid. È il «contagio palestinese» della Intifada dei Coltelli, solo che qui non ci sono Territori occupati, ci sono ignari e innocenti passanti uccisi dalla stessa ideologia islamista e jihadista. A dimostrazione che Israele è dappertutto, che il terrorismo non nasce né per sue responsabilità, né per sue presunte - e razziste - colpe. Nasce da quella ideologia di morte islamista, da quel culto per la «bella Morte» cercata e agognata, fondata dall'ayatollah Khomeini, che Umberto Eco definiva «il nuovo fascismo».

E' sbalorditivo il rapporto tra la quotidianità degli strumenti di morte impiegati e il risultato ottenuto. Oltre al pesante bilancio delle vittime, basta pensare all'effetto devastante sulla platea televisiva mondiale dell'immagine, dei parlamentari inglesi fatti sdraiare per terra, della premier May costretta a fuggire da una porta secondaria su una Jaguar blindata. Un successone. Purtroppo. Ma, da Londra viene anche una indicazione confortante: abbiamo ancora di fronte un jihadismo «spontaneo». L'Isis o al Qaeda non hanno ancora deciso di inviare in Occidente, in Europa quei clamorosi suoi miliziani che da sei anni si sono fatti le ossa nella guerra urbana siriana - la più lunga della storia - vere e proprie macchine di morte capaci di stragi spaventose. Ancora li tengono a combattere a Mosul e in Siria, dove stanno dando prova di una incredibile, elevatissima capacità militare di tenuta, a fronte di forze numericamente sovrastanti e di bombardamenti aerei a tappeto. Ma è certo: verrà un giorno, forse non lontano, forse dopo la caduta di Mosul, nel quale jihadisti ad altissima professionalità bellica verranno inviati a attuare stragi di massa in Occidente, in Europa. Non viaggeranno sui barconi, ma in first class, non compreranno armi ed esplosivi da bande di trafficanti di quartiere (come a Molenbeeck), ma da grandi circuiti della criminalità organizzata o dalla Mafia cecena.

Quel giorno, la guerra di civiltà che loro, non noi, hanno dichiarato, subirà un'escalation e finalmente si capirà in Europa che si deve vivere come in Israele, per le stesse ragioni per cui Israele è colpito. E non si vedrà la fine del tunnel se non quando sarà il pigro e distratto - quando non complice - islam a darsi il compito primario - e non solo a facili parole - di contrastarlo. Anche in Europa. Infine, due parole sul contesto in cui si celebrerà sabato a Roma il sessantesimo anniversario dei patti per l'Europa: l'imponente apparato di sicurezza messo in campo da Marco Minniti verrà sicuramente e giustamente ancora potenziato. Ma non è poi detto che quella scadenza verrà scelta dai jihadisti per un attentato. ll jihadismo è come il cancro: non puoi prevedere se lo avrai, puoi solo sapere, dopo, maledettamente dopo, che ti ha attaccato. E come il cancro il jihadismo permette solo statistiche ex post. Bene, quelle statistiche sul passato ci dicono che mai, mai un'evento internazionale, iper protetto è stato considerato un target jihadista. Un auspicio.

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