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Ugo Volli
Cartoline
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Lezioni dall’Olanda 20/03/2017
Lezioni dall’Olanda
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

A destra: Geert Wilders

Cari amici,

credo sia opportuno proporvi qualche riflessione su quel che è accaduto col voto olandese, non solo perché più volte vi avevo espresso sostegno per Wilders e speranze di una sua vittoria, e dunque mi incombe l’obbligo di spiegare quella che è stata per lo più presentata dai media come una sua sconfitta. Ma soprattutto perché quel che è accaduto può avere somiglianze e conseguenze per il resto d’Europa, noi compresi.

Bisogna partire cambiando punto di vista rispetto a quello che propongono i giornali. Quando si tratta di elezioni e di grandi temi sentiti dall’opinione pubblica, i protagonisti non sono i partiti che “conquistano” un punto in più o uno in meno, “ottengono” la maggioranza, sono “sconfitti” o “prevalgono” su altri partiti. Questo è il punto di vista delle politica di palazzo, che ha una sua logica, ma non coglie il funzionamento profondo della democrazia. Il protagonista del voto è l’elettorato, che è certamente una realtà complessa, frammentata e diversificata, ma che si organizza secondo correnti di opinioni, valori, interessi, preoccupazioni che solo in parte derivano dalla politica ufficiale, dai partiti e dai media. Ci sono infiniti esempi positivi e negativi di questa indipendenza e imprevedibilità del voto rispetto al sistema politico organizzato, che non sto a ripercorrere qui. Pensate solo agli ultimi di questi esempi, la Brexit e l’elezione di Trump. Ma beninteso questa indipendenza non va solo a destra, talvolta sorprende a sinistra, con l’emersione e l’affermazione di forze nuove estranee al sistema, com’è accaduto qualche anno fa in Grecia.

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"Sharia per l'Olanda"

Attenzione, però, il soggetto della novità non sono queste forze nuove, che possono fare bene o male, ma dipendono da spinte che hanno origine nella società. Alle elezioni, insomma, si incontrano una domanda politica (quella dell’elettorato, che avverte certe esigenze, subisce certe paure, desidera certe scelte) e un’offerta politica, che è quella dei partiti, dei movimenti, dei leader. Naturalmente sia la domanda che l’offera politica sono molteplici. Come nel mercato delle automobili c’è chi vuole macchine che costino poco e chi le vuole lussuose, chi le vuole tradizionali nella forma e chi le preferisce innovative, chi privilegia il consumo e chi la sicurezza, così nel mercato politico la domanda esprime spinte diverse e per lo più anche opposte. Non sempre l’offerta politica risponde efficacemente alla domanda: essa è spesso vincolata alle sue logiche, alle ideologie, alla forza interna delle correnti e dei leader.

Quel che è chiaro è che oggi nel mondo occidentale è emersa o si è molto rafforzata nel corpo degli elettorati una corrente che esprime preoccupazioni per la difesa della cultura occidentale, e ancor più delle culture nazionali, che ha timore di essere espropriata dagli immigrati, soprattutto da quelli islamici, che è diffidente non solo nei confronti del multiculturalismo ma anche delle istituzioni sovrannazionali che sono percepite come portatrici di un progetto politico di omogeneizzazione e di deculturalizzazione, poco trasparenti e addirittura opache, indifferenti all’opinione pubblica, dogmaticamente unificanti, espressione allo stesso tempo degli interessi dei grandi monopoli industriali e di un’ideologia neosocialista – il che è paradossale, ma non insensato, visto che gli uni e l’altra hanno interesse ad agire in un grande spazio multinazionale, in cui i “proletari di tutto il mondo” (o se volete i piccoli borghesi) siano uniti da consumi, abitudini, stili di vita. L’intervento pubblico diventa sempre più intrusivo e pretende di regolare e verificare ogni cosa, aiutato in questo dai grandi progressi della tecnologia dell’informazione.

Naturalmente esistono nell’elettorato anche correnti che sostengono questo universalismo e questa abolizione dell’indipendenza nazionale (che è uno spazio politico) con una amministrazione multinazionale non politica, ma appunto soprattutto amministrativa e autoreferenziale ma “benevola” e “umanitaria”, com’è il caso dell’Onu e soprattutto dell’Unione Europea. La commissione e soprattutto i burocrati di Bruxelles non si comportano come un corpo politico, ma come amministratori di un grande condominio che sa meglio sui singoli inquilini che cos’è bene per tutti, e che puntano a estendere indefinitamente la loro “buona amministrazione” (de prendere ovviamente con beneficio di inventario). Ad alcuni questo piace, li fa sentire buoni e privi di problemi, ma nell’elettorato si vede crescere una corrente di rivolta. Per via della tradizione politica questa corrente viene detta di destra o populista; il suo opposto non si qualifica, perché ritiene semplicemente di essere razionale o “democratica” (anche se le organizzaziobni multinazionali, non a caso, non hanno un funzionamento democratico (e non perché le dimensioni lo rendano impossibile, come dimostra per esempio il caso dell’India e degli Usa). Ma perché amministrazione e politica, burocrazia e scontro delle opinioni, sono opposte.

Bene, Wilders e molti altri in Europa sono l’offerta corrispondente a questa domanda politica. Questi altri sono molto diversi: alcuni, soprattutto nell’Europa orientale sono espressione di vecchie nostalgie e ideologie; altri sono la continuazione fisica, perfino familiare di queste ideologie con cui hanno rotto; altri ancora sono modernizzanti e liberali come Wilders. Gli apparati politici e mediatici sostenuti dalla tradizione burocratica, statalista e universalista tendono a presentarli tutti come “populisti” (parola del tutto priva di significato, se non per il richiamo alla volontà elettorale e al dibattito delle idee contro il potere burocratico) o “fascisti”, e li escludono più che possono dalla dialettica parlamentare. Wilders ha subito questo ostracismo, fra l’altro con due processi (perché la magistratura è in tutt’Europa la parte più “armata” della spinta burocratizzante e universalistica. Ma ha anche subito un’occupazione del suo posizionamento politico dal premier di “destra moderata” Rutte, che ha approfittato dello scontro con la Turchia (e magari lo ha anche esacerbato apposta) per presentarsi sul mercato politico come un possibile sostenitore più “moderato” e “affidabile” ma “deciso” delle nuove istanze dell’elettorato. Questo movimento, che non è del tutto nuovo, si può giudicare come un trucco e un imbroglio (e certamente in parte lo è, perché Rutte ha fatto in passato delle politiche “mainstream”, cioè opposte alle istanze della domanda politica di cui si è presentato come difensore. Ma costituisce anche quel che si è definito uno “spostamento a destra” dell’intero asse politico.

Vedremo quanto manterrà le sue posizioni, lui e i suoi pari in Europa. Quel che bisogna capire è che ciò che si gioca in questo momento non è un ennesimo atto del “teatrino della politica”, ma una spinta sociale profonda. E questa spinta permane, al di là delle elezioni. La vedremo in Francia, poi in Danimarca ed entro un anno anche fra noi. Essa non può essere elusa se non a costo di una grave frattura sociale. Una parte sempre più consistente dell’elettorato non vuole Eurabia e rifiuterà di comprarla anche se travestita.

Immagine correlata
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