IC7 - Il commento di Giacomo Kahn
Dal 12 al 18 marzo 2017
L'Europa si fa a Parigi e Berlino
Mark Rutte (partito liberale) ha vinto le elezioni in Olanda
Forse il cittadino medio europeo non se ne è accorto. Ma la scorsa settimana un brivido di terrore ha attraversato i salotti politici di mezza Europa. C’era la paura che l’elezioni politiche svoltesi in Olanda lo scorso mercoledì 15 marzo, segnassero la vittoria degli antieuropeisti del partito populista di destra di Geert Wilders. Dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue e la vittoria di Trump, la possibile vittoria degli antieuropeisti olandesi sarebbe stata un’ulteriore, forse definitiva, mazzata che avrebbe mandato all’altromondo il corpo sonnachioso di una Europa unita sulla carta, ma divisa da visioni profondamente diverse.
Pericolo scampato: ha vinto il partito liberale del primo ministro Mark Rutte (che pure ha perso 8 seggi). E’ una vittoria fragile ma il temuto sfondamento dell'ondata populista non c'è stato e il partito Pw di Geert Wilders, pur avendo guadagnato voti e seggi (da 15 è passato a 20 su 150), non è riuscito a sfondare come avevano ipotizzato alcuni sondaggi. Questi risultati danno un po’ di ossigeno ai tradizionali partiti europei, ed incoraggiano le attuali leadership che possono guardare con minor preoccupazione alle prossime decisive tornate elettorali.
Gli anti europeisti olandesi non hanno sfondato e quindi non dovrebbero condizionare e influenzare le scelte elettorali dei francesi e dei tedeschi (che voteranno rispettivamente, i primi per le presidenziali il 23 aprile e il 7 maggio, e i secondi per le federali il 24 settembre). Mancano veramente pochi giorni e mai come in questa occasione il futuro dell’Europa, la sua unità politica e monetaria, non si deciderà a Bruxelles ma a Parigi e a Berlino: non è in ballo lo spostamento dell’asse politico tra destra e sinistra o meglio tra un centro-destra e un centro-sinistra (come tradizionalmente è stato per decenni), ma nelle urne – quasi come fosse un referendum – gli elettori dovranno scegliere tra chi difende il sogno di un'Europa unita, accogliente e solidale e chi preoccupato dell’immobilismo europeo incapace di gestire i flussi migratori e incapace di dare risposte a disoccupazione e crescente povertà, vede nei nazionalismi e nei particolarismi le sole soluzioni possibili.
E’ evidente poi che le scelte elettorali francesi e tedesche influenzeranno il dibattito politico italiano, il cui appuntamento elettorale si preannuncia per il prossimo anno. In realtà i populisti hanno già ottenuta una loro vittoria. Sanno parlare alla pancia della gente; hanno saputo ridurre il dibattito politico a pochi ed essenziali temi di grande impatto emotivo, ma sui quali nessuno ha le soluzioni facili a portata di mano: l’euro è motivo di povertà e quindi bisogna abbandonarlo; l’immigrazione e l’integrazione sono una minaccia alla sicurezza; l’accoglienza si fa ma con le nostre regole; il mercato si difende con il protezionismo e creando barriere ai prodotti stranieri.
Chi aspira a vincere le elezioni non può sfuggire a questi temi e ci sono due sole possibilità: fare finta che siano esagerazioni oppure riconoscere che sono veri. Se dovessi consigliare una strategia elettorale agli europeisti francesi, tedeschi e italiani direi: guardate cosa ha fatto il premier olandese che ha scelto una campagna pro-europea, ma anche fortemente identitaria e patriottica. Valga per tutte la lettera, pubblicata a tutta pagina sui giornali olandesi, dove Rutte criticava quegli immigrati, ed era chiaro che si rivolgeva ai musulmani, che rifiutano di integrarsi nella società: «Comportatevi normalmente o andatevene».
Si può essere europeisti e allo stesso tempo nazionalisti ? Essere europeisti significa per forza rinunciare al populismo? Per il premier olandese non vi sono contraddizioni. «Gli elettori hanno detto no al tipo sbagliato di populismo», è stato il suo commento più significativo post elettorale. Avere una forte identità nazionale non è un peccato di cui vergognarsi, anzi deve essere un motivo di orgoglio ed il nazionalismo non è una parolaccia. Cosa c’è – ad esempio - di sbagliato nel cantare l’inno nazionale, nel pretendere rispetto alla bandiera, nel richiamare ai valori della storia e del sacrificio degli uomini ? Il peccato del nazionalismo è quando diventa intolleranza, quando incita alla xenofobia e all’odio verso gli stranieri. E’ quel nazionalismo che va sconfitto elettoralmente.
Giacomo Kahn, direttore mensile Shalom