Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 17/03/2017, a pag. 32, con il titolo "Tutti gli equivoci nei rapporti con l'islam", due lettere di lettori e la risposta di Corrado Augias.
Le due lettere pongono interrogativi importanti, ma la risposta di Augias è evasiva e disattende completamente il titolo. Il buonismo a oltranza di Augias non è la risposta all'islamismo: occorrono misure concrete, limiti (per esempio sul velo). L'alternativa è la definitiva trasformazione dell'Europa in Eurabia in nome del multiculturalismo e del politicamente corretto.
Ecco lettere e risposta:
Corrado Augias
Anche questo è islam, ma Augias finge di ignorarlo
EGREGIO Augias, ho letto l’articolo di Roberto Toscano dal titolo “Ma il divieto del velo al lavoro è una risposta intollerante”. L’ho trovato molto interessante, ma vorrei proporre una lettura diversa, se me lo consente. E se una forma di intolleranza fosse portare il velo? Se la mia collega di ufficio che solitamente porta una gonna sopra il ginocchio e tacco alto, andasse a lavorare in ufficio a Teheran, potrebbe vestirsi alla stessa maniera? Come mai pretendiamo che i Rom vadano a vivere in case e non in una roulotte, puliti, lindi, magari chiedendo loro di tenere la musica bassa, e alle donne islamiche non possiamo chiedere di non portare il velo? La migliore giornalista/ scrittrice che abbiamo avuto (ovviamente è solo il mio parere) che risponde al nome di Oriana Fallaci ci aveva ampiamente dato tutte le chiavi di lettura, riguardo l’argomento. Basterebbe rileggerle.
Francesco Betti — francesco_895@libero.it
Gentile Augias, la fede islamica è l’unica che porta alcuni suoi fedeli all’odio e di conseguenza a compiere attentati e stragi. Questo per capirci. In merito al velo islamico, anche da noi le anziane donne del Sud portavano e ancora portano la testa coperta, ora un fazzoletto che copra i capelli è certamente accettabile, una maschera che scopra a malapena gli occhi, francamente no!
Carlo Del Perugia — Firenze.
LE DUE LETTERE mostrano bene i possibili equivoci che sorgono quando si tocca il tema Islam. La sentenza della corte di Giustizia europea riguarda il velo o foulard non il Niqab né tanto meno il Burqa che nascondono l’intera fisionomia o lasciano scoperti solo gli occhi. Secondo: riguarda i luoghi di lavoro e non i luoghi pubblici in generale. La motivazione è che un cliente allo sportello di un ufficio dello Stato, per esempio, potrebbe essere disturbato da un segno di riconoscimento che alteri la neutralità della funzione. Le obiezioni del signor Del Perugia pertanto cadono. Esiste però anche un’obiezione più generale ed è che nei rapporti con la cultura islamica vengono a contatto, e spesso confliggono, due concezioni dei rapporti, della femminilità, della sessualità, del costume che sono molto diversi, si potrebbe dire diversi per discronia (sfasatura temporale). Molti usi vigenti nel mondo islamico, secoli fa lo erano anche da noi. È inutile chiedersi come fa il signor Betti se la sua collega potrebbe andare in giro in minigonna a Teheran come poniamo a Milano. Non potrebbe. Questa è la realtà. La vogliamo accettare? Contestare? Tagliamo i rapporti? Le due culture sono pacificamente convissute fino a quando siamo rimasti, per dirla volgarmente, ognuno a casa sua. Non è più così, i contatti sono diventati stretti e quotidiani, saggezza vorrebbe che la cultura più aperta, sicuramente quella occidentale, accogliesse e capisse quella che ha conservato un’ottica diversa in materia di diritti umani cioè non soltanto il velo ma la condizione della donna nella società, la pena di morte per certi reati, la discriminazione verso gli omosessuali. Ovviamente nel limite del codice penale.
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