Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 14/03/2017, a pag. 7, con il titolo "Amnesty a Trump: 'Catastrofici i muri e i bandi' ", il documento di Amnesty International; con il titolo "Gli Usa sbagliano, e l'Europa non si comporta meglio", l'intervista di Nello Scavo a Riccardo Noury.
L'ipocrisia di Amnesty International (detta AMNESY) è ormai un fatto conclamato. L'Ong, infatti, adotta due metri e due misure nalla valutazione del conflitto israelo-palestinese e del terrorismo islamico in Europa e nel mondo. E' sempre pronta a condanne di Israele, l'unico Stato libero e democratico del Medio Oriente, ma chiude entrambi gli occhi di fronte ai crimini che si consumano in molti Paesi musulmani e non solo. I suoi galoppini, che percorrono le strade dei paesi democratici, si guardano bene dal fare altrettanto nei paesi arabo-musulmani.
Anche in questo caso, Amnesty preferisce attaccare Trump e ignorare le autentiche violazioni dei diritti umani che avvengono ogni giorno in tutto il mondo.
Ecco gli articoli:
Amnesty International: "Amnesty a Trump: 'Catastrofici i muri e i bandi' "
"Amnesy" International: i diritti non sono uguali per tutti
Amnesty International ha consegnato in esclusiva ad "Avvenire" un documento dai toni preoccupati nel quale muove nuove accuse al presidente Donald Trump, anche se non mancano critiche all'Unione Europea. Il testo si chiude con un appello all'opinione pubblica internazionale.
Per chi aveva assistito sgomento alle urla di vittoria di Donald Trump al termine di una campagna elettorale basata su paura, xenofobia e odio, c'era sempre la consolazione che si fosse trattato di una mera strategia per prendere voti. Lo stile sopra la sostanza, insomma. Nient'altro che parole. Invece, con una preoccupante alacrità, il nuovo presidente degli Usa ha fatto seguire alla sua narrativa dell'odio una serie di concrete decisioni politiche che costituiscono una grave e immediata minaccia ai diritti umani, e non solo negli Usa. La serie di decreti repressivi emanati da Trump nei suoi primi due mesi di mandato avranno conseguenze catastrofiche di vasta portata. E non saranno solo un problema statunitense.
Raggiungeranno ogni angolo del pianeta e colpiranno più duramente le persone maggiormente vulnerabili. Non sorprende che i due principali obiettivi nello Studio ovale siano gli stessi della campagna elettorale: i musulmani e i rifugiati. Dunque, per un rifugiato di fede musulmana si prepara il peggio. Col decreto del 27 gennaio, sulla «protezione della nazione da attacchi terroristici da parte di cittadini stranieri», Trump aveva dichiarato guerra ai rifugiati musulmani di ogni parte del mondo. L'immediata attuazione del decreto aveva immediatamente generato paura e caos. Ila febbraio avevamo tirato un sospiro di sollievo, quando una Corte distrettuale aveva bloccato su tutto il territorio quella misura del tutto discriminatoria. Ma era durato poco.
Il 6 marzo, dopo settimane di suspense, la Casa Bianca ha emanato una seconda versione del decreto. Nonostante alcune limature degli angoli, resta un malcelato affronto al potere giudiziario e soprattutto rappresenta ancora una volta un bando nei confronti dei musulmani, solo chiamato con un altro nome. Con un tratto di penna, il presidente ha di nuovo sbattuto le porte in faccia a chiunque - compresi i rifugiati - provenga da Siria, Iran, Libia, Somalia, Sudan e Yemen. Paesi tutti a maggioranza musulmana e Paesi da cui fugge la maggior parte dei richiedenti asilo che cercano scampo dai conflitti e dalle violazioni dei diritti umani. Restringendone lievemente l'ambito di applicazione, l'Amministrazione Trump può avere forse messo una toppa ai profili d'incostituzionalità del precedente decreto. Ma la nuova versione tuttavia rimane sempre profondamente discriminatoria e rinnova alcuni degli aspetti più detestabili di quella originale.
Trump sostiene che sta impedendo l'ingresso ai «terroristi» che vogliono fare del male agli Usa. Ma non esiste alcun dato che possa dimostrare che i rifugiati - musulmani o no - siano più inclini di altri a compiere atti di terrorismo. Trump ha anche imposto una quota annua di 50mila rifugiati. Poiché l'amministrazione Obama si era già impegnata ad accogliere 110mila rifugiati nell'anno fiscale in corso, nel 2017 60.000 persone vulnerabili saranno lasciate fuori dagli Usa. Il fatto che ciò avvenga nel contesto di un'emergenza globale in cui 65 milioni di persone sono fuori dai loro paesi a causa della guerra e della persecuzione evidenzia il cinismo di questa politica. Ma nell'era delle "false notizie" e dei tanto strombazzati "fatti alternativi", la verità non è certo di alcun interesse per il presidente.
Per i rifugiati e i migranti che attendono decisioni reali che riguardano la loro vita o la loro morte, le frottole e le bugie sono lussi che non possono permettersi. Dall'entrata in vigore del primo decreto Amnesty Inter-national ed altre organizzazioni continuano ad ascoltare racconti di indicibili sofferenze, di famiglie fatte a pezzi, di vite in sospeso, di speranze in un nuovo inizio distrutte nel giro di un attimo. Come quello dell'uomo che dagli Usa è andato in Iran per prendere parte al funerale del padre e improvvisamente ha capito di non poter rientrare a casa. O quello della famiglia yemenita di New York, la cui bimba di 12 mesi è bloccata in Malesia, a migliaia di chilometri di distanza. O quello del giornalista sudanese perseguitato nel suo Paese e nascosto in Egitto che si sta chiedendo quanto sia sicuro chiedere asilo negli usa di Trump. Poi ci sono quei milioni di rifugiati in altri Paesi - quasi tutti nel cosiddetto "sud globale" - che rischiano di sentirsi abbandonati dalla comunità internazionale. Il decreto di Trump sortirà un effetto imitatorio nei Paesi che li ospitano, causando l'aumento delle espulsioni forzate dei rifugiati? E con quale coerenza l'Unione Europea critica le politiche di Trump quando si appresta a "celebrare" il primo anniversario dell'illegale accordo con la Turchia, quando il Parlamento ungherese approva la detenzione di tutti i richiedenti asilo (bambini compresi) in squallidi container lungo il confine, quando l'Italia chiede nuovamente alla Libia di trattenere e riprendere i migranti o attua sommarie procedure d'identificazione nei cosiddetti " hot-spot" e altrettanto sommarie espulsioni?
La campagna I Welcome" di Amnesty Interna-tional rappresenta una potente piattaforma per milioni di cittadini globali che hanno scelto di stare dalla parte dei rifugiati. Le politiche di Trump sulla sicurezza delle frontiere, basate su paura e odio, sono una sfida diretta a quel movimento. Nelle sei settimane trascorse da quando è entrato alla Casa Bianca, Trump ha scatenato una guerra totale ai diritti umani. Rispondere indignandoci non è abbastanza. E il momento, ed è responsabilità di tutti coloro che hanno a cuore i diritti umani, di reagire.
Nello Scavo: 'Gli Usa sbagliano, e l'Europa non si comporta meglio'
Riccardo Noury
"Il grido del "prima i nostri" lo abbiamo già sentito ai tempi di Hitler. E se certo non possiamo prevedere il futuro, dovremmo almeno apprendere dalla storia». Mai come stavolta Arnnesty International si era esposta nelle accuse e nei toni contro il capo di una democrazia. Riccardo Noury, portavoce dell'organizzazione per l'Italia ha una spiegazione.
Dal nazismo a Trump, non è un paragone azzardato? Ho la sensazione che il mondo che Trump rischia di lasciarci, speriamo tra quattro anni e non tra otto, sarà irriconoscibile. Credo e temo che il presidente Usa non si renda conto dell'impatto che le politiche di demonizzazione possono avere nel Paese e per la sicurezza mondiale.
Cosa vi ha spinto a chiedere una reazione di massa? Da ogni parte in questi anni si è detto che è necessario trasmettere un messaggio chiaro: «Non è in corso una guerra all'islam». Ma adesso con Trump si fa esattamente l'opposto. Oltre ai gravi danni per le persone interessate direttamente da questi provvedimenti, vi saranno e vi sono già ripercussioni pesanti a livello globale.
Di che genere? Si è creato un precedente pericoloso. Si sostiene, cioè, che una persona può essere considerata una minaccia terroristica sulla base di due caratteristiche: la nazionalità e la religione. Il tutto condito da una strana amnesia.
Quale? Intanto gli Usa hanno contribuito ben prima di Trump a causare in una buona metà dei Paesi messi al bando quelle condizioni che provocano la stringente necessità di fuggire. E poi c'è una sorta di sub-discriminazione, perché viene applicata una selezione tra questi Paesi, lasciando fuori alcune nazioni di cui sono originari molti dei terroristi che hanno colpito gli Usa, penso ad Arabia Saudita, Emirati Arabi, Pakistan, Afghanistan, solo per fare un esempio.
Chi può portare a più miti consigli Donald Trump? L'Unione europea? Il "muro" tra Usa e Messico c'era ben prima che arrivasse Trump e non è ancora cominciata la costruzione delle barriere promesse dal neopresidente, che l'Europa invece aveva già issato i suoi "muri", come quello ungherese, o come l'accordo con la Turchia per fermare i profughi e impedire che possano raggiungere il Vecchio Continente. Si arriva addirittura alla Corte europea dei diritti dell'Uomo che attribuisce ai singoli stati la libertà di scegliere le politiche antimigratorie che preferiscono.
Come interpreta i segnali da Bruxelles? Gli stati vanno per conto proprio, ma è chiaro il tentativo di spostare le frontiere europee più a Est (affidando per esempio alla Turchia il compito di fare da barriera) e più a Sud in Africa, dove Paesi come l'Italia sono protagonisti di intese tra gli altri con Libia o Sudan, nei quali non solo non vengono rispettati i diritti umani dei propri cittadini, ma meno che mai quelli degli stranieri.
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