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La Repubblica Rassegna Stampa
14.03.2017 Università di Torino-Technion: oggi si decide
Stefano Rizzi intervista Ugo Volli, cronaca di Jacopo Ricca, interviste a Sergio Scamuzzi e all'odiatore di Israele Angelo D’Orsi

Testata: La Repubblica
Data: 14 marzo 2017
Pagina: 5
Autore: Stefano Rizzi - Jacopo Ricca
Titolo: «'Boycott Israel', il germe antisemita degli intellos - Accordo con Technion, Unito decide - 'Garantire libertà a tutti i ricercatori' - 'Sì al boicottaggio, un'arma pacifica'»

Riprendiamo dallo SPIFFERO, con il titolo 'Boycott Israel', il germe antisemita degli intellos", l'intervista di Stefano Rizzi a Ugo Volli; dalla REPUBBLICA - TORINO, a pag. V, con il titolo "Accordo con Technion, Unito decide", la cronaca di Jacopo Ricca; con i titoli "Garantire libertà a tutti i ricercatori", "Sì al boicottaggio, un'arma pacifica", le interviste a Sergio Scamuzzi, Angelo d'Orsi.

Ecco gli articoli:


Uno striscione contro Israele all'Università di Torino

LO SPIFFERO: Stefano Rizzi: " 'Boycott Israel', il germe antisemita degli intellos"

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Ugo Volli

“Sono antisemiti. Loro magari pensano di non esserlo, anche se qualcuno in passato ha fatto battute su Israele che mettono in dubbio questa inconsapevolezza. Ma lo sono”. Ugo Volli, ordinario di semiotica del testo all’Università di Torino, appartiene dalla nascita alla comunità ebraica di Trieste (dove è nato nel 1948), si occupa da sempre di ebraismo ed ha assunto, in passato, anche posizioni critiche come quella verso l’atteggiamento “conservatore” del rabbino Riccardo Di Segni su omosessualità e unioni civili.

Alcuni anni fa si presentò in aula insieme a un’altra docente avvolto nella bandiera israeliana per denunciare l’intolleranza di cui erano oggetto per il loro sostegno a Israele. Nel pieno della polemica suscitata dalla presa di posizione di una sessantina di docenti dell’ateneo torinese (e della maggioranza del consiglio degli studenti) chiede al rettore Gianmaria Ajani di annullare gli accordi con il Technion di Haifa la scuola tecnologica israeliana contro cui da oltre un anno è partita una campagna di boicottaggio con l’accusa di sviluppare tecnologie che avrebbero conseguenze negative sui palestinesi, Volli smaschera i colleghi anti-Israele, ma ne ridimensiona pure parecchio il peso.

“Dei sessanta che hanno firmato l’appello, tolti precari e pensionati, di professori veri ne resta meno della metà e una ventina su 1.800 docenti sono una percentuale irrisoria. Ma non per questo trascurabile visto il messaggio che lanciano” premette nel colloquio con lo Spiffero dove ritorneranno spesso termini come “antisemiti, “estremisti” e “noecomunisti”. L’altra premessa che Volli formula riguarda proprio il rapporto tra atenei e questioni politiche internazionali: “Non mi risultano boicottaggi verso università russe, così come nei confronti di istituti statunitensi come l’Mit, che pure ha legami con il Pentagono. Per contro si chiede di recedere dall’accordo con una delle università tra le prime cinquanta al mondo, quando per trovare la prima italiana bisogna arrivare a quota duecento o giù di lì, che non riguarda assolutamente materie strategiche o legate agli armamenti”.

Il riferimento è palese e riguarda le ricerche che l’ateneo torinese condivide con il Technion sulle coltivazioni agricole, la ricerca sul cancro e le analisi in medicina. “Insomma non è una fabbrica di guerra. Ma questo appare ininfluente a chi assume una posizione ideologica che ricorda quel che accadde 80 anni fa in Germania. Con una differenza: non ci troviamo di fronte a neonazisti o neofascisti, ma a neocomunisti per i quali resiste la dottrina di Stalin e la difesa, a prescindere, di qualunque cosa rappresenti la sinistra. E se serve a questo scopo, si attacca lo Stato di Israele, gli ebrei, si diventa antisemiti”. Spesso pensando di non esserlo, come osserva Volli, sia pure aprendo a qualche possibile consapevolezza. “Ad ispirare questo appello, questo movimento nell’università sono sostanzialmente due intellettuale: uno è lo storico Angelo D’Orsi, l’altro è Gianni Vattimo di cui si ricorda una frase pronunciata anni fa”.

Volli si riferisce a quando il filofoso del pensiero debole e dalla fortissima passione per la Cuba castrista disse, scatenando una ridda di critiche: “Non ho mai creduto al Protocollo dei Savi di Sion, ma ci sto ripensando”. Vattimo anche per fronteggiare le accuse di aver ammantato (sia pure in chiave provocatoria) di possibile verità uno dei più clamorosi falsi della storia, usato a piena mani dall’antisemitismo, in seguito precisò di non essere antisemita, ma antisionista. Non è tuttavia quell’uscita improvvida a fa muovere accuse di antisemitismo da parte dei Volli: “È, piuttosto un neocomunismo militante che li spinge ad esserlo, credendo o comunque sostenendo di non esserlo”. Un atteggiamento che il professore di semiotica pare rilevare e trovarlo in una “incapacità da parte di settori della sinistra torinese di evitare una degenerazione di una solida e meritoria tradizione antifascista. Nella città dove si sono formati intellettuali e personalità di spicco della sinistra e dell’azionismo, si è tuttavia incancrenita, sia pure e per fortuna in parte assai residuale, una cultura che non ha capito che il mondo cambiava. Lo si è visto – ricorda Volli – anche negli anni bui del terrorismo, quando a Torino al contrario di città come Milano o Genova non è stata altrettanto forte la reazione verso fenomeni come quello dell’autonomia”.

Oggi, alla vigilia dei una decisione che appare probabile verso il diniego da parte del rettore alla richiesta avanzata dai sessanta docenti, Volli riconosce all’università torinese “e in primis allo stesso rettore, di aver tenuto la barra salda e un atteggiamento corretto, difendendo la legalità e tenendo ben separati il piano scientifico da quello politico”. Ricorda come “sia Piero Fassino, sia Sergio Chiamparino e molti altri esponenti della sinistra abbiano assunto da subito, da quando un anno fa si incominciò con questo attacco al Technion, posizioni chiare e di estrema intelligenza e correttezza. Detto questo, va ammesso che esiste una parte residuale di una certa sinistra che continua a pensare che non bisogna avere nemici a sinistra, anche se le idee e le proposte non sono giuste. Lo si vede anche rispetto al movimento No Tav, che pure spesso assume atteggiamenti violenti. E la vittoria del M5s a Torino può essere letta, in parte, come conferma di questa tesi”. Nell’attesa della decisione, prevista per domani, da parte del rettore sull’appello dei sessanta, Volli li descrive come “relitti abbandonati al loro destino su una spiaggia di una storia che non c’è più”.

LA REPUBBLICA - Jacopo Ricca: "Accordo con Technion, Unito decide"

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Jacopo Ricca

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Il Technion

FUORI, nel cortile del Rettorato, studenti e ricercatori che chiedono di stracciare gli accordi con il Technion di Haifa. Dentro i senatori accademici che a tre anni dall’approvazione, all’unanimità, dell’intesa devono ridiscuterla su richiesta del Consiglio degli studenti contro il Technion. Mozione che invita l’Università di Torino a boicottare l’ateneo israeliano, rinunciando a progetti da oltre 2 milioni. Ieri, a tutti i senatori è arrivata una lettera, firmata da più di 350 accademici italiani, di cui una sessantina di Politecnico e Unito: «Vi invitiamo a sospendere gli accordi i fino a che il Technion non cesserà di essere coinvolto nelle violazioni dei diritti umani dei palestinesi – scrivono - Sarebbe un passo fondamentale per indurre il governo israeliano al rispetto della legalità internazionale». Una proposta che ha scatenato le solite polemiche tra chi parla di “antisemitismo”, come il semiologo, Ugo Volli e chi sostiene che i palestinesi siano vittime di un regime oppressivo. Gli studi di Unito con Haifa sono quattro e riguardano la ricerca oncologica, la genetica dei pomodori e, come sottolineato anche dal rettore Gianmaria Ajani, le risorse idriche: «Escludiamo ci siano rapporti legati alla produzione di armamenti» precisa il vicerettore alla Ricerca Federico Bussolino. Sono attività finanziate con il bando europeo Horizon 2020 che valgono a Torino circa 700mila euro ciascuna per tre anni. I ragazzi del Progetto Palestina, che oggi saranno in Rettorato con i docenti e il gruppo che la domenica organizza il Concerto dal Balconcino, però pensano che l’accordo abbia un valore politico: «Il memorandum del 2014 è stato fatto dal premier Letta e Netanyahu – dicono – Questo dimostra che è un accordo politico, mentre di progetti concreti finora non ne sono arrivati, c’è solo una bozza sul lavoro sui pomodori che non è ancora partito».

Jacopo Ricca: 'Garantire libertà a tutti i ricercatori'

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Sergio Scamuzzi

LA LIBERTÀ di collaborare o meno dev’essere garantita ai singoli ricercatori. Questo è l’elemento da salvare per Sergio Scamuzzi, sociologo e vicerettore alla comunicazione, che difende l’accordo tra l’Università e il Technion: «Un singolo può benissimo decidere con chi studiare, ma un’istituzione come la nostra non può fare una scelta di questo tipo perché andrebbe a pregiudicare la libertà di ricerca di chi invece con loro vuole lavorare». Per il professore vanno tenute separate le questioni politiche da quelle accademiche: «Un conto sono le nostre posizioni come cittadini, un altro quello che facciamo da docenti».

Quindi per lei l’accordo va mantenuto? «Sì, è giusto continuare a lavorare con loro, come con qualsiasi altra università nel mondo. È una opportunità che si dà ai ricercatori, poi sono i singoli docenti che devono scegliere come agire, anche nel rispetto della loro coscienza. In ogni caso il Technion è un ateneo di grande qualità, con un profilo di assoluto livello nella ricerca. Hanno una grande forza sul piano dei brevetti e sarebbe stupido non cercare una collaborazione».

Da cittadino cosa pensa della situazione tra Israele e Palestina? «Sul piano più politico sono sempre stato un pacifista sulla questione e ho sempre pensato che la soluzione di due popoli e due Stati potesse far convivere entrambe le parti. Purtroppo in questo momento questa prospettiva è difficile per quella che è stata l’evoluzione sul piano internazionale».

Pensa che il boicottaggio sia uno strumento efficace? «Non credo possa funzionare dal punto di vista di un’istituzione. Non credo che spostare su questo livello il conflitto possa essere d’aiuto ai palestinesi, o agli israeliani».

Trova una posizione antisemita chiedere il boicottaggio? «Sarei cauto su questo. L’antisemitismo lo vedo su altre dimensioni, non è meccanico che chi è antisionista sia antisemita. L’università è grande e pluralista, che ci sia un dissenso su una questione così importante è normale e spero che si possa trovare una strada per una elaborazione culturale che possa aiutare delle nuove strade per riportare la pace».

Jacopo Ricca: 'Sì al boicottaggio, un'arma pacifica'

Angelo d'Orsi si conferma uno dei principali odiatori di Israele nelle università italiane. Per questo si allinea con il boicottaggio in stile nazista contro lo Stato ebraico (BDS). La prima fase della persecuzione degli ebrei in Germania è stata la negazione dei diritti, l'esclusione e il boicottaggio. Poi si è passati al concentramento e infine allo sterminio sistematico. BDS ha lo stesso identico obiettivo e riassume la prima di queste tre fasi.

Ecco l'intervista:

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Angelo D’Orsi

IL BOICOTTAGGIO l’ha praticato anche a titolo personale alcuni anni fa. Angelo D’Orsi, ordinario di Storia a Scienze Politiche, da tempo sostiene la causa del popolo palestinese: «Un paio d’anni fa, tramite un collega italiano, mi hanno chiesto se fossi disponibile per tenere un corso in un’università israeliana. Ho risposto che ero grato, ma per ragioni ideali non potevo accettare». Lui è tra i firmatari della richiesta di stracciare gli accordi con il Technion inviata al Senato accademico dell’Università. «So che la mozione non sarà approvata perché ci sono già state reazioni rabbiose da parte degli ambienti vicini a Israele, ma proprio queste risposte dimostrano che il boicottaggio funziona».

È convinto dell’efficacia del boicottaggio accademico? «Ho esitato a lungo prima di accettare questa pratica, avevo dubbi sulla sua efficacia. Ora però sono convinto che sia una delle poche cose che come professori, e uomini di cultura possiamo fare per opporci a ciò che viene fatto al popolo palestinese».

Cos’ha che non va nello specifico il Technion di Haifa? «Si tratta di un’istituzione, di altissimo livello. Nessuno lo nega, ma dipartimenti interi di quell’ateneo hanno parte attiva nella realizzazione degli armamenti che l’esercito israeliano usa contro i palestinesi. Anche se Torino non collabora in queste attività non si può comunque lavorare con loro».

Perché pensa sia giusto discutere questa mozione se già sa che non sarà approvata? «Le battaglie non si fanno sempre per vincere, ma questa mozione è un segnale importante. Apre il dibattito sul boicottaggio accademico. Non capisco perché si debba essere accusati di violenza, quando non addirittura di nazismo e antisemitismo, se adottiamo lo stesso metodo di lotta dei grandi sostenitori della non violenza».

C’è antisemitismo nelle università italiane? «Non l’ho mai riscontrato e non capisco il parallelo. L’odio verso gli ebrei in Europa c’è ancora, ma da parte di gruppi di estrema destra che spesso sono gli stessi che sostengono le politiche del governo israeliano. Aveva ragione Gramsci: la storia è maestra, ma gli uomini sono cattivi allievi».

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