Le bambine dell’isola della pace
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
A destra: Naharyim, "l'isola della pace"
Cari amici,
vi devo ricordare una storia strana che inizia tristissima, ha un intermezzo consolante ma finisce ancora molto tristemente. E’ la vicenda di un posto che si chiama Naharyim una piccola ansa verde nel corso del Giordano, solo qualche chilometro a sud del lago di Tiberiade. Quest’ansa profonda dentro il territorio israeliano era rimasta in mano ebraica dopo la guerra del ‘67, coltivata dai kibbutzim circostanti. Con la pace del 1994, Israele ne aveva ceduto la sovranità alla Giordania per seguire il fiume come linea di confine, ma ci si era accordati per lasciarla in coltivazione agli israeliani, facendone una sorta di territorio internazionale, cui potevano accedere pacificamente giordani e israeliani. Era stata chiamata addirittura “isola della pace” per questa sua condivisione ed era diventata addirittura una meta turistica. Io l’ho visitata, o almeno ne ho visto i dintorni, è davvero un bel posto. Tanto che era oggetto di gite scolastiche e picnic. Finché esattamente vent’anni fa, il 13 marzo 1997, andò a visitarla la scolaresca di una scuola media femminile di Beth Shemesh, una località israeliana non lontana da Gerusalemme. Erano bambine fra i 13 e i 14 anni, accompagnate da una maestra. Uno dei soldati giordani di guardia al confine aprì il fuoco sulla scolaresca appena scesa dal pullman, uccidendo sette bambine e ferendone altre cinque più una maestra, prima di essere fermato dai suoi compagni o forse finire le munizioni: una dozzina di bambine fucilate come a un tiro al bersaglio. Una scena talmente barbara e inumana da avere pochi paragoni anche nella ferocia del terrorismo palestinese.
Fin qui la parte triste. Almeno parzialmente consolante fu la reazione del re Hussein, che decise di andare personalmente a chiedere scusa alle famiglie delle vittime, e almeno in un caso, non potendo comunicare coi genitori sordomuti di una bambina, si inginocchiò davanti a loro per esprimere il suo rammarico (http://www.stpauls.it/fc97/1497fc/1497fc22.htm). Fu un gesto umano e giusto, ma anche politicamente accorto, perché indusse Israele (Netanyahu era alla sua prima esperienza da primo ministro) a non fare rappresaglie e ad accettare le scuse, che invece suscitarono sdegno nei paesi arabi: come si permetteva un re arabo di inginocchiarsi davanti agli ebrei? La violenza antisemita non si fermò. Pochi giorni dopo la strage, ce ne fu un’altra, in cui un arabo dell’Autorità Palestinese si fece saltare a una festa di Purim a Tel Aviv, uccidendo tre persone e ferendone molte altre.
L’assassino dell’Isola della Pace, Ahmad Daqamesh
L’assassino dell’Isola della Pace, Ahmad Daqamesh, divenne un eroe per tutti gli odiatori di Israele e fu sottratto alla pena di morte che meritava secondo il codice giordano per “instabilità mentale” subendo solo una condanna all’ergastolo. Che però divenne un conto di 25 anni di prigione. Ma con “una misura di clemenza” sollecitata dalla grande maggioranza del parlamento giordano e dal ministro della giustizia, è stato liberato ieri (http://www.interris.it/2017/03/12/115028/cronache/mediterraneo/giordania-rilasciato-lattentatore-di-naharyim-nel-1997-uccise-7-bambine.html) e accolto trionfalmente nel suo paese (http://www.interris.it/2017/03/12/115028/cronache/mediterraneo/giordania-rilasciato-lattentatore-di-naharyim-nel-1997-uccise-7-bambine.html). E’ una conclusione molto triste, perché mostra che il seme dell’odio non è stato disinnescato anche dal coraggioso gesto di Hussein e che ci può essere qualcuno (anzi, più di qualcuno, una maggioranza di persone) che pensa eroico per un soldato sparare a una dozzina di bambine inermi e ammazzarne il più possibile. Solo per la colpa di essere ebree. E poi si parla di speranze di pace.
Ugo Volli