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Il Manifesto-Left Rassegna Stampa
11.03.2017 Manifesto e Left uniti contro giustizia e libertà
Officiano Michele Giorgio e Umberto De Giovannangeli

Testata:Il Manifesto-Left
Autore: Michele Giorgio-Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Trump 'apre' e chiama Abu Mazen sempre più isolato-Una cosa di sinistra? Riconoscere subito lo Stato di Palestina»

MANIFESTO e LEFT, comunista il primo, di estrema sinistra il secondo, in due servizi oggi, 11/03/2017, contribuiscono a far capire come ragiona la mente anti-democratica, anti-occidentale. Michele Giorgio sembra quasi augurarsi che Trump prosegua la politica fallimentare di Obama, ma almeno fornisce un po' di informazioni su Abu Mazen e dintorni. Umberto De Giovannangeli propina al lettore una lista di nomi che si stanno dando da fare per il riconoscimento dello Stato di Palestina. Non importa come, che diventi una Gaza n°2 a Udg non importa. I nomi vanno dai socialisti e sinistri/laburisti vari europei, includendo anche i soliti pacifisti israeliani, sempre pronti a firmare ogni documento pro-palestinisti, purchè  si ricordi al mondo intero che 'loro' vogliono la pace, non importa a quale prezzo.

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Il Manifesto-Michele Giorgio: " Trump 'apre' e chiama Abu Mazen sempre più isolato"

Donald Trump ha invitato Abu Mazen alla Casa Bianca. Il leader palestinese ha ribadito la volontà di arrivare a un accordo con Israele e ha ricordato al presidente americano gli impegni presi dagli Usa in passato. Sono questi i punti principali della conversazione telefonica awenuta ieri sera tra i due presidenti. E il primo contatto tra la nuova amministrazione e Abu Ma-zen che può dire di aver segnato un punto a suo favore. Per settimane ha tenuto a freno le frange più dure del suo partito, Fatah, che premevano per lo scontro con un Trump che si proclama alleato di ferro di Israele. Ha scelto la cautela, convinto che il presidente Usa presto o tardi avrebbe avviato i contatti con i palestinesi, visto che proclama di poter arrivare all'accordo di pace fallito dai suoi predecessori. Tuttavia il colloquio con Trump non porta gran beneficio al presidente palestinese. La posizione di Abu Mazen resta precaria all'interno e all'esterno. In Cisgiordania, così come a Gaza, la popolazione è indifferente agli sviluppi "diplomatici". Pochi palestinesi credono, anche nell'entourage del presidente, che Trump possa persuadere il premier israeliano Netanyahu ad accettare la condizione, il blocco delle attività di insediamento, posta da Abu Mazen per tornare al tavolo delle trattative. Certo l'amministrazione ha ammonito Israele dall'annettersi la Cisgiordania ma allo stesso tempo lavora con il governo Netanyahu intorno a un'intesa che, quasi certamente, vedrà gli Usa accettare la crescita dei principali blocchi di insediamenti ebraici in cambio di un congelamento non dichiarato delle costruzioni nelle colonie più isolate. Netanyahu, peraltro, non può accettare freni alla colonizzazione, per motivi ideologici e politici. Casa ebraica, il partito dei coloni, è in crescita costante nei sondaggi e il suo leader Ben-nett sibillinamente si dice pronto ad occupare la poltrona di primo ministro quando isarà tramontata l'era Netanyahu». Per Abu Mazen non è migliore il quadro esterno. Girano ancora voci di un'alleanza più solida tra i paesi del "Quartetto Arabo" o "Nato araba" (Arabia saudita, Emirati, Egitto e Giordania), più aperti nei confronti di Israele, e che certe condizioni potrebbero rilanciare la vecchia idea di una confederazione giordano-palestinese per la Cisgiordania. Inoltre il presidente dell'Anp deve fare i conti con l'ostilità del Cairo. L'Egitto vuole che il leader palestinese sperdo-ni» il suo rivale Mohammed Dahlan, ex capo dei servizi di sicurezza a Gaza che vanta buoni rapporti con Israele, Usa e diversi leader arabi, per offrigli la possibilità di candidarsi alla sua successione. Abu Mazen rifiuta e, per ritorsione, il Cairo ha impedito l'ingresso nel paese a Jibril Rajoub, tra i leader di Fatah e nemico giurato di Dahlan. Ieri sera fonti di Fatah spiegavano al manifesto che a due settimane dal vertice arabo ad Amman, Abu Mazen non sa ancora se la questione palestinese sarà in testa all'agenda del summit o se i "fratelli arabi" si limiteranno agli abituali proclami di appoggio destinati all'oblio.

Left-Umberto De Giovannangeli: "  Una cosa di sinistra? Riconoscere subito lo Stato di Palestina " 

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Discontinuità in politica estera? Un atto di sinistra che riconnetta idealità e concretezza, riattualizzando una storia che viene da lontano, per la quale e nella quale "essere di parte" non era, e non è, espressione di un pregiudizio ideologico ma saper distinguere tra carnefici e vittime, oppressi e oppressori. Essere "per" e non "contro". Una sinistra che non crede in una pace senza giustizia, una sinistra sanamente internazionalista, o i ha un atto da compiere. In Parlamento e nelle piazze: chiedere al governo italiano di riconoscere, subito, lo Stato di Palestina. Riconoscerlo unilateralmente come hanno fatto, da tempo, altri governi e Parlamenti europei. Unilateralmente. Perché di fronte alla deriva etnocratica d'Israele, a un fondamentalismo ebraico che nega diritti, rapina terre, calpesta dignità e uccide speranze, a una destra ultranazionalista e annessionista che realizza un regime di apartheid nei Territori occupati, l'Italia deve riconoscere ai Palestinesi il diritto di poter vivere, da donne e uomini liberi, in uno Stato indipendente: lo Stato di Palestina, con Gerusalemme Est come sua capitale. Come si è impegnato a fare il candidato dei socialisti francesi, Benoît Ha-mon, se dovesse essere lui il nuovo inquilino dell'Eliseo. Come ha chiesto negli Usa il socialista ebreo Bernie Sanders e in Gran Bretagna il segretario del Labour Jeremy Corbin, come ha ribadito il leader di Podemos Pablo Iglesias: «Il governo del Pp deve riconoscere in modo unilaterale e incondizionato da parte della Spagna, uno Stato palestinese come primo, indispensabile passo per dare soluzione al conflitto». I:Italia non può restare prigioniera della "lobby israeliana", per la quale ogni critica di merito agli abusi perpetrati nei Territori da un esecutivo di falchi, significa essere "antisemiti", né può rimandare un atto di giustizia alla improbabile ripresa di un negoziato diretto tra le parti. Col sostegno dell'inquilino della Casa Bianca, Netanyahu sta realizzando lo "Stato dei coloni", edificato di fatto in Ci- Left chiede ai parlamentari delle sinistre una mozione unitaria che impegni il governo ;14: sgiordania. «Diversi Paesi hanno riconosciuto lo Stato Palestinese, come la Svezia e il Vaticano, ci sono anche 12 parlamenti nazionali, compreso quello italiano, che hanno chiesto ai propri governi di riconoscere il nostro Stato... Chiediamo ora che questi governi, compreso quello di Roma, riconoscano la Palestina». Così aveva affermato il presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Mahmoud Abbas, poco prima del suo incontro a Bedemme con il Capo di Stato italiano, Sergio Mattarella. Era il 1 novembre 2016. E tempo di realizzare questa aspettativa. E ciò che Left si sente di chiedere ai parlamentari delle sinistre: una mozione unitaria che impegni il governo e che sia alla base di una mobilitazione della società civile organizzata. Agire in questa direzione significa anche sostenere l'altra Israele, l'Israele del dialogo, quella che nel cinquantenario della Guerra dei Sei Giorni (giugno 1967-2017) ha rilanciato, attraverso il movimento Siso (Save Israel Stop Occupation), una petizione firmata da oltre cinquecento personalità israeliane: dagli scrittori David Grossman, Amos Oz, Orly Castel Bloom, Savyon Liebrecht, Ronit Matalon, Yael Dayan, al premio Nobel Daniel Kahneman, alla cantante Noa, e poi il musicista David Broza, il filosofo Avishai Margalit e la sociologa Eva Illouz, per continuare con l'ex presidente del Parlamento, venti ex ambasciatori, docenti universitari, storici, parlamentari, drammaturghi, artisti, ex generali e alti gradi dell'esercito e dell'intelligente, ex ministri. «Noi crediamo - rimarcano i firmatari - che le aspirazioni ebraiche di istituire uno Stato siano state realizzate e debitamente riconosciute dalla comunità internazionale attraverso il Piano di spartizione adottato nel novembre 1947 dalle Nazioni Unite e successivamente da molti dei suoi membri. Tuttavia, mentre le aspirazioni ebraiche sono state esaudite, così non è stato per le parallele aspirazioni dei palestinesi, frustrate poi dall'occupazione di Israele dei Territori palestinesi dal 1967 e dalla negazione dei diritti nazionali del popolo palestinese... Noi crediamo che, una volta sollevato dalla piaga dell'occupazione, Israele diventerà realmente uno Stato ebraico e democratico, con pari diritti umani e civili per tutti i suoi cittadini, libero di sprigionare tutto l'enorme potenziale economico, culturale, educativo del suo popolo e capace di godere pienamente del suo ruolo legittimo fra le Nazioni del mondo, vivendo in pace e sicurezza con i suoi vicini...». E per raggiungere questo obiettivo, oggi occorre riconoscere lo Stato di Palestina. Unilateralmente. Chi è d'accordo, batta un colpo. In Parlamento. Nel Paese. Lift ne darà conto. Di adesioni e silenzi. Mai come in questo caso "essere di parte" è doveroso. E di sinistra.

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