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Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli A destra: Vladimir Putin con Benjamin Netanyahu Cari amici, non so se l’avete letto da qualche parte: giovedì Netanyahu va a Mosca per parlare con Putin. E’ la quarta o forse la quinta volta in un anno che i due si vedono e già questa è una notizia. C’era un tempo in cui i leader israeliano e russo proprio non si parlavano. Erano su livelli diversi di schieramenti opposti: con Kruscev o Breznev parlavano i presidenti americani, i sovietici predicavano pubblicamente che Israele fosse un “fantoccio” o un “lacché” dell’”imperialismo americano”, con cui non si abbassavano a trattare; e anche se lo stato ebraico si muoveva spesso in maniera autonoma e molta parte dell’apparato politico americano era diffidente per questa autonomia e magari non aveva simpatia per lo stato ebraico, in realtà il rapporto di dipendenza dagli Usa era ben solido e concreto. In guerre come quella dei Sei Giorni o del Kippur gli israeliani facevano le loro battaglie, magari senza la benedizione americana o perfino ostacolati da parte del potente alleato. Se vincevano, la Russia interveniva minacciando di usare le armi e gli Usa insieme dichiaravano di difendere Israele e soddisfacevano l’Unione Sovietica e il blocco arabo e terzomondista e bloccavano l’avanzata israeliana. Questo rapporto di asimmetrica estraneità si è eroso dopo il crollo dell’Unione Sovietica e soprattutto con l’abbandono di Obama dell’alleanza con Israele in favore di avventurose ricerche di alleanza con i nemici della Fratellanza Musulmana e con l’Iran. Israele (e in particolare Netanyahu), ha capito dal programmatico discorso del Cairo che il presidente americano non era un alleato ma un avversario e ne ha tratto la conseguenza di dover giocare una partita solitaria, rompendo gli schemi degli schieramenti tradizionali. Di qui le alleanze più o meno tacite strette con i paesi del blocco sunnita, traditi anche loro da Obama, che scandalizzano ancora oggi alcune anime belle ma sono espressione di un lucido calcolo politico. Di qui soprattutto il tentativo di stringere un qualche rapporto con la Russia di Putin. Non un’alleanza, perché Israele è pur sempre un paese democratico occidentale e i russi sono schierati sistematicamente con le dittature. Ma un rapporto di consultazione e di rispetto reciproco, perché uno scontro non converrebbe a nessuno dei due.
Netanyahu e Putin si consultano dunque sulla base di rapporti di forza freddamente valutati. La Russia è sovraesposta in Medio Oriente, non ha davvero i mezzi economici, logistici e militari per reggere a lungo tutte le sfide che ha accettato. Israele d’altro canto è piccolo, non ha più un nemico alla Casa Bianca ma in cambio è purtroppo sicuro dell’inimicizia dell’Europa e non ha certo voglia di scontrarsi con un soggetto politico e militare tanto più grande come la Russia. E anzi, cerca di utilizzare il filo diretto con Putin per tenere a bada il nemico principale di questa fase, cioè l’Iran, che sta cercando di sfruttare il vantaggio strategico di Assad nella guerra civile siriana per arrivare direttamente, oltre che per mezzo dei loro satelliti Hezbollah, ai confini dello stato ebraico, per minacciarlo da vicino. La Russia c’entra perché è stata determinante nella rivincita di Assad e inoltre è il fornitore d’armi e di tecnologie fondamentale per l’Iran. Non forse il padrone, me certamente il sostegno principale degli ayatollah. Il messaggio di Netanyahu a Putin è che la presenza militare diretta dell’Iran in Siria ai confini di Israele non è solo destabilizzante ma intollerabile per Israele, e porterebbe rapidamente a un conflitto diretto in cui i russi rischierebbero di essere risucchiati. Dunque Netanyahu chiederà a Putin di bloccare l’imperialismo iraniano almeno ai confini dello stato ebraico. Non è detto che Putin voglia e neppure che possa farlo, perché l’Iran è in bilico fra il bisogno di un’alleanza più stretta con il protettore russo e una volontà di indipendenza da tutti, in particolare dagli infedeli ortodossi e dunque non è detto che obbedisca ai russi: i segnali sono contrastanti. Ma se lo facesse, si consoliderebbe un asse importante con Israele per la stabilizzazione del Medio Oriente, si confermerebbe come arbitro della regione, consolidando il bottino che Obama le ha abbandonato. E se non lo facesse, dimostrerebbe i limiti del suo controllo e riaprirebbe i giochi. Dunque si tratta di un incontro importantissimo. Ma l’America che ruolo gioca in questo contesto? Non è più il nemico di Israele che con Obama è stata per otto anni. Ma nemmeno prende il ruolo di balia che gioca le partite dei suoi alleati, come usava in passato. Il senso della politica di Trump rispetto a Israele (ma in generale agli alleati) è di cercare di prendere in mano i loro problemi e di risolverli con le loro forze, contando sì sull’amicizia americana, ma senza scaricare sugli Usa le decisioni. Così per i rapporti con l’Autorità Palestinese, così probabilmente per la politica regionale. Netanyahu ha appena incontrato Trump annunciando di voler discutere innanzitutto dell’Iran. E’ probabile che abbia parlato anche di quel che dirà a Putin. I risultati dell’incontro sono stati secretati. I membri del gabinetto di sicurezza hanno dovuto firmare un documento che li impegna alla riservatezza prima di sentire la relazione di Netanyahu: un provvedimento decisamente inusuale. Al di là di qualunque speculazione, è chiaro che il grande gioco politico del Medio Oriente si è riaperto e Israele ne è fra i protagonisti, non fra le pedine che possono solo lasciarsi manipolare o resistere. Anche questo è un merito dell’elezione di Trump.
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