Riprendiamo da SETTE di oggi, 03/03/2017, a pag. 76, con il titolo "La madre di tutte le rivoluzioni", la recensione di Diego Gabutti.
La copertina (Marsilio ed.)
Consigliamo inoltre, di Vittorio Strada,
"Lenin, Stalin, Putin: studi sul comunismo e il postcomunismo" (Rubbettino ed.); di Orlando Figes, "Tragedia di un popolo: la rivoluzione russa 1891-1924" (Mondadori ed.). Ecco le copertine:
Se la Grande guerra, che generò l'età delle rivoluzioni e dei totalitarismi, non fosse la responsabile di tutto quel che ha reso (e che rende tuttora) ingovernabile il mondo, dalla guerra fredda al Sessantotto, dalle moderne derive populiste alla jihad, sarebbe facile scaricare ogni colpa su Lenin e sulla sua creatura, la rivoluzione d'ottobre, di cui ricorre quest'anno il centenario.
Cent'anni dal 1917, l'anno che fece della guerra civile un blockbuster ideologico, l'anno del Gulag bambino, della guerra alla religione e alla cultura borghese. Non si fa che deprecare (a ragione) il 1933, l'anno che trasformo in Führer un imbianchino e gli ebrei in subumani e animali da preda. Ma il 1917, per quanto altrettanto fatale, è una data su cui l'intellighenzia occidentale, per essersi troppo compromessa con gli slogan marxleninisti, preferisce sorvolare. Persino il Papa argentino è di quelli che sorvolano sul comunismo. Tacciono i grandi editori, banalizzano le gazzette.
Lenin e Stalin
Fortunatamente ci sono eccezioni. Per esempio Vittorio Strada, grande slavista, oggi autore per Marsilio di Impero e rivoluzione. Autore di libri fondamentali sulla storia e letteratura russa, curatore (con Eric J. Hobsbawm e altri) d'una preziosa e memorabile Storia del marxismo per Einaudi e specialista degli anni del «disgelo», che trascorse da studente e da ricercatore nella Russia post stalinista, Vittorio Strada celebra il centesimo anniversario della rivoluzione russa con una ricostruzione puntuale degli eventi russi, sovietici e poi di nuovo russi degli ultimi cent'anni.
È una storia contorta e labirintica, che comincia prima del coup d'état bolscevico, negli anni della guerra russo-giapponese, delle prime timide riforme e dell'autocrazia prossima al tramonto (e prima ancora, negli anni di Pietro il Grande e di Ivan il Terribile). Al centro di tutto, come l'ago del compasso, c'è l'horror film leninista: le sue avvisaglie, la sua evoluzione, le sue dottrine elastiche e cangianti, il crollo finale. Strada scioglie i nodi della storia russa e sovietica con prosa pacata e vasta scienza. Spiega che a dare forma compiuta al secolo poi detto «breve», benché continui ancora e anzi non se ne veda la fine, c'è l'assalto al Palazzo d'Inverno da parte del partito comunista russo, che con la sua cultura della violenza, della rivoluzione e del disumanesimo (elevato a suprema virtù filosofica) fece da «fratello maggiore» e da modello antropologico a Mussolini, di cui Lenin ammirò le gesta, e al nazionalsocialismo tedesco, col quale Stalin strinse un breve (ma autentico e sincero) patto d'alleanza. E il partito dei «rivoluzionari di professione» nacque dalle fantasticherie settarie del Che fare? di Lenin (ne esiste una bellissima edizione Einaudi curata proprio da Strada nel 1971).
Cent'anni dopo tutte quelle chimere sono svaporate. Ma nell'impronta che Lenin ha lasciato sul terreno della storia altre chimere sono cresciute a minaccia globale. In primis la jihad: l'Islam radicale somiglia infatti un po' troppo all'idea che il disumanesimo marxleninista si faceva di se stesso e delle imperfezioni del mondo per non esserne in qualche modo (come i fascismi) il fratello minore.
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