Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 01/03/2017, a pag.3, con il titolo "Sono una vagabonda, di Kadye Molodowsly", la recensione al libro "Sono una vagabonda" di Kadye Molodowsly, pubblicato dall'editore Free Ebrei.
Free Ebrei", piccola ma dinamica associazione culturale, ha appena pubblicato la prima edizione italiana delle liriche della grande poetessa yiddish Kadye Molodowsky (1894-1975), grazie al superbo lavoro condotto da Alessandra Cambatzu (mancata prematuramente l'autunno scorso a Berlino) e Sigrid Sohn (lettrice di lingua yiddish all'Università Ca' Foscari di Venezia). Kadye Molodowsky è unanimemente considerata una delle più grande poetesse yiddish del Novecento per varie ragioni: la durata della sua vena poetica (oltre cinque decenni), la trasversalità dei temi affrontati (dalla miseria delle giovani donne alle difficoltà dei chalutzim nel nuovo Stato di Israele), le diverse ambientazioni (dalle shtetlach sino a Varsavia, da New York sino a Tel Aviv), la "disomogeneità" del suo registro poetico (dal puro lirismo all'ironia della vita campestre, dalle composizioni per bambini sino alle tragedie della Shoah). Alessandra Cambatzu e Sigrid Sohn forniscono un'ampia selezione della produzione poetica della Molodowsky. Come ha sottolineato Kathryn Heller-stein, autrice della principale antologia della Molodowsky in lingua inglese, si tratta di una selezione mirante a fornire un quadro complessivo della produzione della grande poetessa bielorussa: poesie da cui traspare il semplice afflato naturalistico della poetessa, come altre in cui la malattia e la paura della morte acquistano uno spazio esorbitante e perfino ingombrante nella versificazione; storielle per bambini e composizioni dedicate alla Shoah; dai grattacieli newyorchesi sino all'aliyah in Eretz Israel, nella Terra promessa colorita di venature quasi agresti e cristiane. Il genere poetico oggi sembra attraversare una crisi irreversibile per via della preponderante vena prosaica e intimistica che ha assunto buona parte della letteratura contemporanea. Le poesie di Kadye Molodowsky hanno il grande merito di rimetterci a contatto con un mondo cupo e delicato, sereno e malinconico, con la vera "classicità" della poesia, condita dall'enorme bagaglio della cultura diasporica ebraica del mondo yiddish che la rendono un unicum nella storia della letteratura universale. Quell'unione tra materialità e spiritualità, tra dolore fisico e piacere spirituale, tra senso della morte e passione per la vita che difficilmente è possibile vedere sintetizzata in componimenti poetici così brevi e profondi. Il senso dell'infanzia è forse l'elemento che più salta all'occhio nella lettura di questi gioielli poetici. L'ironia dell'innocenza lega a doppio filo molte delle liriche selezionate da Alessandra Cambatzu e Sigrid Sohn, quasi a testimoniare il peso preponderante nella poetica della Molodowsky esercitato dall'immaginario infantile. Kadye, che fu insegnante di scuola elementare prima di diventare editrice e scrittrice, non ha mai perso quella speranza nel Muro che non può essere spezzata dalle avversità della vita, dalla povertà come dalla persecuzione, dallo sradicamento come dall'impotenza materiale. Lo vediamo assai bene nel racconto dedicato al Golem come nel componimento dedicato al bambino. Per non parlare del movimento spesso vorticoso assunto dai suoi vagabondaggi poetici. Tutto questo è un segno tangibile di come la vera poesia, quella profonda e autenticamente sentita, quella appartenente ai due mondi (terreno e celeste), non muoia mai e possa invece permetterci anche solo per pochi istanti di librarci oltre le meschinità della vita quotidiana. In questo Kadye è stata maestra di vita.
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