Riprendiamo dal TEMPO di oggi, 28/02/2017, a pag.10, con il titolo " La consulta islamica di Minniti in marcia verso il fallimento, il commento di Dimitri Buffa
Dimitri Buffa Marco Minniti
Non c'è riuscito Giuseppe Pisanu, né Roberto Maroni. E neanche Angelino Alfano. Probabilmente non ce la farà neppure Marco Minniti. Ogni qual volta si parla di patto con l'Islam, di intesa, di consulta islamica o di qualunque categoria dello spirito che preveda un accordo tra lo Stato italiano, tramite il ministero dell'interno, con i musulmani che risiedono in Italia, stranieri o convertiti di casa nostra, il fallimento è dietro l'angolo. E di solito arriva proprio quando si è sicuri di avercela fatta.
Magari dopo essere andati in televisione a vantarsene, come è capitato al titolare del Viminale di Gentiloni. Stavolta a mettersi di traverso sono proprio i convertiti italiani dell'ala dura, che non vogliono un controllo statale. Lo Stato, da parte sua, ha il problema dell'8 per mille: a chi darlo? A quelli che rappresentano l'interfaccia della fratellanza musulmana, considerata dagli Usa e da molti paesi europei una sorta di interfaccia della jihad? Ai moderati, che sono quattro gatti? E chi se la prende la responsabilità di finanziare magari indirettamente il terrorismo?
E poi come si potrebbero tenere fuori gli sciiti che rispondono direttamente a Teheran e che una gerarchia ce l'hanno al contrario dei sunniti? Che comunque gira e rigira fanno tutti capo all'Arabia Saudita. Che controlla anche la Moschea di Roma, l' unica definita ente di culto dal nostro governo.
Sia come sia, il patto firmato il 2 febbraio con 11 associazioni islamiche operanti sul nostro territorio, pomposamente comunicato da Minniti a reti unificate, già fa acqua da tutte le parti. Pietra dello scandalo tale Ahmad Ali Al-Adani, al secolo l'imam dalla Università Islamica d'Italia a Lecce. In particolare Al Adani definisce i sermoni tradotti in italiano, la promozione dei valori come laicità e «parità uomo-donna», la collaborazione contro il fondamentalismo e il registro degli imam, come una sorta di intollerabile controllo poliziesco.
Si evoca implicitamente l'apostasia, un'accusa che prevede la condanna a morte in tutti i paesi islamici. La tesi è di avere accettato una specie di modello di islam contaminato dal cristianesimo. Al Adani si spinge fino a scrivere una specie di vademecum contro il «Patto per l'islam». Sotto accusa la volonta dello Stato di «interferire con l'autodeterminazione delimusulmani». Segue una sorta di fatwa contro i «programmi di formazione» per imam, cui si intima di tenere la «qutba» del venerdi, cioè la predica, solo in arabo. Infine si pretende di fare la «dawa», cioè il proselitismo, «senza alcuna ingerenza» governativa.
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