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Il Foglio Rassegna Stampa
28.02.2017 Chi sono i terroristi islamici espulsi dall'Italia
Analisi di Cristina Giudici

Testata: Il Foglio
Data: 28 febbraio 2017
Pagina: 1
Autore: Cristina Giudici
Titolo: «Giovane, jihadista e cacciato»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 28/02/2017, a pag.1, con il titolo "Giovane, jihadista e cacciato" l'analisi di Cristina Giudici sui terroristi della jihad espulsi dall'Italia.

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Cristina Giudici

C'è chi si scopre perché non vuole giuraki sulla Costituzione né diventare italiano e chi invece si limita al proselitismo sui social network. Oppure chi manifesta una maniacale intenzione di voler diventare martire e afferma come, se stesse recitando una sura, di voler fare una strage per punire gli infedeli. Se il numero degli isla-misti espulsi dall'Italia nel 2015 era stato più contenuto (complessivamente 65), ad oggi il numero di jihadisti o aspiranti tali, di cui 15 rimpatriati nel 2017, è arrivato a quota 147. Gli ultimi due, tunisini, sono stati mandati via nei giorni scorsi: Nizar Atiaou, 34 anni, spacciatore radicalizzato e Moez Ghidaoui. 44 anni, il cui telefono era nella rubrica dello stragista di Natale a Berlino, Anis Amri, e gravitava anche lui nella provincia di Latina, dove Amri era stato ospitato un anno e mezzo e fa. I decreti di espulsione - misura adottata dal Viminale per ridurre la galassia degli islamisti e degli invasati supporter - è ora utilizzata con una frequenza quasi quotidiana. L'obiettivo del ministero dell'Interno è stato chiarito più volte, recentemente: raddoppiare gli allontanamenti, eseguirli tempestivamente. L'uccisione sul nostro territorio dell'autore della strage natalizia di Berlino, Anis Amri, ha alzato il livello d'allerta e imposto una politica di tolleranza zero contro chiunque venga considerato pericoloso per la sicurezza nazionale. Può bastare anche una serie di frasi infelici sui social network che manifestino l'avvenuta radicalizzazione. All'interno di questo flusso di espulsi ci sono diversi profili che permettono di fare una sorta di catalogazione di tutti gli islamisti rimandati nei loro paesi di origine. Il minimo comune denominatore, tranne per i predicatori-imam, è l'età. Giovani, la maggior parte sono cresciuti e radicalizzati in Italia. anche se alcuni invece sono arrivati nel nostro paese solo da pochi anni: i più giovani hanno 20 anni, i più anziani 35-36 anni. Osservando le loro storie, si possono individuare delle categorie specifiche. Nel 2015 per esempio, il tratto comune di tutti i rimpatriati nei loro paesi di origine è il desiderio ossessivo I predicatori radicali espulsi dal 2003 ad oggi sono 27, di cui 10 nel biennio 2015-2016. Spesso per via di sermoni antisemiti di partire per le terre del Califfato per diventare mujaheddin, mentre nel 2016 - davanti all'offensiva militare della coalizione anti-Isis e il cambio di strategia del Califfo, che ha lanciato più appelli a colpire i paesi europei - si fa più proselitismo, si cercano reti in Italia e in Europa, si vagheggiano atentati e si cerca, più attivamente, di organizzarne. Un filo rosso che accomuna tutti i radicalizzati o aspiranti jihadisti è che paiono essere lupi solitari perché si radicalizzano velocemente, passando dalla discoteca alla devozione per il jihad in un battito di ciglia. Osserva Giovanni Giacalone, ricercatore ed esperto di radicalizzazione sulla rotta balcanica e di sicurezza presso il think tank Itstime creato dal sociologo dell'Università Cattolica, Marco Lombardi. "Ci troviamo di fronte a una problematica senza precedenti, sia per quanto riguarda il numero dei soggetti radicalizzati sia per la rapidità del processo di radicalizzazione. Le espulsioni sono una misura essenziale per la tutela della sicurezza sul nostro territorio, ma servono anche adeguate strategie di prevenzione e di de-radicalizzazione. Un settore particolarmente critico è quello del fronte delle carceri, dove i segnali sono sempre più allarmanti". Il gruppo più numeroso fra gli espulsi sembra essere quello degli ex detenuti. Qualche esempio? Karim Sassi, libico. Segnalato dopo l'indottrinamento compiuto da un altro ex detenuto tunisino. Nabil Ou-gui, marocchino, ha pronunciato pesanti esternazioni contro la Francia. Ahmed Akhdim, marocchino: all'interno del carcere di Sassari si era imposto come predicatore e aveva fatto proselitismo a favore del Califfato (gli imam autoproclamati nelle galere sono numerosi: oltre 160). Yassine Bouzaiene, tunisino: in cella aveva esultato alla notizia degli attentati compiuti a Bruxelles nel marzo 2016. Mohamed Ka-bous, marocchino: durante una perquisizione in carcere in cella, è saltato fuori un documento in cui aveva scritto un solenne giuramento al jihad. Yassine Bouzaiene, tunisino: anche lui aveva esultato alla notizia degli attentati compiuti a Bruxelles nel marzo 2016. E ancora: Abdelghani Lahyati, marocchino, era stato notato nel carcere di *** Piacenza - dove l'anno scorso ci fu una violente rivolta di 15 detenuti maghrebini al grido di Allah Akbar e urla di supporto per lo stato islamico - per aver esultato ad ogni strage e minacciato di voler far esplodere un aereo. La lista è lunga ed è composta in maggioranza da tunisini, di diverse generazioni, ma è superfluo elencarla tutta perché i comportamenti dei detenuti radicalizzati poi espulsi sono simili. Atteggiamenti violenti e minacciosi contro gli agenti penitenziari e i compagni di detenzione che non rispettavano la maniacale osservanza di riti e prescrizione religiose; esaltazione a ogni attentato, sermoni intrisi d'odio quando guidavano la preghiera. Più controverso il caso di Schebli Sami, 32 anni, espulso il 13 gennaio: monitorato dopo il rilascio, e rintracciato mentre vagava a Falconara Marittima senza fissa dimora. Avrebbe avuto rapporti con un membro dell'Is, anche lui tunisino, che a sua volta aveva avuto contatti con Anis Amri. Integrati e mimetizzati Apparentemente avevano vite normali e mostrato anche un grado di discreta integrazione sociale. Come ad esempio la storia di un giovane albanese di vent'anni, Bledar Ibrahimi, arrivato per lavorare a Pozzo D'Adda, in provincia di Bergamo. Folgorato sulla via del web, ha cambiato il suo nome in Yahia e ha fatto molto proselitismo sul web in difesa del Califfato, che considerava la terra promessa per tutti i musulmani. Ha stretto amicizia con Giulia Maria Sergio prima che partisse per la Siria. ha frequentato uno studente torinese albanese, Elvis Elezi, cresciuto in Italia, che aveva un zio reclutatore, Alban, estradato in Italia e poi espulso dopo la scarcerazione per volontà del tribunale del riesame di Brescia. Bledar alias Yaha era in contatto con Halili Mahdi, altro giovane di seconda generazione considerato autore del primo documento tradotto in italiano diffuso dal-l'Is. Inserito in una rete islamista, non vi erano indizi sufficienti per un arresto ed è stato espulso. Oppure Himdane Farouk, in Italia dal 1998 ed espulso nel settembre del 2016. Viveva a Treviso con la famiglia e l'unico segno della sua adesione al verbo salafita era il niqab della moglie, ma è stato espulso solo dopo che, richiesta e ottenuta la cittadinanza italiana, si è rifiutato di giurare sulla Costituzione. Prima di radicalizzarsi era solo un ragazzo di 15 anni che aveva raggiunto il padre in Italia, dove si era diplomato all'Istituto tecnico con ottimi voti nel 2003 e aveva iniziato a lavorare come elettricista per la Tecno Elettra, una piccola ditta che lo aveva assunto come operaio. "Persona seria e onesta, nessun problema in fabbrica", aveva dichiarato il suo datore di lavoro dopo l'espulsione. Ma il cambiamento c'era stato. Si era isolato, pregava, si era fatto crescere la barba, non mangiava a pranzo con i colleghi, non faceva cene aziendali. E così, quando si è rifiutato di giurare sulla Costituzione, considerata la manifesta radicalizzazione, è stato espulso. La staffetta lombarda Il tunisino Mohamed Belgacem Belhadj, 49 anni. dirigente dell'associazione culturale di via Pino a Camerlata, in provincia di Como, che ha combattuto in Bosnia ed era noto per la sua brutalità in combattimento, non è mai stato indagato ed è stato espulso dopo trent'anni di vita italiana. Secondo le motivazioni del Viminale avrebbe avuto un legame stretto tra Como e il Canton Ticino con reclutatori attivi in Svizzera che ogni tanto erano ospiti della sua associazione culturale-moschea. Sposato e padre di due bambini, la sua storia è singolare, perché pone semmai un dilemma a cui gli inquirenti dell'antiterrorismo non sanno rispondere. C'è stata una "raccolta del testimone" da parte degli immigrati di seconda generazione da padri ex combattenti? Per ora si conoscono soltanto alcuni casi di ex mujaheddin con figli diventati foreign fighters, ma la storia di un macedone, Redjep Ljimani, che viveva a San Zenone degli Ermellini, in provincia di Treviso, con la moglie e cinque figli, mostra come alcuni isla-misti vogliano indottrinare i propri figli sin da piccoli. Ljimani è stato espulso nel gennaio del 2016. Il figlio di 8 anni aveva pronunciato a scuola con la consueta leggerezza infantile una frase piuttosto infelice: "E adesso andiamo ad ammazzare il Papa a Roma." Prima del rimpatrio, ha avuto il tempo per ribadire la sua ideologia, sostenendo che la "Umma indica nei cristiani i principali infedeli da cui difendersi". Gli imam I predicatori radicali espulsi dal 2003 ad oggi sono 27, di cui 10 nel biennio 2015-2016. Per esempio c'è Abdelbar Raoudi, 27enne, marocchino, guidava la comunità musulmana di San Donà, in provincia di Venezia. Espulso per via dei sui violenti sermoni antisemiti: ''Allah, contali uno a uno e uccidili fino all'ultimo. Non risparmiare uno solo di loro", aveva esortato nella sua ultima predica, prima della sua espulsione che risale a un'altra epoca geologica, anteriore alla strage di Charlie Hebdo, nel 2014. Mohammed Madad, marocchino, 52 anni, aveva vissuto nella provincia di Reggio Emilia e poi era finito a predicare l'islamismo in una moschea vicentina, dove si dedicava soprattutto all'indottrinamento dei più giovani e, nel tempo libero, a pagamento, anche a dei riti magici. Madad, operaio di un'azienda alimentare, aveva cercato di aprire una macelleria halal. Una delle sue figlie si chiama Jihad. E ancora: due imam di Novara, Jaidi Chaouki, 39 anni, tunisino, e Abderrahim El Khaoua, 42 anni, di Casablanca, sono stati mandati via nell'aprile del 2016 per i loro sermoni violenti. Abderrahim El Khaoua aveva imposto il velo integrale alla moglie, vietandole di frequentare la sorella, considerata troppo occidentalizzata. e stava indottrinando un connazionale in una comunità di accoglienza per profughi. Così come è stato mandato via nell'estate scorsa l'ex imam Sofiane Mezerreg, algerino. Imam della moschea a Schio, in provincia di Vicenza, predicava l'adesione a un islam scevro da contaminazioni occidentali. In agosto è stato espulso Hosni Hachemi Ben Hassen, formatosi nella moschea milanese di viale Jenner. era l'imam della moschea di Andria, in Puglia. E' stato assolto in terzo grado dall'accusa di terrorismo: era accusato di aver creato una cellula e persino un piccolo campo di addestramento sulle pendici dell'Etna. Era stato in collegamento con i dirigenti di Al Sha-ria poi finiti in Libia. Foreign fighters Poi ci sono quelli espulsi perché avevano legami con i foreign fighters o sono sospettati di esserlo stati (oggi in Italia ce ne sono 6, rientrati e monitorati dall'intelligence). Abdessamad Chaouaa, marocchino, 34 anni, cittadino belga di origine marocchina era sospettato di essere un foreign fighter e di avere collegamenti con alcuni terroristi della strage di Parigi. Saimir Hidri aut Sajmir, 34 anni, albanese residente a Ferrara, espulso nello scorso agosto: tra i suoi contatti telefonici sono emersi collegamenti con alcuni foreign fighters. Era anche predicatore Bilel Chihaoui, 26 anni tunisino residente a Pisa. Segnalato per il forte orientamento ideologico verso l'estremismo islamico jihadista, aveva legami con due noti foreign fighters deceduti in Siria. Voleva essere un martire e su un falso profilo di Facebook aveva postato l'immagine di un uomo che impugnava la pistola. Secondo gli investigatori era legato a due foreign fighters tunisini morti nel teatro di guerra siro-iracheno. Talvolta contano i legami familiari. Ghaith Abdessalem, vent'anni, anche lui tunisino: jihadista da tastiera, su Facebook aveva pubblicato la fotografia del fratello che da due anni combatte con le truppe del Califfato in Siria. Ghait è il prototipo del radicalizzato di seconda generazione, frequentava italiani, andava in discoteca. Borderline Al confine fra criminalità e islamismo. 0 talvolta con disturbi di personalità. Quasi tutti gli espulsi sono persone più o meno integrate, tranne i criminali comuni che vanno e vengono dal carcere. Ma alcuni sembrano aver commesso solo degli sporadici gesti folli. Resim Kastrati ad esempio, 22 anni, kosovaro, macellaio, trovato in covo di rapinatori kosovari a Cremona, frequentava la moschea radicale di Motta Baluffi, dove aveva predicato l'imam-reclutarore bosniaco Bilal Bosnic. Voleva andare in Siria, ma è tornato in Kosovo dove ha cercato di continuare ad animare una rete di indottrinamento di kosovari che vivono in Italia e hanno questa peculiarità: mescolano le tesi islamiste a quelle nazionaliste. Un giovane e un anziano, uniti dalla stessa maniacale furia funesta iconoclasta e un apparente disagio psichiatrico. Salah Briji, marocchino, 67 anni. Viveva a Cles, in provincia di Trento. Nel gennaio del 2015 aveva devastato la chiesa di Santa Maria Assunta. Era già stato sottoposto a un trattamento sanitario obbligatorio. Najib Kachmat, 25 anni, marocchino: indagato per aver scaraventato a terra un crocefisso di legno all'interno della chiesa di San Geremia, nel centro storico di Venezia. Sono stati entrambi espulsi nel luglio del 2016. Radoine Raggani, 43 anni, cittadino francese residente Francia. Monitorato oltralpe per turbe psichiatriche e inclinazione all'islamismo, era finito in carcere ad Alessandria dopo aver aver preso a pugni un ragazzino di 15 anni per rubargli lo scooter. Turbe psichiatriche che non gli avevano impedito pert) di avere stretti legami con i due tagliagole che nel luglio scorso hanno sgozzato il sacerdote cattolico Jacques Hamel nella chiesa di Saint Etienne du Rouvray, nella provincia di Rouen. A riprova che il confine fra il disagio mentale e l'indottrinamento jihadista è sottile. L'espulsione è uno strumento efficace? I profili di quelli espulsi a gennaio mostrano un grado superiore di radicaliz2azione. Come sottolinea Arturo Vervelli, alla guida del programma di ricerca sul terrorismo dell'Ispi, l'Istituto per gli studi di politica internazionale: "L'ampio ricorso all'utilizzo delle espulsioni come metodo preventivo di un vero e proprio atto terroristico dimostra che il fenomeno della radicalizzazione in Italia è in netta crescita, seppure non sia paragonabile ad altre realtà europee. Purtroppo non è sufficiente. L'espulsione non put) essere il principale strumento di contrasto. Se è molto difficile prevedere come si svilupperà il fenomeno nei prossimi anni, vista l'eterogeneità dei profili, appare sempre più fondamentale avviare un piano più vasto di misure di prevenzione da introdurre nel nostro sistema". Morale: le espulsioni possono essere fatte solo con chi non ha la nazionalità italiana. Ed è per questo motivo che governo e Parlamento stanno lavorando a una legge sulla de-radicalizzazione. Fra qualche anno, quando saranno più numerosi gli immigrati di seconda generazione con la cittadinanza italiana, le espulsioni potrebbero ridurre drasticamente la propria efficacia. Uno degli ultimi ad esempio è Nasredine Ben Dhiab, un altro giovane tunisino residente nella provincia bresciana. Ha 23 anni e non si è limitato all'apologia del terrorismo in rete. Sul web era in collegamento con alcune figure legate allo Stato islamico e avrebbe ricevuto indicazioni di compiere attentati in Italia simili a quelli compiuti in Francia e in Belgio. Il ministro dell'Interno, Marco Minniti, ha affermato: "Non aveva una rete organizzata in Italia ma aveva una fortissima potenzialità per colpire". Era arrivato a Edolo nel 2006, ricongiungendosi la famiglia. Dopo un viaggio in Tunisia, the same old story. Sempre la stessa storia che popola i nostri incubi. Odio e sete di guerra santa. In Europa.

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