Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 23/02/2017, a pag. 9, con il titolo "Abu Omar, lite con gli Usa per l'ex 007", la cronaca di Fabio Tonacci.
L'Europa e l'Italia, invece di collaborare alla lotta contro il terrorismo islamico, preferiscono perseguire chi lavora contro l'estremismo e per fermare i terroristi. L'ex agente Cia De Sousa ha coordinato il sequestro dell'imam estremista Abu Omar: un'azione che merita lode, non certo un processo. I malumori degli Stati Uniti sono condivisibili: ancora una volta l'Europa preferisce dilungarsi sui cavilli legali e non affrontare il pericolo del terrorismo.
Ecco l'articolo:
Fabio Tonacci
Abu Omar
Una croce scritta a penna sul mandato di arresto europeo per l’ex agente della Cia Sabrina de Sousa consegna al governo Gentiloni la prima vera grana internazionale da risolvere. E dall’altro lato del tavolo diplomatico siede il “cliente” più ostico del momento: il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Salvo complicazioni dell’ultimo minuto, Sabrina de Sousa, condannata nel 2012 in via definitiva con altri 22 agenti segreti americani per il sequestro dell’ex imam Abu Omar avvenuto il 17 febbraio 2003, sarà trasferita in una cella milanese all’inizio della prossima settimana per scontare la pena residua di quattro anni. Una squadra italiana dell’Interpol andrà a prelevarla nel carcere di Porto, dove si trova da lunedì. “Questo è un caso ordinario, per il momento”, dicono al ministero di Giustizia. Di origine indiana, doppio passaporto portoghese e statunitense, de Sousa ha lasciato la Cia nel 2009 per stare vicina ai suoi familiari, in Portogallo.
Ma a Washington l’idea che, per la prima volta, un proprio 007 coinvolto nelle “extraordinary rendition” di sospetti terroristi islamici finisca dietro le sbarre, per giunta sbarre europee, non piace affatto. Soprattutto ora che è stata varata la nuova dottrina Trump contro il terrorismo, così simile a quella di George Bush, il presidente che in nome della sicurezza nazionale post 11 Settembre autorizzò quelle operazioni sotto copertura. Un senior official del Dipartimento di Stato ha fatto sapere, attraverso il canale filotrumpiano Fox News, che il governo americano è “ deeply disappointed”, profondamente deluso, sia dalla condanna (la donna si è sempre detta innocente, il giorno del sequestro le celle del suo telefono la “collocano” a Madonna di Campiglio), sia dalla decisione delle autorità portoghesi di accettare l’estradizione. Il punto è che il via libera della Corte Suprema di Lisbona, emesso il 12 gennaio scorso, si basa su un mandato di arresto europeo che, per come è stato compilato dal procuratore generale di Milano Antonio Lamanna, pare lasciare aperte alla de Sousa porte che in realtà sono sigillate. Repubblica è in possesso di quel documento, datato 10 luglio 2015.
A pagina tre, è segnata con una croce l’opzione 3.4, con la quale si comunica che de Sousa, al momento della notifica del mandato, «sarà informata del diritto a un nuovo processo o a un ricorso in appello cui l’interessata ha il diritto di partecipare e che consente di riesaminare il merito della causa, comprese le nuove prove, che può condurre alla riforma della decisione originaria». È il passaggio chiave letto in Portogallo in modo diametralmente opposto rispetto a come stanno le cose, come se fosse una cattura di tipo “cautelare” in attesa dell’esito del giudizio. Si parla di appello, di riesame del merito. Ma il processo c’è già stato, è chiuso. La donna è stata condannata in contumacia a sette anni (ridotti a quattro con l’indulto) «per aver deliberato e coordinato l’azione », garantendo agli altri agenti Cia «l’appoggio di una struttura del Sismi». Non ci saranno altri gradi di giudizio, l’unica possibilità per lei è la grazia che potrebbe concedere il presidente della Repubblica Mattarella. «L’Italia sta giocando con i diritti di questa persona, perché nel mandato si dice che ci sarà un nuovo processo», ribatte l’avvocato Manuel Magalhaes e Silva, che con il collega italiano Dario Bolognesi, difende de Sousa. Un dettaglio che non è sfuggito allo staff del presidente Trump.
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