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La Repubblica Rassegna Stampa
22.02.2017 Chi non perde occasione per attaccare Donald Trump?
La polemica faziosa di Federico Rampini

Testata: La Repubblica
Data: 22 febbraio 2017
Pagina: 14
Autore: Federico Rampini
Titolo: «Trump, silenzi e polemiche sulle violenze antisemite»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 22/02/2017, a pag. 14, con il titolo "Trump, silenzi e polemiche sulle violenze antisemite", il commento di Federico Rampini.

La condanna, da parte della nuova Amministrazione americana, di episodi antisemiti accaduti due settimane fa è stata dura, come doveroso in questi casi. Basta un'attesa di due settimane, però, per scatenare le polemiche contro Donald Trump. Accusare di "silenzio" il Presidente Usa è falso, perché la condanna c'è stata. Quando si tratta di Trump, d'altra parte, l'occhio dei media è sempre fanaticamente critico, finendo spesso per creare polemiche che non hanno fondamento.

Ecco l'articolo:

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Federico Rampini

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Donald Trump

Alla fine la condanna è arrivata. «Le minacce contro la comunità ebraica e i suoi centri sono orribili e molto dolorose. Ci ricordano tristemente quanto lavoro va fatto per sradicare l’odio e i pregiudizi». Lo ha detto Donald Trump ieri mentre visitava il nuovo museo afroamericano di Washington (inaugurato da Barack Obama). La sua presa di posizione è arrivata dopo una lunga escalation di violenze e minacce anti-semite, in tutti gli Stati Uniti. Tra gli ultimi episodi, nel lunedì festivo del President’s Day un cimitero ebraico a Saint Louis nel Missouri è stato saccheggiato da vandali; diversi centri ebraici sono stati evacuati in seguito a minacce. Ma l’allarme delle comunità ebraiche — e non solo loro — dura da settimane, durante le quali l’atteggiamento di Trump era stato ben diverso. Emblematico l’incidente avvenuto venerdì scorso alla sua conferenza stampa. Un giornalista hasidico di Brooklyn, Jake Turx, corrispondente alla Casa Bianca del magazine ebreo ortodosso Ami, aveva chiesto al presidente cosa intendesse fare il suo governo per fronteggiare il crescendo di ostilità anti-semite: 48 minacce di attentati all’esplosivo solo negli ultimi giorni.

Trump aveva preso malissimo quella domanda. Benché non fosse stata rivolta in tono polemico, lui l’aveva scambiata per una velata accusa di anti-semitismo ed era sbottato: «Domanda molto offensiva. Ripugnante». A metterci un cerotto era poi intervenuta lunedì sua figlia Ivanka, che in occasione del suo matrimonio con Jared Kushner si è convertita alla religione ebraica. Su Twitter Ivanka aveva scritto: «L’America è una nazione costruita sul principio della tolleranza religiosa. Dobbiamo proteggere i luoghi della fede». Molte organizzazioni, dall’Anti- Defamation League al Centro Anna Frank, denunciano la condanna di Trump come tardiva e non solo. La critica che viene dalla comunità ebraica non insinua che Trump sia personalmente un anti-semita; lo vede però circondarsi di un’estrema destra (Stephen Bannon e altri consiglieri venuti dal mondo dell’alt-right) razzista, suprematista bianca. Che storicamente oltre ai neri e agli ispanici ha sempre preso di mira anche gli ebrei.

Non convince neppure il fatto che Trump esibisca come la sua massima credenziale in questo campo l’alleanza con Benjamin Netanyahu, quasi che l’asse col premier israeliano lo assolva automaticamente dalle collusioni con l’estrema destra razzista all’interno degli Stati Uniti. Sempre le organizzazioni come il Centro Anna Frank, l’American Civil Liberties Union, l’Anti-Defamation League, sottolineano il collegamento ideologico fra il mondo dell’anti-semitismo, e i messaggi dell’esecutivo sulla caccia agli immigrati. Su quest’ultimo fronte ieri sono emerse novità che vanno sempre nel senso di un giro di vite contro gli immigrati senza permesso di soggiorno: nuove norme, che mettono milioni di persone a rischio di rimpatrio.

Quasi tutto coloro che vivono illegalmente negli Stati Uniti potrebbero essere ora soggetti alla “deportation” (espulsione), e molti più immigrati senza documenti arrivati dal confine meridionale saranno incarcerati o rispediti immediatamente in Messico, in attesa di un’udienza in tribunale, invece di essere rilasciati negli Stati Uniti. Questo è il contenuto di un paio di direttive firmate dal generale John Kelly, segretario del Department of Homeland Security, il superministero degli Interni creato dopo l’11 settembre 2001 e che ha fra le sue competenze anche le varie polizie di frontiera. Kelly ha firmato quegli ordini esecutivi per dare applicazione alle direttive firmate lo scorso mese dal presidente contro l’immigrazione illegale. Va ricordato che solo uno dei decreti Trump — quello che bloccava gli arrivi da 7 paesi a religione islamica — è stato bloccato dai tribunali; ma altri che riguardano l’immigrazione in generale sono in vigore e in corso di applicazione. Sotto l’Amministrazione Obama, gli immigrati senza documenti che non rientravano in una delle categorie più pericolose, definite dal governo, erano generalmente al sicuro dal rischio di essere rimpatriati. Ora, le categorie prioritarie sono state ampliate e comprendono persone colpevoli solo di reati relativi all’immigrazione, come l’aver usato documenti falsi.

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